L'articolo di Zendri pone diverse questioni:
1- Prima del “tempo zero” c'è tutta una storia complessa: assumere uno psicofarmaco è solo il capolinea di un lungo processo mentale e relazionale (processi di simbolizzazione, tranfert e quant'altro). E la natura di tale processo decide degli effetti del farmaco.
2- Mi chiedo, e chiedo a Zendri, se la sua analisi debba essere riformulata se ci si riferisce ad antidepressivi di classe diversa dagli SSRI, che, mi pare, sono i più “energizzanti”.
3- Gli antidepressivi funzionano. Tra i loro effetti collaterali, però, bisognerebbe annoverare anche effetti di ordine più propriamente psichico, che andrebbero costantemente monitorati, interpretati e sottoposti a donazione di senso. Se è così, vien da pensare che sarebbe meglio se la prescrizione degli psicofarmaci provenisse dallo stesso psicoterapeuta (se medico) nonostante la prassi psicoanalitica tenda a separare le funzioni dell'analista da quelle dello psichiatra. Nel suo scritto, però, Zendri descrive situazioni particolari di risposta maniacale al farmaco, ma la crisi maniacale non può essere semplicisticamente addebitata in un'ottica causale lineare, al farmaco stesso. La faccenda è più complessa.
4- Le neuroscienze hanno contrapposto al modello omeostatico della mente un'idea della mente come organismo avido di stimoli e proteso alla relazione. In realtà i due modelli non sono, a mio avviso, incompatibili. Quello freudiano descrive una mente animale (gli animali funzionano proprio così e noi siamo, anche animali); il modello delle neuroscienze parla invece di una mente culturale (o meglio, di una mente continuamente riplasmata dalla cultura, e quindi aperta all'altro, bisognosa dell'altro).
Diciamo che probabilmente la mente si organizza-riorganizza a due livelli di funzionamento: da un lato in base ad un principio omeostatico che tende a ripristinare lo status quo ante di quiete, dall'altro lato secondo modalità di funzionamento più complesse, che hanno a che fare con gli aspetti più evoluti, sviluppati dalla nostra specie e che hanno fatto di essa una specie in cui il cervello è anche alla costante ricerca di stimoli e di eccitazione. Credo che la nostra pratica clinica, integrata dalla pratica autoanalitica, possa farci sperimentare questo doppio statuto della mente, cui del resto corrispondono altre polarità psichiche oppositive che costituiscono dialetticamente e conflittualmente lo psichismo umano: narcisismo/oggettualità, istinti di vita/istinto di morte, ecc. Ma qui il discorso entra nella metapsicologia e mi devo fermare.