Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

WORK IN PROGRESS N. 32
1 - 2025 mese di Giugno
WORK IN PROGRESS
UN MONDO AL LIMITE
di Andrea Zenari

Viviamo in un mondo al limite; la società è in costante mutamento e da quando Christopher Lasch ha anticipato la contemporaneità con “La cultura del narcisismo” la direzione intrapresa sembra confermare, in una spirale parossistica, quanto prospettato già nel 1979 dall’autore, che descrive un mondo dominato dell’esaltazione dell’individualità e dell’esteriorità, dallo scioglimento dei legami, dalle immagini che alterano l’esperienza ed il senso della realtà e dalla razionalizzazione della vita interiore. La disgregazione sociale sembra infatti essere mutualmente interconnessa alla dissoluzione dei legami affettivi e l’individuo che perde la possibilità di un contatto autentico con l’altro significativo, in grado di infondergli senso e vitalità, perde con esso la bellezza del vivere, che viene dunque ricercata nel fulgore dellideale; il narcisismo sembra così essere l’unica risposta possibile per un individuo al limite, sull’orlo dell’abisso dell’insensatezza. Il crollo dei contenitori socio-familiari ha così drammaticamente alterato i processi di costruzione identitaria lasciando l’individuo travolto da angosce esistenziali e senza punti di riferimento; le personalità narcisistiche e le organizzazioni stato-limite sembrano perciò aver ormai scalzato dal panorama clinico contemporaneo le nevrosi da conflitto tra Es e Super-Io, risultando essere la malattia odierna quella della relazione con l’altro. Non sembrerebbe più quindi essere il Super-Io, rigettato anche nella sua funzione sana e regolatrice, l’istanza interna persecutoria, ma l’eccesso di un ideale dell’Io, immaturo ed ipertrofico edificato sui resti di un Io ideale onnipotente, un “Io-Super” (Bolognini, 2023), che sostenendo fantasie di onnipotenza ed autonomismo anti-oggettuale, favorisce unillusoria autarchia affettiva che slega lindividuo dallautentico incontro con laltro e lo relega in una prigione dorata, condannandolo ad unascesa infinita, come Icaro in volo verso il sole.


La psicoanalisi è quindi chiamata a rispondere ad una nuova sfida, sociale e psicoterapeutica, dovendo riuscire a porsi come strumento di cura per un paziente riluttante al legame di cura stesso, sfiduciato e deluso nei confronti dell’oggetto e rifugiato in un’apparente autosufficienza, incapace di mantenere un legame di dipendenza sano che riattiverebbe langoscia della perdita, risultando pertanto essere un paziente analitico da dover costruire.

La contemporanea cultura del narcisismo sembra perciò essere sempre più una cultura del vuoto, la cultura del non-incontro con l’altro, dove l’individuo, isolato nel proprio inferno di dolore e solitudine, naufraga in un mare di sofferenza sino a sprofondare negli abissi del negativo.

Questa è l’epoca del narcisismo, ma è il suo doppio oscuro la forma prevalente nella società contemporanea. Il narcisismo ha infatti due volti, quello di Eros, un narcisismo libidico legato alla pulsione di vita e quello di Thanatos, un narcisismo anti-libidico legato alla pulsione di morte.


Il narcisismo di Eros è un “narcisismo positivo”, un “narcisismo di vita” (Green, 1982), ma la dicitura non deve trarre in inganno, nella sua forma sana rappresenta una forma di amore per sé e per gli altri, con un’equa distribuzione degli investimenti libidici tra l’Io e gli oggetti, nella sua forma difensiva e patologica rappresenta un ritiro della libido in cui l’oggetto viene escluso e l’investimento libidico (narcisistico) rimane indirizzato all’Io, risultando così essere una forma di impoverimento del Sé e dei legami oggettuali. Il narcisismo di Thanatos è invece un “narcisismo negativo”, un “narcisismo di morte” (Green, 1982), rappresenta un’organizzazione psichica di disinvestimento radicale che non si esprime attraverso l’impiego della libido nell’Io, ma attraverso la sua stessa negazione, prestandosi al servizio della pulsione di morte disimpastata nella ricerca dello zero tensionale, per ritrovare, nel raggiungimento del Nirvana (Freud, 1920), un sentimento oceanico di pienezza anoggettuale, il narcisismo primario assoluto.

Senza la possibilità di un incontro autentico con l’altro necessario il principio di piacere viene  infatti sovvertito ed il “narcisismo di vita” non può realizzarsi; la sofferenza stessa viene erotizzata (Kristeva, 1987) ed Eros e Thanatos si invertono (Rousillon, 2024). Non è infatti Thanatos, la morte, ciò da cui lindividuo si difende, ma Eros, in quanto il coinvolgimento oggettuale autentico riattiverebbe la bruciante ferita narcisistica. Partendo infatti da una condizione di “narcisismo primario”, come forma di relazione in cui l’oggetto, ancor prima di essere percepito come tale, è vissuto come processo, i moti pulsionali disorganizzati e le relative esperienze emozionali dell’infans sono equilibrati da un oggetto rispondente che, in mutui scambi reciproci, gli restituisce significati e bonificati in uno stato di rêverie i contenuti da quest’ultimo proiettati. A partire da affetti-sensazioni la mente dell’individuo si sviluppa quindi in connessione con quella di un altro (Bion, 1962). 


Loggetto primario è perciò un oggetto trasformativo” (Bollas, 1989) in grado di alterare lesperienza del Sé dellindividuo con il proprio idioma di cura; questa esperienza, il conosciuto non pensato” (Bollas, 1989), è ciò che nasce dallincontro tra il vero Sé potenziale” (Winnicott, 1960) e lidioma di cura delloggetto primario, che si inscrive nello psichismo dellindividuo come esperienza esistenziale su un registro affettivo-sensoriale arcaico, pre-simbolico e pre-linguistico, linconscio non rimosso e non rappresentato. Traumi disorganizzatori precoci andrebbero dunque ad intaccare la mente agli albori del suo sviluppo, alterando la “continuità dell’essere del bambino” (Winnicott, 1988) che va così incontro a una delusione narcisistica primaria” (Rousillon, 2014), la base del nucleo melanconico al centro delle patologie del narcisismo. La perdita di contatto con loggetto primario è infatti come una perdita dellEssere, una mutilazione psichica che porta lindividuo a rinchiudersi in sé stesso alla tormentosa ricerca delloggetto perduto (melanconia), oppure a fuggirvi” euforicamente via (mania), interdicendo in entrambi gli scenari, talvolta alternati, il lavoro elaborativo del lutto, recidendo i legami del desiderio ed impedendo laccesso al vivere creativo. Lindisponibilità psichica dellaltro necessario vincola così lIo a unidentificazione melanconica con un oggetto deludente/assente, impossibilitando la costituzione di un ideale dellIo maturo che favorisca la tenuta identitaria, ma relegandolo, come disperata ricerca di senso, allinseguimento di un oggetto non introiettabile, in volo come Icaro verso un sole irraggiungibile, diventano la disperazione la sua stessa identità.


Freud in “Lutto e melanconia” descrive infatti come con la perdita dell’oggetto, “la cui ombra ricade sull’Io” (Freud, 1915), si generi nella melanconia un punto di fissazione che porta l’individuo a identificarsi con l’oggetto perduto, indirizzando l’investimento libidico al mantenimento di questa identificazione come tentativo di ripristinarlo. L’Io per sopravvivere si scinde quindi in due, da un lato l’Io identificato con l’oggetto attraverso una modalità cannibalica, l’incorporazione, dall’altro l’Io residuo, come istanza critica, che gli rivolge violenti attacchi. L’Io rimane così tenuto in vita dall’odio/amore per l’oggetto perduto, ma rimane intrappolato in un lutto inelaborabile e travolto da unangoscia primitiva affrontata con meccanismi di difesa arcaici come la scissione, la forclusione e lidentificazione proiettiva patologica che costantemente impoveriscono lesperienza e distruggono i processi di pensiero, lasciando la trama esistenziale dellindividuo con dei sanguinanti squarci bianchi di non-significazione. Il lutto non può infatti essere elaborato perché il “fantasma dell’incoprorazione” (Abraham, Torok, 1987), includendo l’oggetto nell’Io come suo tratto, si oppone al processo di interiorizzazione, che necessiterebbe di una capacità simbolica per poter essere sostenuto, ma che non può però realizzarsi perché lo stesso oggetto che l’avrebbe dovuta favorire, a mezzo della sua “funzione simbolizzante” (Rousillon, 2014) è l’oggetto assente, innescandosi così un circolo vizioso da cui è impossibile uscire.

Se da un lato l’individuo è quindi intrappolato dentro sé stesso alla tormentosa ricerca dell’oggetto perduto, dall’altro vive in un eterno presente privo di significazioni alla ricerca dell’intenso stimolo necessario che gli possa dare la sensazione di esistere, di essere vivo, percependo come desertificato il proprio mondo interiore, non potendo, a causa del processo di slegamento psichico ad opera di Thanatos, trattenere lesperienza e significarla, non potendo in questo modo costituire una narrazione del proprio Sé che assolva ad una funzione identitaria e che permetta lautentico incontro con laltro, lasciando gli individui come degli impenetrabili fogli bianchi senza storie. Thanatos, ricercando la quiete si oppone così, attraverso la pulsione di morte, all’instaurazione di legami e costruzione di nuovi significati come disperata difesa dell’Io per tutelarsi da unaffettività avvertita come travolgente; di contro, Eros disimpastato, non potendo adempiere al suo mandato di favorire la relazione e la simbolizzazione, produce nel frastuono un eccesso di sensorialità non significabile che deve essere evacuata tramite una scarica tensiva. Essendo il processo creativo e di significazione appannaggio dell’azione impastata delle due pulsioni, che attraverso l’articolazione dei processi di “legame” e “slegamento” intessono la trama esistenziale dell’individuo, quest’ultimo rimane vincolato alla concretezza ed agli stimoli effimeri come ricerca di senso che, tamponando il vuoto affettivo, danno una parvenza di vitalità transitoria e quindi devono essere costantemente ripetuti. Allo stesso modo viene così vissuta la sessualità che, slegata dall’affetto, rappresenta una mistificazione del vero appagamento, risultando essere un provvisorio stato di calma che si propone nelleterno presente senza che lindividuo possa essere autenticamente connesso allesperienza. La sessualità non viene più infatti vissuta come un incontro tra due soggetti, ma come una manifestazione autoerotica in cui l’altro viene desoggettivato, diventando un corpo senza incontro, al fine di permettere una scarica tensiva anti-libidica. Ciò porta ad una frustrazione legata al mancato appagamento del desiderio che lascia l’individuo vincolato alla ripetizione e sempre più distante dalla meta autentica. La possibilità di un reale appagamento è infatti strettamente connessa con la capacità di condivisione del piacere, che si viene a costituire dal rapporto con l’oggetto primario in un intreccio di affettività ed “enigmaticità” (Rousillon, 2014), data dall’incontro erotico eteromorfo della sessualità adulta con quella infantile, in cui al piacere di zona vengono associate l’affettività e la condivisone del piacere stesso, rimandando, in questa relazione, all’oggetto del desiderio sessuale adulto della madre, il padre della propria personale preistoria” (Freud, 1922), che, introducendo sullo sfondo la terzietà, si inscrive nella relazione come segno di differenza e identificazione. La madre, occupandosi del corpo dell’infans è infatti la sua “prima seduttrice” (Freud, 1922) e quest’ultimo, a mezzo dell’identificazione come ponte verso l’alterità con il genitore, effettuerà la scelta dell’oggetto d’amore, superando l’ambivalenza tra identificazione e ostilità con il genitore rivale, padre o madre che sia, sancendo in questo modo il passaggio dall’autoerotismo all’erotismo genitale. L’individuo che si sviluppa su una “linea genitale” (Grunberger, 1965), ovvero sull’asse edipico, raggiungerà così una genitalità matura che permetterà la reciprocità ed il vero appagamento, mentre lindividuo al limite, sviluppandosi su una linea narcisistica” (Grunberger, 1965), rimarrà legato a fissazioni pre-genitali, al piacere di zona e quindi allimpossibilità di raggiungere un vero appagamento, distinguendosi così un “piacere-scarica” da un “piacere-appagamento” (Rousillon, 2014).


Anche l’affettività viene così recitata e svuotata da ogni reale contenuto, diventando una forma di amore senz’anima che si risolve come un rapporto anaclitico di contro-dipendenza e contro-identificazione e che lascia l’individuo, in apparente relazione, legato alla solitudine. Il relazionarsi non diventa più quindi un con-tatto con laltro, ma un con-tratto, volto ad un accomodamento per entrambe le parti. L’Altro diventa il sostituto vicariante di una funzione mancante nell’individuo, l’”oggetto-Sé arcaico” (Kohut, 1977) che possa garantire sicurezza ed un apparente senso di completezza o essere un altro idealizzato in cui rispecchiarsi. Questa forma di legame risulta essere perciò una trappola mortale perché lascia lindividuo, in apparente relazione, solo in una diade, non realmente connesso con laltro ed ancora in preda al proprio dolore, alla costante ricerca di gratificazioni, riproponendo il fallimentare incontro con loggetto primario. L’incontro autentico e l’affettività vera non possono quindi essere sostenute, seppur desiderate, perché esporrebbero l’individuo ad una dipendenza matura, fatta di reciprocità, e conseguentemente all’angoscia di perdita dell’oggetto, riattivando l’originaria ferita narcisistica. Laltro è quindi intimamente desiderato, ma non può mai essere incontrato, come se un sottile velo trasparente impedisse alle persone di potersi realmente toccare, ma allo stesso tempo costituisse lesoscheletro senza il quale lindividuo si dissolverebbe.


L’individuo contemporaneo è perciò un individuo morto che cerca di apparire vivo attraverso questo moto inerziale, logorato e svuotato da una società accelerata dove il tempo, consumato e non vissuto, è spogliato dei suoi significati e l’individuo, intrappolato nella coazione a ripetere, è condannato a questa eterna Danse Macabre.

Slegandosi così dalle vicissitudini del legame oggettuale nel tentativo di rivitalizzare il materno morto l’Io si annichilisce, rivelandosi questa ricerca null’altro che una mortifera illusione che lo destinerà ad annegare dentro sé stesso, come Icaro cadendo dal cielo, attratto sempre più in profondità nel proprio gelido abisso di dolore e solitudine. Quando infatti anche il tentativo di autocentramento dell’Io fallisce, la distanza con l’oggetto diventa incolmabile e la ricerca di una fusionalità con un altro idealizzato non è più possibile, il volo di Icaro diventa allora un’ascesa regressiva verso il nulla, un buco nero, iniziando la ricerca non dellUnità, ma dello Zero, del non-essere,“altra forma d’accesso all’immortalità” (Green, 1982). Il complesso melanconico culmina così, con la rinuncia dell’Io a sé stesso, in un’“anoressia del vivere” (Green, 1982), il “narcisismo di morte”. La figura che emerge è quindi quella di un narcisista “negativo”, orientato verso il regresso e non il progresso, verso la distruzione e non la creazione, incapace di coltivare il desiderio e nutrire speranza verso il futuro. In questo assetto di stagnazione psichica è quindi la “funzione disoggettualizzante” (Green, 1993), come strumento di disfacimento delle operazioni psichiche a prevalere sulla “funzione oggettualizzante”, come spinta al legame ed alla possibilità creativa. Il narcisista negativo si caratterizza infatti nel “desiderio dell’assenza di desiderio” (Green, 1982) trovando in questo modo la sua risoluzione in uno stato di non-appagamento, il piacere e il dispiacere non esistono più, al loro posto c’è il neutro. Una volta ultimata quest’opera di annientamento psichico la parvenza diventa essenza, quella di un corpo vuoto senz’anima; ciò di cui possono infatti essere certi questi pazienti è proprio della loro sensazione di non esistere.


Freud ne “Il disagio della civiltà” (Freud, 1930) osserva come forse sia proprio la società, mutualmente interconnessa allindividuo, che ha ormai assoggettato la natura al proprio dominio, generando però altri problemi, ad essere diventata nevrotica. Su questa riflessione il paradigma del disagio psichico attuale potrebbe dunque essere riformulato, la malattia contemporanea non è più quella del conflitto propria del mondo nevrotico, ma quella del vuoto del mondo al limite. La nuova cultura del narcisismo, la cultura del vuoto, è infatti la nuova religione dell’individuo contemporaneo, ma essa non è che l“avvenire di un’illusione” (Freud, 1927), una falsa promessa che lo condurrà, se non inverte questa rotta, ad un naufragio esistenziale, portandolo ad annegare nellabisso di un mondo la cui anima è malata, un mondo psicotizzato, un mondo fatto di solitudine, destinato a spegnersi nel silenzio. Il mondo al limite rappresenta dunque un mondo con la sua psicopatologia prevalente, ma anche un mondo che brucia, giunto al suo limite, l’ultima frontiera prima del definitivo tracollo.

La “sfida esistenziale” per la psicoanalisi contemporanea è quindi quella di farsi ontologica e riuscire, come afferma Benedetti, a porsi come terapeuti psicoanalitici nelle “fauci del drago” (Benedetti, 1997), ovvero nel personale inferno di solitudine e sofferenza del paziente, per poter ripercorre insieme, attraverso transitori momenti di indifferenziazione, le tappe dello sviluppo abortite e recuperare la sensorialità percettiva perduta nel non-incontro con l’oggetto, consentendo in questo modo la successiva differenziazione e costruzione identitaria. È infatti coniugando la “funzione paterna” dello strumento interpretativo alla “funzione materna” del contenimento che la diade analitica può vibrare all’”unisono” e, grazie alle potenzialità creative e simbolopoietiche dellanalisi stessa,legare”, slegare" e rilegare” il filato della trama idiomatica interrotta dellindividuo per co-costruire nuovi e vitali significati, permettendo così al suo mondo interiore di ri-prendere vita, non una voragine da riempire, ma un deserto da cui, con le giuste cure, può germogliare la vita da dentro. Per poter destare l’individuo contemporaneo dal suo torpore esistenziale sarà dunque necessario ricollocare quanto avvertito come mancante dallo spazio dellassenza a quello della potenzialità creativa, fornendo in questo modo la capacità di avere speranza, non come cieco ottimismo, ma come consapevolezza di senso, di avere significato.


Il volo di Icaro può allora non essere una promessa di morte, ma rappresentare i sogni, le speranze e i desideri più intimi dell’individuo, conteso tra Eros e Thanatos, in questa eterna danza, alla ricerca di un equilibrio, alla ricerca di una reale forma di bellezza, non un riflesso narcisistico in cui annegare in un’illusione, ma un’apertura creativa nei confronti della vita, un’autentica forma di bellezza che gli restituisca la sua capacità di amare, di creare e di evolversi; e sarà forse la psicoanalisi, intesa come arte della bellezza che si esprime nell’incontro con l’altro, a poter offrire all’individuo questa speranza, tra sofferenza e crescita, al fine di permettere una nuova rinascita.

 

 

Bibliografia

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