Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 29
2 - 2023 mese di Dicembre
CLINICA
L'USO CLINICO DEI SOGNI DEL PAZIENTE - VERSIONE APERTA A TUTTI
di Secondo Giacobbi

Il caso clinico presentato nel numero scorso dalla dott.ssa Pagani, data la numerosità di sogni che caratterizza il racconto del caso, si presta ad una riflessione di ordine clinico-metodologico proprio sull’utilizzo dei sogni del paziente.

Non entro nel merito del caso nella sua interezza, analizzato con grande ricchezza di spunti clinico-teorici dal dott. Maschietto. Mi limito qui a testimoniare il grande impegno e la capacità di riflessione della dott.ssa Pagani, di cui sono stato supervisore sul caso.

Come è noto, Freud spezzettava il racconto dei sogni dei pazienti in piccole unità narrative o figurali, rispetto alle quali chiamava il paziente ad associare liberamente fino a che la dinamica associativa sembrava arrestarsi. Freud  scoprì (o credette di scoprire) che le varie linee associative del paziente tendevano a convergere. In che direzione? Non certo nella direzione di quello che Freud chiamava “l’ombelico del sogno”, perché irraggiungibile. La convergenza delle linee associative arrivava però ad evidenziare un conflitto intra-psichico inconscio (raggiungibile però per quanto profondo) sul quale poi Freud lavorava interpretativamente. Ho potuto osservare direttamente l’uso di tale metodo di analisi dei sogni da parte di Musatti, che, a sua volta, lo utilizzava con i suoi pazienti.

Una  considerazione: un simile metodo presupponeva una numerosità e intensività di frequenza delle sedute molto elevato. Tale frequenza di sedute consentiva a Freud di dedicare anche l’intera ora di seduta all’analisi di un unico sogno. È evidente che un uso così minuziosamente esplorativo del materiale onirico è impossibile al giorno d’oggi, quando è sempre più comune la monoseduta settimanale. Freud, peraltro, per molti anni, vedeva per di più, per ben sei volte alla settimana i propri pazienti. Alla fine, con grande ritrosia,  su insistenza della figlia Anna, “ridusse” le sedute settimanali a cinque. Mi consento qui una divagazione storico-culturale. È evidente che Freud non rispettava il sabato ebraico. Del resto era un laico dichiarato, tanto da scoraggiare con forza la moglie Martha dall’osservanza di rituali ebraici nella vita domestica. I grandi intellettuali ebrei del Novecento, orgogliosi della propria ebraicità (come lo stesso Freud), erano, appunto, laici e quasi tutti inosservanti. Questa caratteristica del mondo intellettuale ebraico del primo Novecento, mi permetto di dirlo, è ormai assai meno comune. Ma tornando a bomba, il metodo freudiano di analisi dei sogni, presuppone, come già detto, una frequenza di sedute che oggi è pressochè improponibile, con l’ eccezione dei candidati SPI, “rassegnati” a dover accettare quattro sedute settimanali. Per la verità ci sono anche analisti (pochi) che utilizzano anche al giorno d’oggi sedute frequenti (3/4) anche con alcuni pazienti “laici” (cioè non in formazione analitica). Mi fa piacere dire che uno di questi è proprio il dott. Maschietto. Ho conosciuto, nel mio percorso di formazione, alcuni di questi analisti (parlo di un lontano passato, ovviamente). Come Franco Fornari, il cui metodo di analisi dei sogni aveva però introdotto delle variazioni molto specifiche e interessanti, su cui, per esigenze di spazio, non voglio qui soffermarmi. Ricordo qui anche Mauro Mancia (autore di un libro affascinante , dal titolo significativo: “Il sogno come religione della mente”), che invitava talora i pazienti a trattare certi episodi reali come se fossero sogni, associando liberamente su di essi. È un metodo che credo, in qualche modo,  utilizzi  attualmente, in un suo specifico modello teorico, Antonino Ferro e anche altri. Personalmente utilizzo talora il seguente metodo: invito il paziente a trattare il suo sogno (quando questo ha una struttura sufficientemente coesa) come se fosse un film. Gli chiedo di associare e, in particolare, gli chiedo di spiegare quello che, secondo lui, il “regista” del sogno-film voleva dire con certe immagini o situazioni narrative. Del resto è proprio quello  che facciamo quando guardiamo un film, specie se si tratta di un film di valore intellettuale oltre che artistico. Anche la dott.ssa Pagani ha utilizzato materiale cinematografico (cioè tratto da effettivi film) e, al di là degli aspetti interpretativi del materiale filmico con relative associazioni del paziente (l’aspetto interpretativo, sempre ipotetico, varia, come sappiamo, nei singoli analisti anche di fronte all’identico materiale clinico). L’uso di tale materiale ha certamente favorito l’interazione psicoterapeuta/paziente.

Attualmente l’approccio più comune prevede che il racconto del sogno sia principalmente riferito al rapporto in atto del paziente con lo psicoterapeuta. Di conseguenza l’analista è molto attento a cogliere aspetti o elementi dei sogni che possano offrire occasione interpretative (sempre opinabili, ovviamente) in questo senso, soprattutto per quanto concerne la dinamica paziente/psicoterapeuta  nell’hic et nunc della seduta. Ad esempio è molto importante tenere conto del momento in cui un paziente decide di raccontare un sogno o, addirittura, si ricorda improvvisamente di un suo sogno. Cosa è successo prima, nella seduta? Che cosa è stato detto? È un approccio questo assai produttivo, che utilizzo molto anche io.

Concludo ribadendo che il sogno rimane tuttora la “via regia verso l’inconscio”, perché soprattutto nel sogno che il PreConscio può, all’insaputa del sognatore dormiente, favorire l’emergere di contenuti profondi e profondamente inconsci, che difficilmente sono raggiungibili in stati di veglia. Viene da dire, parafrasando Lacan, “torniamo al sogno”.

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