LETTINO E VIS À VIS
di Alfredo Civita
Il Corriere della Sera, nel numero del 13 febbraio 2011, ha dedicato un ampio e quanto mai interessante servizio allo stato attuale della psicoanalisi in Italia. Curato da Dino Messina, l'articolo raccoglie le interviste a cinque eminenti psicoanalisti: Simona Argentieri, il nostro Guido Medri, Leonardo Resele, Stefano Bolognini, Antonino Ferro. Le interviste originali erano di certo più lunghe e articolate di quelle che figurano nell'articolo, avendo dovuto subire gli inevitabili tagli editoriali imposti dallo spazio a disposizione di un quotidiano; nondimeno il risultato è, lo ripeto, decisamente interessante. Tanto più interessante è che il più importante quotidiano italiano si occupi con autentica serietà dei problemi cui sta andando incontro la psicoanalisi dei nostri giorni. Si tratta indubbiamente di un fatto notevole, se teniamo presente che la resistenza alla psicoanalisi non ha mai cessato di agire, dai tempi di Freud fino a oggi.
Segnalo a questo proposito il libro di 600 pagine del filosofo francese Michel Onfrey intitolato Crepuscolo di un idolo, tradotto in italiano dalla casa editrice Ponte alle Grazie. Il libro non l'ho letto, ma da un articolo de la Repubblica dell'8 aprile 2011, apprendo che il professor Onfrey accusa Freud di essere stato “un cocainomane depressivo, onanista, incestuoso, tanto ossessionato dal sesso della madre d'allargare all'universo mondo la sua personale patologia edipica. E poi: un adepto di occultismo, un inventore di casi clinici, un antisemita perché il suo Mosè non era ebreo, e in più un sostenitore del fascismo per quella nota che dedica a Mussolini in Perché la guerra? (…) E ancora, imperdonabile, era un mascalzone che andava a letto con la cognata” (la Repubblica, 8 aprile 2011). È ovvio che accuse del genere non meritano neanche la fatica di abbozzare una difesa. Contro la stupidità non vi è difesa che regga. Ma a proposito della presunta relazione con la cognata, Minna Bernays, mi viene in mente che il titolo dell'articolo, non ricordo più la fonte, che rivelava tempo fa all'universo mondo questo imperdonabile misfatto, suonava pressappoco così: “È ancora credibile la psicoanalisi”?
Prima di occuparmi delle interviste, vorrei richiamare l'attenzione su un dato di fatto che deve darci da pensare: dal grande Popper al piccolo Onfrey i critici della psicoanalisi hanno preso a bersaglio esclusivamente la vita e l'opera di Sigmund Freud, come se la psicoanalisi fosse nata e conclusa con lui. Esistono forse opere di filosofia o epistemologia che attaccano Bion, Winnicott, Kernberg, Green o altri analisti postfreudiani? Per quel che ne so, la risposta è negativa. È solo con Freud che se la prendono i nemici della psicoanalisi: dovrà pur esservi un motivo!
Mi occupo adesso del servizio del Corriere della sera che contiene le interviste ai cinque psicoanalisti italiani. Mi guardo bene dall'improvvisare una recensione, il lettore può senza difficoltà leggere direttamente l'articolo del Corriere e farsi da sé un'idea. Il curatore, Dino Messina, ha riassunto molto bene gli argomenti discussi con i seguenti tre titoli: Cambiano i disturbi si adeguano le cure; Giù dal lettino; La «società dei narcisi» teme l'analisi classica. Svolgerò una personale riflessione sul secondo titolo, Giù dal lettino, sia perché è quello che maggiormente mi appassiona sia perché è strettamente correlato agli altri due argomenti, il cambiamento delle patologie e la società dei narcisi.
È ben noto che l'invenzione freudiana del lettino analitico non fu determinata solamente da motivi teorici e tecnici, ma anche da ragioni caratteriali: Freud non sopportava di essere continuamente osservato dai pazienti nel corso delle sue lunghe giornate di lavoro analitico. Questa predilezione per il lettino, a scapito del vis-à-vis, deve essere collegata alla convinzione freudiana che i pazienti psicotici non fossero adatti a un trattamento analitico. La psicoanalisi era indicata solo per le nevrosi.
Su questo punto può essere utile aprire una breve digressione. I pazienti di Freud, che conosciamo dai suoi meravigliosi casi clinici, erano davvero puri e semplici nevrotici? Ho francamente qualche dubbio, e penso in particolare all'Uomo dei lupi, un paziente ossessivo, a detta di Freud. Due osservazioni. È noto a ogni clinico che la nevrosi ossessiva - ovvero, stando al DSM, il disturbo ossessivo-compulsivo - è una patologia veramente difficile da trattare in un'ottica analitica. Seconda osservazione, spesso il paziente ossessivo grave, come L'uomo dei lupi, può in condizioni di stress evolvere in veri e propri stati psicotici. Un mio vecchio paziente, che vedo tuttora al bisogno, per così dire, lamentava all'inizio della terapia un'ossessività centrata sul disformismo corporeo. In pratica trascorreva molte ore della giornata a guardarsi allo specchio per scoprire eventuali lesioni della pelle. Questo paziente sviluppò a un certo punto, in pesanti condizioni di stress, un grave episodio psicotico, con ricche produzioni allucinatorie e deliranti. Una volta, rimirandosi allo specchio, si vide letteralmente come un orribile mostro. Io ebbi una precisa responsabilità in tutto ciò; un errore di gioventù mi aveva infatti spinto a indurre il paziente a stendersi sul lettino.
Perché quello fu un mio grave sbaglio? In breve, perché non mi ero reso conto che quel paziente presentava dei conflitti inconsci tanto arcaici da non poter accedere alla dimensione del linguaggio. Le sue più profonde angosce non erano comunicabili a parole. La comunicazione doveva percorrere altre vie, la principale delle quali è l'identificazione proiettiva, intesa non già nel senso della Klein bensì nel senso di Bion e Ogden. Attraverso l'identificazione proiettiva, il paziente ci rivolge una richiesta d'aiuto in rapporto a un'angoscia primitiva - un elemento beta, per dirla con Bion - che viene prima della parola e che non può dunque trovare un'espressione linguistica.
Ora, qual è il principale vettore dell'identificazione proiettiva se non lo sguardo, i suoi occhi che scrutano con fiducia e timore gli occhi e l'espressione dell'analista. Se il paziente è sdraiato sul lettino questa possibilità è preclusa e il paziente è lasciato da solo. Certo il vis-à-vis è faticoso, sfibrante, tuttavia è l'unica forma di setting di cui i pazienti che presentano angosce prelinguistiche possono giovarsi. Sono inoltre fermamente convinto che una terapia vis-à-vis di questo tipo, se ben condotta, possa essere qualificata come analitica nel senso più stretto del termine.
Ho fatto riferimento a Wilfred Bion, il mio autore di riferimento, ma sono sicuro che altri importanti analisti hanno preso in considerazione il tema che ho trattato, penso in particolare a Winnicott, Matte Blanco e a Kohut.