Con questo breve intervento vorrei sottolineare da un lato, ammesso che ve ne sia bisogno, l'importanza del concetto di narcisismo nella evoluzione della teoria e clinica psicoanalitica, e dall'altro la difficoltà di questo concetto dal punto di vista teorico e certamente anche le difficoltà del trattamento di questi pazienti e a volte anche della formulazione della diagnosi psicodinamica. Mi pare si possa dire che la tematica narcisistica si ponga alla convergenza, all'incrocio di molteplici filoni che vanno visti più che in posizione dialettica tra loro in un rapporto dialogico e embricato. Gli aspetti del narcisismo, cui sto facendo riferimento, sono teorici, clinici, socio-culturali, economici, politici (dal punto di vista socio-cuturale il problema riguarda spesso anche le comunità psicoanalitiche di appartenenza frequentemente affette da un eccessivo narcisismo di scuola che non favorisce l'approfondimento scientifico). Non è facile individuare e precisare attraverso quali canali e interazioni e in quali aree la società civile e la psicoanalisi si sono influenzate reciprocamente nel secolo scorso e ovviamente anche oggi si influenzano, e va anche sottolineato che motivi di incertezza e confusione risalgono in primo luogo a certi aspetti del pensiero freudiano su questo tema. Successivamente, dopo un periodo di eclissi dell'interesse per il narcisismo che vi è stato nella letteratura fino agli anni '60 - '70, parecchi autori hanno affrontato questi problemi, fornendo importanti contributi alla teoria e alla clinica dei disturbi narcisistici, che nel frattempo stavano facendosi sempre più frequenti, proprio in relazione alle modificate situazioni sociali (mi riferisco soprattutto in ordine cronologico a Grümberger - 1957, Lacan - 1966, A. Green - 1972, Kohut - 1971, Kernberg - 1975). Questi lavori, per altro di grande interesse, hanno il limite, come spesso si nota nei contributi psicoanalitici, di assolutizzare e generalizzare delle osservazioni fatte su un numero molto limitato di casi e di dare luogo a considerazioni o conclusioni teoriche, che hanno origine dall'ambito terapeutico o diadico-specifico della ricerca e quindi sono molto influenzate dalle visioni soggettive e teoriche dell'autore (si tratta del cosiddetto “induttivismo enumerativo”). Come ho già detto, aspetti confusi o difficili da sostenere sono già presenti nella teorizzazioni freudiana: il concetto di narcisismo primario è un concetto chiaramente patomorfico e successivamente non è stato confermato dall'infant research; i concetti di ideale dell'Io, Super-io e Io ideale non sono mai stati chiaramente distinti; ma il problema più grosso è costituito dalle contorsioni concettuali cui Freud è obbligato dalla collocazione del narcisismo nell'ambito della teoria delle pulsioni. Anche la differenziazione tra narcisismo sano e narcisismo patologico, a cui già Freud fa riferimento nel lavoro del 14, è un punto particolarmente delicato, soprattutto nella nostra società post-moderna nella quale atteggiamenti narcisistici e lo sfruttamento dell'altro vengono premiati e valorizzati: l'immagine conta ben più dell'essere. Comunque rispetto all'evoluzione del pensiero freudiano il lavoro del 14 sul narcisismo è stato giustamente visto da molti Autori come una vera e propria svolta nella concettualizzazione freudiana, in quanto da allora in poi l'Io non è stato più considerato soltanto come l'istanza che controlla le pulsioni, che tiene conto della realtà, che esprime il giudizio, ecc., ma è diventato l'esito, il sedimento dei processi di identificazione con l'oggetto. Può sembrare paradossale, ma a me pare estremamente evidente che il concetto di narcisismo apra la strada, nel quadro della non-sistematizzazione e delle decostruzioni che Freud opera qua e là sul suo stesso pensiero, allo sviluppo di un filone “minoritario” e collaterale della sua teorizzazione che è precorritore delle teorie relazionali: in “Lutto e malinconia” (1915) il riferimento in questo senso è al concetto di identificazione narcisistica, e ne “Io e l'Es” (1921) vi sono due affermazioni fondamentali; e cioè che “l'Io è anzi tutto un'entità corporea” e che “originariamente nella primitiva fase orale dell'individuo, investimento oggettuale e identificazione non sono distinguibili l'uno dall'altra”. Sono molto gli Autori che hanno sottolineato elementi appena abbozzati e disseminati qua e là nell'opera freudiana che fanno riferimento alla capacità del neonato di entrare in contatto e in relazione con la madre e che vanno al di là o sono in contrasto con la teoria di fondo che vede l'investimento oggettuale procedere dall'autoerotismo e dal narcisismo (si tratta di autori come M. Eagle - 1992, S. Reisner - 1989, D. W. Cohen - 2007). Inoltre autori come Gaddini (1986), D. Stern (1985), A. Green (1986), Salonen (1989), Lehtonen (1997) e altri hanno in fondo sviluppato, in un quadro teorico molto diverso da quello freudiano, i concetti di identificazione primaria e di Io corporeo. Sottolineo questi concetti perché ritengo che vadano tenuti presenti nel trattamento di pazienti narcisistici rispetto alle loro difficoltà e strenue difese dallo sviluppo della relazione terapeutica.
Tornando alle teorizzazioni post-freudiane sul narcisismo, anche qui ci troviamo perplessi di fronte alla quantità, diversità e anche contraddittorietà delle prospettive: per esempio le posizioni diverse di Nunberg e Lagache rispetto al rapporto tra Io ideale e Super - io e soprattutto la ben nota diatriba tra Kohut e Kernberg. Devo dire a questo proposito che sul piano psicodinamico, la posizione di Kernberg mi pare più convincente. Da Kohut, diversamente che da Freud, la linea dello sviluppo narcisistico viene distinta da quella dell'amore oggettuale (si tratta della teoria del doppio asse) e nella sua visione il bisogno di oggetti - Sè permane per tutta la vita. Mi pare piuttosto che oggi, anche in relazione con le risultanze dell'infant research, narcisismo sano e capacità di amore oggettuale vadano visti come intrinsecamente collegati tra loro e interdipendenti, e, riprendendo la metafora freudiana in senso diverso, libido dell'Io e libido oggettuale non vadano viste in contrapposizione tra loro. Inoltre mentre Kohut considera il Sé grandioso come l'espressione di un arresto di sviluppo del Sé per via della mancanza di una risposta empatica da parte della madre, Kernberg considera il Sé grandioso e l'idealizzazione come difese il primo dalla dipendenza e la seconda dall'invidia e dall'aggressività. Mi pare che la teorizzazione di Kohut sia per certi aspetti semplicistica, riduzionistica, mentre quella di Kernberg tiene conto maggiormente della complessità dei fattori in gioco. In effetti l'idea kohutiana del valore patogeno della mancanza per il bambino del “brillio negli occhi della madre”, concetto molto simile, seppure ovviamente su un altro piano di discorso, a quello di madre schizofrenogenetica ormai finalmente accantonato, non tiene conto del concetto freudiano di sovradeterminazione e di quello attuale di complessità. Con una sorta di salto logico vorrei riportare il concetto di sovradeterminazione anche alle componenti sociali e politiche del narcisismo. A questo proposito mi limito a ricordare soltanto alcuni degli aspetti o caratteristiche, del resto già molto studiate (partendo dal noto libro di Lasch del 1979 sulla “Cultura del narcisismo”), della società post-moderna o “liquida” nell'espressione di Bauman (2000), che senz'altro influiscono sullo sviluppo dei disturbi narcisistici: l'eclissi dei valori e delle grandi utopie, anche paranoidi, del 900, il senso di solitudine e di sradicamento legato alla perdita di spirito comunitario e di identificazioni comuni, un individualismo sfrenato con la conseguente ricerca di una libertà e di un piacere senza limiti anche a scapito della sicurezza stessa dell'individuo, la perdita di senso della sessualità e dell'identità. Dovremmo parlare oggi piuttosto che di un “Disagio della civiltà” (1929), attribuito da Freud alla necessaria repressione delle pulsioni, di disagio dell'inciviltà dovuto alla perdita di un'istanza superegoica buona, sostenitrice dell'Io sociale e individuale, e del tessuto simbolico del Sé? Rispetto alla patogenicità dovuta alle difficoltà economiche faccio solo riferimento al recente libro di due epidemiologi inglesi, Wilkinson e Pickett, dal titolo “La misura dell'anima”. Il libro riguarda la patogenicità delle disuguaglianze sociali e economiche,di cui per altro noi siamo già consapevoli, ma nel libro è corroborata da ricerche epidemiologiche e sociologiche. Viene dimostrato che esiste nella società occidentale un rapporto diretto tra il livello di disuguaglianza economica e i problemi sociali e una serie di disturbi che vanno dalla malattia mentale, all'obesità, alla mortalità infantile, ecc.. Una delle conclusioni del libro è che le disuguaglianze economiche incrinano la vita comunitaria e i rapporti di reciproca fiducia. Lo stress di essere agli ultimi gradini della gerarchia economica e/o la ricerca spasmodica di rivincita e di scalata sociale io credo che sia certamente uno dei fattori di rischio per il disturbo narcisistico di personalità. Inoltre, quando la politica è soprattutto l'espressione di gruppi forniti di uno straordinario potere economico e di una conseguente aura di splendore e felicità da technicolor, si crea un feedback negativo tra i capi e la massa attraverso processi di identificazione proiettiva e introiettiva, che non sono facili da modificare o mettere in crisi. Ho voluto accennare sommariamente ai problemi economici e politici il cui ruolo nella patogenesi la psicoanalisi trascura: per esempio la psicoanalisi relazionale tende a restringere molto il problema patogenetico ai primi anni di vita del bambino e a un rapporto disturbato tra questo e i genitori.
Questo mio intervento sul narcisismo individuale e sociale appare di tono eccessivamente pessimistico? Spero di no, perché non sono questi il mio stato d'animo e il mio convincimento. Il mio intento e desiderio è che la psicoanalisi, oltre a lavorare seriamente, come sta facendo, e spesso con buoni risultati, per alleviare le sofferenze gravi, si levi più chiaramente a sostenere la critica alla situazione sociale e politica, in quanto fonte di profondi disagi per la salute mentale.