I NUOVI BAMBINI
di Secondo Giacobbi
Il fenomeno dell’esplosivo aumento, a partire dalla seconda metà del Novecento, della popolazione mondiale, una crescita demografica cui, per la verità, si sottraggono da qualche tempo i Paesi dell’Occidente, è stato ed è accompagnato da un aumento geometrico della spoliazione del pianeta di materie prime, di foreste, di risorse idriche e dalla comparsa di pericolosi, a loro volta forse inarrestabili, squilibri ecologici, che mostrano l’immagine di un madre terra divorata dai suoi figli avidi e voraci. In quest’ottica fantasmatica sembra che la rappresentazione mentale, simbolica e inconscia, di un Bambino affamato e divorante domini inconsciamente la mente collettiva della specie, su cui incombe, specie nell’Occidente sazio e capitalistico, un fantasma apocalittico di autodistruzione. Il futuro ne risulta oscuro e forse anche per questo l’Occidente conosce il fenomeno della “denatalizzazione”, che ha assunto proporzioni particolarmente grandi nella società italiana per la quale appare particolarmente appropriata l’espressione un po’ cupa di “inverno demografico”. La cosa colpisce perché la società italiana era tradizionalmente una società in cui il culto del Bambino mobilitava da sempre un potentissimo richiama emozionale. Forse una componente della questione sta proprio qui, nell’aspetto un po’ “idolatrico” che caratterizza il rapporto con il Bambino della cultura italiana, così fortemente segnata da atteggiamenti mentali e vissuti psichici dominati dal codice materno Nell’attuale società narcisistica e consumistica, infatti, la cura del bambino può risultarne sempre più materialmente, oltre che psicologicamente, costosa e dispendiosa, specie, appunto, in un Paese come l’Italia. Altrove, ed in particolare nei paesi del Nord Europa, dove il rapporto con il bambino è più asciutto, più sobrio e più orientato a promuovere l’autonomia, il fenomeno della denatalizzazione risulta meno pronunciato. E’ vero, in quei Paesi sopravvive più che in Italia uno Stato sociale capace di sostenere la famiglia e l’allevamento dei figli. E tuttavia la denatalizzazione italiana non ci sembra principalmente addebitabile a fattori socio-economici pur importanti. In Italia, più che altrove, “sua maestà” il Bambino, come alcuni hanno ironicamente detto, è anche un oggetto narcisistico oltre che affettivo da accudire, rivestire, gratificare con particola dispendio di risorse.
La rarefazione delle nascite e la pressoché scomparsa dal paesaggio umano italiano delle carrozzine con bambini spinte da mamme o baby sitter, un tempo assai più comuni, è accompagnata da un singolare fenomeno, certamente correlato, che merita l’attenzione degli psicologi più ancora dei sociologi e dei demografi. Mi riferisco al fenomeno, vistosissimo, della crescita esponenziale in questi ultimi anni degli animali di compagnia e in particolare dei cani da passeggio. Interroghiamoci sul fenomeno. Avere un cane, specie per chi abita in città è certamente impegnativo: bisogna portare fuori l’animale almeno due volte al giorno per i suoi bisogni corporali e di movimento. Inoltre gli animali di compagnia sono diventati a loro volta costosi soprattutto in spese mediche. La loro diffusione ha comportato la comparsa di nuove figure professionali, come il dog sitter, l’espansione del settore veterinario e della annessa farmacologia, la crescente medicalizzazione della pratica veterinaria, la nascita di una moda soprattutto per cani e di eventi sociali per festeggiare i “nuovi bambini”. Che succede? L’animale domestico assolve certamente ad una importantissima funzione di gratificazione affettiva: ama e viene amato. Lo rende prezioso anche e soprattutto la capacità che ha l’animale di amare il padrone senza riserve. Potremmo dire, psicoanaliticamente, che è l’unico oggetto affettivo non-ambivalente, e qui risiede una ulteriore sua preziosa prerogativa, che ne fa una sorta di “oasi” relazionale, priva delle ambivalenze e dei conflitti dei comuni rapporti famigliari (genitori/figli, marito/moglie, madre/bambino ecc). Credo che sia soprattutto quest’ultima prerogativa che ha decretato l’esplosione del fenomeno. L’animale di compagnia potrebbe allora essere considerato una sorta di “bene rifugio”, un bene affettivo, che offre quel “rifugio in un mondo senza cuore”, che, secondo una celebre definizione del grande sociologo Christopher Lasch, era un tempo offerto ed è ancora offerta, ma in un modo più flebile, dalla famiglia.
La pratica clinica ci conferma l’ampiezza e lo spessore del fenomeno. Molto più che in passato, infatti, i pazienti ci parlano dei loro animali domestici e di compagnia e ce ne parlano nei termini di oggetti affettivi di grandissima rilevanza e che entrano con forza, ed anche in termini conflittuali, elle dinamiche di coppia e famigliari. In particolare il cane assolve ad una funzione compensativa e di investimento di grande interesse. Il cane è apprezzato per la sua capacità di accettazione totale del proprio padrone soprattutto, più ancora che sul piano affettivo, su quello delle aspettative narcisistiche, così esigenti e dolorose in questa nostra epoca del trionfo e del tormento narcisistici. Alcune battute di pazienti. “lui se ne frega se io non sono ancora riuscito a laurearmi”, “lui non si accorge neanche che io sono bruttina”, “uscire con lui non comporta tutte le menate che la mia compagna mi fa su come mi vesto quando usciamo insieme io e lei”. Al tempo stesso, però, può essere a sua volta un oggetto narcisistico, ad es. in quanto cane di razza da esibire come trofeo o come guardia del corpo capace di impaurire. Invece l’umile bastardino può rappresentare un oggetto riparativo su cui riversare le proprie ambizioni di valorizzare e soccorrere il mondo degli umili. Ci sono quindi, concedendoci uno schema certamente semplicistico, cani per padroni narcisistici e cani per padroni depressivi, Ci sono cani per padroni aggressivi e cani per padroni pacifisti. Il cane può essere un sostituto del bambino piccolo da accudire e di cui parlare con le amiche come si parlava una volta tra amiche dei propri bambini. Il cane al passeggio favorisce favorisce tra i padroni di8 cani interazioni relazionali, nuovi incontri e intense sintonie, amicizie e seduzioni. “tale il padrone, tale il cane” recita una nota formula, che segnala, certamente amplificandolo, il fenomeno, in alcuni casi vistoso, della straordinaria capacità di contagio psichico di cui il cane può essere involontario ricettacolo da parte del suo padrone. Certamente l’animale di compagnia può essere nella coppia sia motivo di coesione e di condivisione sia, e capita che i pazienti ne parlino in questi termini, come motivo di gelosia e conflitto. Ci chiediamo: un cane, o anche un gatto, può essere un oggetto… “edipico”?
L’aspetto che però, in un’ottica psicoanalitica, mi sembra più rilevane per spiegare le attuali e spettacolari fortune dell’animale di compagnia è certamente il suo essere l’unico oggetto affettivo al riparo dall’ambivalenza, che rappresenta nell’attuale società del narcisismo una delle esperienze psichiche più difficili da sostenere ed elaborare.