Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 29
2 - 2023 mese di Dicembre
CLINICA
IL CONTROTRANSFERT - COMMENTO AL CASO CLINICO "L’ULTIMO SOGNO" PRESENTATO DA EMANUELE VISOCCHI
di Simone Maschietto

Visocchi presenta un caso clinico che, senza saperlo, si inserisce all’unisono in un tema specifico di questo numero della Rivista: il controtransfert. Probabilmente è stato il suo preconscio che l’ha guidato nel presentare, in questa edizione della rivista (di fine anno…), l’intenso controtransfert, intreccio di vissuti, emozioni, conflitti, determinato da un evento traumatico possibile, ma non ordinario, per uno psicoterapeuta: la morte di un paziente.

Sono grato al collega perché il suo autentico ed emozionante racconto mi ha fatto “sentire e pensare” al tema teorico e tecnico che caratterizza i due articoli di Lampignano e Corbella presenti in questo numero. Ma rintraccio nella presentazione del collega la richiesta, attraverso questa pubblicazione, di una supervisione individuale e gruppale per condividere la difficile elaborazione di questo evento luttuoso; e il gruppo di Pratica Psicoterapeutica, in questo numero, era particolarmente ricettivo sul tema: la morte traumatica e il controtransfert dell’analista quando si ritrova ad affrontarla direttamente o indirettamente nella pratica clinica e nella supervisione.

Visocchi, dal momento che il paziente G.G. inizia a presentare il rilevante problema medico, si trova ad esperire paura, impotenza, dispiacere, illusione; vissuti che il paziente ha proiettato in lui. La morte è il trauma e, seguendo la presentazione del caso, la diade lo subisce e insieme cerca di non subirlo totalmente. Il collega cerca, fino a un certo punto del trattamento, di fare evolvere il suo paziente dalle dimensioni orale e anale (attinenti all’arcaico), di uno stato psicopatologico limite, ad una dimensione più evoluta (riprenderò alla fine del mio commento questo punto nella mia lettura del sogno presentato). Ma di fronte alla malattia, che inizia a bussare alla loro porta, in maniera saggia, sia con intelligenza sia con affettività, diventa esclusivamente supportivo nel porsi accanto al suo paziente nell’affrontare un tale incubo (rispetto al quale l’analisi si interrompe, ma non il trattamento psicoterapeutico). Parlo di incubo perché la possibile morte che si avvicina adombra ciò che si è e ciò che non si è: ci si trova di fronte a un enigma non risolvibile, che quindi è continuamente rimosso. Il collega esperisce tutte le emozioni che vive l’analizzando proiettandole in lui: dallillusione di una (im)possibile guarigione, alla disillusione bruciante della terribile regressione (maligna) che il corpo aggredito da un tumore di tale intensità comporta. G.G. afferma che il tumore lo fa guarire dalla depressione e dal suo solipsismo isolante; la fortezza-casa viene invasa da medici, paramedici, amici, e perfino dall’analista che lascia il suo setting per incontrarlo e per non lasciarlo solo fino all’ultimo. L’onnipotenza del paziente – stato limite –, già presente, si evidenzia anche nella sua modalità di affrontare la morte. Questa difesa è, dall’origine, proprio il baluardo contro la morte: nella psiche del registro primitivo dell’infanzia, l’utilizzo di questo meccanismo protegge dalla possibile frammentazione fintantoché l’oggetto – contenitore – non aiuta l’infante a raggiungere un livello di maggiore strutturazione, per tollerare lo stato di separatezza tra sé e l’oggetto stesso. Anche la percezione della morte fisica scatena quel senso di frammentazione e annientamento che l’umano ha provato nella primissima infanzia, da cui l’onnipotenza fusionale con l’oggetto lo ha protetto.

Inoltre, appare anche il transfert di Visocchi sull’analizzando: il collega mostra una particolare sensibilità verso l’oggetto morente, che potrebbe richiamare i suoi sentimenti verso figure genitoriali che devono affrontare o hanno affrontato il tema della morte. L’analista diventa il figlio che deve stare accanto al genitore fino all’ultimo. Genitore che può contare solo sul figlio perché altrimenti non ha più nessuno, fatta eccezione per la badante, che rimane lì a fianco della “falce nera” che incombe. Penso che il pianto del terapeuta, a livello inconscio, possa anche significare un pianto personale verso il tema della morte genitoriale.

Poi c’è Visocchi con la sua persona, con i suoi sentimenti e la sua umanità che decide inevitabilmente di uscire dal suo ruolo di analista e presenziare al funerale del paziente.

Ritengo che questi tre movimenti rappresentino il controtransfert di Visocchi verso il paziente: un intreccio di vissuti intensi, a tratti drammatici, di difficile e complessa gestione. A Visocchi va riconosciuto il merito di averli affrontati e di essere stato terapeutico verso il paziente, per come ha potuto.

Se mi identifico nel collega avrei tenuto verso me stesso una funzione di maggiore contenimento interno (es.: elaborazione intrapsichica rispetto al dolore mentale e fisico del paziente) e, di conseguenza, mi sarei limitato (es.: non avrei fatto le sedute a casa del paziente e avrei accettato l’inevitabile interruzione della terapia; in considerazione dell’aggravarsi della situazione medica, sarei andato a fargli un breve saluto se lui me l’avesse chiesto, ma non una seduta, e non sarei andato al funerale). Mi sarei appellato alla mia identità di ruolo non difensivamente, ma elaborando “dentro di me” ciò che la situazione tragica inevitabilmente produceva.

Ultima considerazione: per quanto concerne l’ultimo sogno, penso che, come spesso la prassi terapeutica dimostra, diversi colleghi potrebbero dare una diversa interpretazione. Vi propongo la mia: G.G. rimane dietro il bancone (dell’oralità) con due persone, i genitori, e con una (loro) mancanza. Prova a fare il tuffo nel mare dell’erotismo edipico, ma la donna-madre ha l’intimo sporco di sabbia e si deve pulire (come nella fase anale); ogni seduzione maliziosa, ben presente nel sogno, invece è negata (terrore incestuoso). Stare nella stanza (scavata dall’analisi) in tre – figlio, madre e padre – è impossibile, genera angoscia e si deve scappare da una finestrella stretta che dalla cantina porta alla strada. L’inconscio sessuale edipico non può essere tollerato, bisogna scappare sulla strada, sulla superficie; il profondo diventa intollerabile.

Seguendo questottica il sogno, a livello diagnostico e prognostico, rivela che l’analisi per G.G. genera troppa ansia e bisogna fuggirne; anche la malattia tumorale alla gamba (elemento fallico) diventa inevitabilmente l’impedimento finale (castrazione) al prosieguo di un trattamento specificatamente psicoanalitico, intenso ed espressivo.

Ecco come si rivela la drammaticità del controtransfert: all’analista rimane il lavoro faticoso dell’elaborazione di un vissuto difficilissimo, l’impotenza, rispetto sia al fatto che parecchie situazioni cliniche al limite o psicotiche non sono trattabili con la psicoanalisi (come questo caso), sia al fatto che la vita mette l’umano di fronte ad eventi che vanno al di là delle proprie forze (ineluttabilità del proprio destino biopsicosociale).

Sintetizzo il mio concetto in poche parole: l’analista spesso è di fronte al lutto. Ecco perché il mestiere dell’analista è un mestiere impossibile.


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