L’estendersi degli scandali dei preti pedofili indica la diffusione del fenomeno più di quanto sembri o di quanto si sia voluto far credere. Il problema però va ben oltre, essendo profondamente radicato nell’inconscio istituzionale della Chiesa.
Cerchiamo di capire perchè.
Nonostante affermazioni di principio e scuse esplicite per le secolari offese alle donne, inquisizione e roghi compresi, la struttura della Chiesa resta irriducibilmente patriarcale, condannando al silenzio l’altra metà del cielo, con gravissime incalcolabili conseguenze di ordine etico, culturale, affettivo e sociale. La discriminazione di genere, non è quindi un aspetto secondario, ma un cardine fondamentale della Chiesa, che non può che generare contraddizioni esplosive. Per esempio, di fronte a una conclamata idealizzazione della Madonna, del suo culto e delle sue capacità di mediazione con Dio, alle donne è negato il potere di transustanziare, ossia di trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù. Maria, che ha portato nel proprio grembo il Salvatore, non ha il potere, a differenza di qualsiasi sacerdote maschio, di eseguire il rito sacramentale che lo richiama in vita, ricreandolo simbolicamente per nutrire i fedeli.
La negazione del sacerdozio alle donne crea una pesante ipoteca sui processi di simbolizzazione femminili, legittimando una immagine di castrazione, che a suo tempo la psicoanalisi ha avallato, e sancisce dogmaticamente, quanto arbitrariamente, la inferiorità della donna rispetto all’uomo, a differenza di altre religioni che contemplano poteri femminili veramente forti e temuti come la dea Kali. La sua presenza, infatti, preserva concretamente in India le donne dallo stupro, cosa che Maria è ben lontana dal poter realizzare in Occidente, perché, in fin dei conti, l’indebolimento del potere femminile non può che investire pesantemente, anche lei.
L’assenza nella nostra cultura di potenti figure femminili, dato che quelle esistenti sono state progressivamente depotenziale – come Nix la notte, che lo stesso Zeus temeva, Ecate, le Moire, le Furie, la stessa Gorgone e tutte le grandi dee greche e romane – lascia un incolmabile vuoto simbolico. Tutta la rabbia, risentimento, aggressività delle donne per millenni di oppressione, non trovando alcuna realizzazione simbolica, diventano sofferenza psichica non integrabile che le investe insieme a chi le circonda.
La strega, la fattucchiera, la seduttrice sono poca cosa rispetto al potere di Lucifero, che, nonostante la caduta, condivide la stessa origine luminosa, immortalità, del dio che l’ha sconfitto. Anche se forse sarebbe più appropriato parlare di Lucifera. Nel Diavolo, infatti, la Chiesa condanna ogni piacere del corpo, l’eros, ogni attributo che rende peccaminoso, inaffidabile, sporco il corpo della donna e le infinite possibilità di piacere che può offrire.
Il problema è che psicologicamente non si può eliminare una parte della natura umana senza gravissimi contraccolpi su identità, pulsioni, desideri. La dea negata, scacciata dai suoi templi, si annida nell’inconscio, dentro di noi, dal quale agisce implacabile come Nemesi, la dea della vendetta. Detto esplicitamente, il blocco del piacere naturale dell’uomo con la donna crea un ingorgo libidico, una sete inappagabile di piacere sostitutivo, cha si rivolge al bambino, alla bambina.
Ma ancora, la negazione dell’eros, del piacere più semplice e naturale che due corpi possono offrirsi senza altro strumento che il loro desiderio, quanta sofferenza inutile ha prodotto nei secoli, quante perversioni, quanta terribile repressione, quante mutilazioni, sia fisiche che psichiche?
Una associazione fatta essenzialmente di maschi, o di donne, come le suore, in ruoli esclusivamente ancillari, per i quali la donna tanto idealizzata, da un lato, come madre, da un altro rappresenta la tentazione della carne - e in ultima analisi, il male, il peccato, il Diavolo - non può avere che un atteggiamento di paura rimossa verso il femminile. Da qui un vissuto distorto, compensatorio per il contrario di cìò che viene negato: il maschile, attraverso un processo che la psicoanalisi chiamerebbe formazione reattiva (passaggio all’opposto). Ecco allora idealizzata una Trinità tutta patriarcale che nei millenni ha sostituito le antiche Trimurti, le Grandi Madri del passato, ecco la religione del figlio, nella quale alla donna è lasciato solo un ruolo ancillare.
Il problema è che l’imperdonabile peccato di orgoglio, di onnipotenza della Chiesa, che governa il mondo non solo senza, ma contro l’altra metà del cielo, continuando ad alimentare irrisolvibili scissioni, non può essere corretto, senza mutamenti radicali.
Infatti, le valenze erotiche e simboliche del patriarcato sono confermate e potenziate a dismisura dall’autoconferma, dall’ autoreferenzialità, di gruppi solo maschili, del tutto incapaci di confrontarsi con l’eros e quindi con la maggiore delle diversità relazionali: la donna. Non esiste infatti una via cristiana alla sessualità, all’erotismo, ma solo la sua negazione assoluta, che il sesto comandamento sancisce, al di fuori della riproduzione, come peccato. Da qui la rozzezza di risposte del tutto inappropriate, come quelle recenti sui rapporti tra omosessualità e pedofilia, del cardinal Bertone, o quella dei rapporti tra sionismo e il recente scandalo avanzata dall’ex vescovo di Grosseto.
Inoltre, dato che la Chiesa nega totalmente la sessualità, può darsi che attiri persone con particolari desideri inconsci in questa direzione, che risultano così coperti da una indiscutibile approvazione sociale. Il problema è che dove finisce la compensazione comincia la malattia, il disagio psichico.
Il problema è che la sessualità è l’ombra, in senso junghiano, la follia della Chiesa, che non può che emergere dopo oltre un secolo di psicoanalisi, anni di femminismo, lotte per la parità dei diritti che hanno portato a mutamenti radicali rispetto all’eros, la corporeità, il piacere, non più omologabili banalmente al male. E come non ricordare, infine, in un mondo torturato dall’AIDS, la reiterata condanna del profilattico, che può configurarsi addirittura come un crimine di pace?
Ma perchè il patriarcalismo porta alla pedofilia?
Innanzitutto per la predilezione per il figlio, il bambin Gesù, carica di aspetti psicologici eccessivamente idealizzati. In secondo luogo, nelle istituzioni religiose, in mancanza di donne, i maschi, adulti o bambini che siano, vivono con particolare vicinanza ai sacerdoti, alla loro solitudine spesso intollerabile, cosa che crea facilità di rapporti di qualsiasi tipo. Inoltre, a livello profondo, potrebbe entrare in gioco la compensazione di sentimenti paterni, inattuabili a livello individuale, nel senso che visto che i sacerdoti non possono avere figli carnali, possono guardare con occhio particolare i bambini come figli negati, per cui lo sguardo può pervertirsi in desiderio pedofilo.
Non è facile avere solo figli spirituali. Ricordiamo infatti che, secondo recenti ricerche, le madri riconoscono i figli al tatto, non con l’odorato come si pensava prima. Il toccare è allora fondativo del riconoscimento, dell’identità che passa attraverso la corporeità: proprio ciò che la Chiesa continua a negare. Ma non si possono negare gli istinti invano, l’io non può ergersi superbamente a loro signore, altrimenti la purezza si rovescia in perversione e la negazione diventa la mano che forsennatamente, in modo coatto, irresistibile, cerca il corpo del bambino, per sconciarlo: padre contronatura che non può che sostituire lo stupro alla carezza.
Finchè i principi etici della Chiesa di Roma saranno improntati al più rigido patriarcalismo, negazione dell’eros, divieto ai sacerdoti di sposarsi, è inarginabile una profonda distorsione, sia verso possibili forme di omosessualità indotta, che rispetto alla incoercibile spinta alla pedofilia. La pedofilia rimossa è quindi latente e minacciosa nell’inconscio istituzionale di tutta la Chiesa, nella sua globalità, non nei singoli casi di passaggio all’atto, in poche mele marce. La repressione, può placare temporaneamente gli animi, ma senza interventi strutturali, la pedofilia, cercando magari di mimetizzarsi meglio, continuerà a riprodursi.
In ultima analisi, forse, ciò che più terrorizza la Chiesa, credo, è l’immagine di una donna sul trono di Pietro, con tutta l’imprevedibilità che ciò potrebbe rappresentare a livello pratico e simbolico.
Dopo tremila anni di patriarcato, i cui scempi – nei corpi dell’uomo, della donna, dei bambini, come sulla terra, in cielo e nelle acque – sono presenti agli occhi di tutti, lasciamo che, oggi, sia Cristo a decidere se vuole incontrare Afrodite.
Non solo avremmo meno preti pedofili, ma, sicuramente, saremmo tutti più felici.