Nel leggere lo scritto di Roberto Carnevali mi sono ritrovata avvolta nel mio passato di formazione analitica in SPP quando l’esperienza emotiva correttiva di Alexander suscitava tra noi allievi accalorate divergenze rispetto al vocabolo correttiva. Erano per lo più riflessioni che circolavano nei corridoi, alle volte condivise con alcuni nostri docenti/formatori. Personalmente appartenevo alla schiera di coloro che non vedevano di “buon occhio” il termine correttiva, termine che ritenevo assai distante da una forma mentis analitica. Le riflessioni di Roberto, quel suo tradurre in pensieri gli aspetti trasformativi derivati da esperienze emotive, mi sono parse affettive esperienze relazionali trasformative, un costante e personale divenire psichico distante da un clima popolato da aspetti correttivi. Un’esperienza emotiva “correttiva” implica, a parer mio, che vi sia qualcosa di errato, ma la sofferenza psichica non può essere pensata sbagliata, ma risultato di introiettate relazioni primarie affettivamente disfunzionali. Elementi grezzi bisognosi di trasformazione e metabolizzazione in elementi digeribili, integrabili, usabili.
Trasformativa, al contrario, è un’esperienza che immagino all’interno del “noi” analitico, un noi che si evolve grazie al dialogante intreccio di vissuti passati e presenti della coppia analitica che daranno forma al costante e affettivo divenire relazionale capace di trasformare nodosità e distorsioni alfabetiche antiche in nuove narrazioni emotive. Ri-significazioni, chiarificazioni, interpretazioni sono alcuni tra gli “strumenti” che costituiscono il setting analitico popolato a sua volta da stati d’essere e d’esistere nuovi o precedentemente solo fantasticati.
Una ri-alfabetizzazione emotiva di antichi figuranti relazionali deformati, negati, congelati, scissi a causa di una confusione di lingue intercorsa tra adulti e neonati/bambini. Si potrebbe parlare di un espianto/trapianto affettivo-relazionale non tanto di parti psichiche, ma dell’uso psichico di esse che accade all’interno della coppia analitica.
Thomas Ogden ci parlerebbe di terzo analitico quale rappresentante dell’esperienza di analista e paziente uniti nella condivisa base di esperienza emotiva entro la quale ciascuno pescherà individualmente contribuendo e generando “nuove” esperienze di due persone al lavoro!
Due persone accomodate su distinti e differenti ruoli, in comune un’unica posizione psichica: essere entrambi figli. Un figlio analista nell’incontro con un figlio paziente all’interno di un campo di cura relazionale quale luogo costituito da immagini sognanti derivate dai rispettivi mondi psichici relazionali.
Antoine de Saint Exupery nel celebre libro Il Piccolo Principe recitava “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”, un ricordare analiticamente inteso come affettivo con-tatto con parti emotivo-esperienziali narranti le “gesta” dell’antico accudimento relazionale-affettivo.
Un faccia a faccia, dunque, di con-tatti reciproci di analista e paziente accomodati e specchiati all’interno di un setting relazionale popolato da reciproci contagi emotivi che, alle volte, potranno incontrare l’accadere di auto-rivelazioni da parte dell’analista. E sarà l’uso di ogni accadimento e non gli accadimenti a far la differenza all’interno del campo analitico.
La coppia analitica la immagino indaffarata nel circolare e rovistare all’interno di uno spazio immaginato come un deposito-bagagli-relazionali intenta ad osservare, significare e trasformare l’uso dei contenuti emotivi di bauli, valige, pacchi e buste dando vita a nuove esperienze emotive trasformate.
Un divenire trasformativo, dunque, caratterizzato da nuove esperienze emotive della coppia analitica primariamente derivate da timing osservativi, riconoscimenti e riparazioni luttuose.
Un’area intermedia winnicottiana all’interno della quale nasce un’affettiva ri-ossigenazione relazionale. A. Ferro in “Pensieri di uno psicoanalista irriverente” sottolinea il timore che la psicoanalisi possa divenire, alle volte, un ripetere il Kyrie eleison, Christe eleison come celebrazione di un rito.
Riti e rituali che alle volte rischiano di affogare nell’uso di rigide modalità teoriche e tecniche.
Fondamentale l’intreccio tra lo psichismo dell’analista con gli aspetti teorici e tecnici laddove sia capace di creare le possibilità alchemiche di un contagio volto a trasformare la psicoanalisi del sospetto in psicoanalisi del rispetto. Chi siamo stati si specchierà con il chi siamo diventati generando le possibilità di transitare e proseguire in O, l’emozione sconosciuta del momento.
In assenza di memoria e desiderio diventa un movimento oscillatorio tra assenze e presenze, bisogni e desideri circolanti all’interno della coppia analitica. Un qui ed ora condiviso, unico, irripetibile come un sogno o il ricordo di un sogno, un essere ed esistere all’unisono, una sequenza di fotogrammi analitici che rimarranno custoditi in quel terzo analitico derivato dalla coppia analitica. Un rappresentante analitico di nuove situazioni esperienziali affettivo-relazionali all’interno di quella stanza analitica abitata dal circolare di un contagio emotivo senza il quale appare, assai, impensabile qualsiasi aspetto trasformativo.
Nulla da correggere, dunque, ma esperienze emotivo-relazionali nuove frutto di incontri tra scenografie passate e presenti di analista e paziente le quali daranno vita a quello che Mauro Manica definirebbe il tra della coppia analitica.
Attori, spettatori, bigliettai, maschere, suggeritori, costumisti, registi alcuni dei personaggi che sfileranno sul palcoscenico del tra in una circolarità di incontri/scontri volti a scongelare, confondere, riequilibrare, decodificare, rivitalizzare, ossigenare vitalità relazionali antiche rimaste sequestrate, soppiantate da impotenze senza nome.
“Una vita cura una vita” è il titolo di un libro di Franco Borgogno, un libro dal quale si estrapola l’importanza legata alla risposta “affettiva” dell’analista unita all’elaborazione della stessa all’interno della “lunga onda” di dinamiche di transfert e controtransfert, in particolare del processo di working throught. Borgogno sottolinea quanto una relazione analitica, affinché possa divenire autenticamente trasformativa, necessiti che la vita vera di chi chiede aiuto si incontri con la vita vera di chi offre “soccorso”. Una veridicità emotiva che nessuno potrà scegliere, ma eventualmente conoscere e sentire attraverso esperienze emotive. Mi conosco mentre conosco l’altro, mi sento sentendo e facendomi sentire dall’altro, contagi relazionali non programmati, bensì venuti a formarsi nell’incontro tra le rispettive eredità emotive della coppia analitica.
E da ultimo volgo lo sguardo a Sigmund Freud e Sandor Ferenczi, due analisti, due uomini, un analista e il suo discepolo che all’interno di un clima di sincera reciprocità, quasi quotidianamente dal febbraio 1908 fino alla morte di Ferenczi nel maggio 1933, si sono scambiati lettere legate alle loro rispettive eredità relazionali storico-emotive. Un intreccio di vissuti in un costante divenire di esperienze trasformative palpabili attraverso il narrare di quelle umane e preziose lettere, testimonianze dei loro interessi, preoccupazioni, emozioni familiari, ma anche contrasti professionali appartenenti a quel secolo ricco di avvenimenti storici.
Una relazione tra due analisti, ma anche una relazione tra un analista e il suo paziente, ma anche una coppia analitica all’interno di una relazione di reciprocità dove la messa a fuoco di chi è analista e chi paziente, ad occhi non esperti, apparirebbe un’impresa assai ardua.
Una vita cura una vita, recita il titolo del libro di F. Borgogno senza che ciò debba necessariamente sconfinare nel caos dei ruoli, nell’appesantimento della coppia analitica. Il setting mentale dell’analista è ciò che salvaguarda ogni setting che l’analista andrà ad incontrare.
Intendo il viaggio della coppia analitica come un transitare relazionale derivato da esperienze emotive sperimentate all’interno di un setting costituito da conoscenze teoriche e tecniche, ma non da esse imbrigliato. Si fa o non si fa appartiene alla conoscenza analitica, ma ciò che non dovrebbe mai mancare nella stanza di analisi è un ossigeno relazionale che mi piace definire così com’è!