Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 29
2 - 2023 mese di Dicembre
CLINICA – IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
UCRAINA, UNA GUERRA TANTO VICINA, TANTO LONTANA: OLTRE LA POLTRONA
di Elena Nascimbene

A proposito di pace
[…] Io le ho chiesto se lei ama o non ama la guerra.”
“Amare la guerra!” esclamai io, un po’ scoraggiato.
Il generale mi guardava fisso, inesorabile. Le pupille gli si erano fatte più grandi. Io ebbi l’impressione che gli girassero nell’orbita.
“Non può rispondere?” incalzava il generale.
“Ebbene, io ritengo…certo…mi pare di poter dire...di dover ritenere…”
Io cercavo una risposta possibile.
“Che cosa ritiene lei, insomma?”
“Ritengo, personalmente, voglio dire io, per conto mio, in linea generale, non potrei affermare di prediligere, in modo particolare, la guerra.”
“Si metta sull’attenti!”
Io ero già sull’attenti.
“Ah, lei è per la pace?”
Ora nella voce del generale, v’erano sorpresa e sdegno.
“Per la pace! Come una donnetta qualsiasi, consacrata alla casa, alla cucina, all’alcova, ai fiori, ai suoi fiori, ai suoi fiorellini! E’ così, signor tenente?”
“No, signor generale.”
“ E quale pace desidera mai, lei?”
“Una pace…”
E l’ispirazione mi venne in aiuto.
“Una pace vittoriosa.” Il generale parve rassicurarsi. Mi rivolse ancora qualche domanda di servizio e mi pregò di accompagnarlo in linea…

Così Emilio Lussu nel suo romanzo Un anno sull’altipiano con il suo linguaggio antieroico ci presenta l’aspirazione alla pace come una meta non facile da raggiungere.
Una pace vittoriosa. Piacerebbe a tutti, ma in generale in una guerra c’è un vincitore e un vinto.
In ogni caso, come diceva Luigi Pagliarani, psicologo sociale, fondatore della psicosocioanalisi e della associazione Ariele, la pace non è pacifica, intendendo che la pace sia una cosa da costruire, che non è data una volta per tutte, e per arrivarci, quando ci si arriva, occorre elaborare un conflitto. Così ci ritroviamo noi Europei ad assistere a una guerra alle porte di casa o a una operazione speciale, come preferisce chiamarla Putin, quando il 24 febbraio 2022 diede inizio all’offensiva militare invadendo il territorio ucraino e segnando così una brusca escalation del conflitto russo-ucraino in corso dal 2014. A partire dal 2014 l’Ucraina si era riarmata, beneficiando di aiuti tecnici e informatici e di armi e addestramenti americani. Si è rafforzata proprio quando Putin la credeva divisa e indebolita; Putin era convinto che la dualità della sua composizione etnica la rendesse fragile e quindi quando ha lanciato la sua offensiva era sicuro di poter decapitare l’esecutivo ucraino e ottenere la resa dell’esercito.
Putin ha seguito dapprima una sua via cinese, costruire uno Stato autoritario retto da una élite politica con sostegno tecnocratico. Col tempo, approfittando della debolezza dell’Occidente, ha maturato il progetto di rendere Mosca nuovamente grande, costruendo una larga sfera di influenza, il Russkij  Mir (“mondo russo”).
Biden si è dichiarato pronto a incontrare Putin. Il nostro ministro degli Esteri il 2 dicembre ha dichiarato: “È giunta l’ora di lavorare a un accordo giusto per l’Ucraina”. Ma il giorno dopo Putin ha già chiuso la porta all’incontro, rifiutando la condizione posta dagli USA per il dialogo: il ritiro delle truppe dall’Ucraina.

Dunque, abbiamo già visto due possibili tipi di pace: la pace vittoriosa e la pace giusta. E poi c’è la pace che non è pacifica. C’è poi un altro tipo di pace, come la definisce il portavoce del Cremlino, la pace che garantisca “gli interessi” (della Russia). C’è poi la pace come dovrebbe essere secondo la definizione di Macron, impegnato in una tessitura diplomatica che afferma che lui: “non spingerà mai gli Ucraini ad accettare un compromesso per loro inaccettabile” perché questo non permetterebbe di costruire “una pace duratura”. 
Che la pace possa avere diverse coloriture lo abbiamo visto dalle diverse manifestazioni di piazza per la pace che si sono caratterizzate per molti distinguo, così pure i diversi movimenti per la pace. Comunque sia, al momento noi Europei abbiamo perso quanto credevamo ci spettasse: la certezza della pace nel nostro continente.


Le domande di ieri e di oggi
E dunque abbiamo ripreso a farci mille domande e a interrogarci sul senso della guerra e sul perché di questa guerra. Noi psicosocioanalisti, in particolare, sulle tracce degli studi di Luigi Pagliarani intrapresi con Franco Fornari sul tema della guerra atomica ci ritroviamo ora a porci lo stesso interrogativo che già nel 1915 Einstein pose a Freud in una lettera: “Esiste la possibilità di guidare lo sviluppo psichico dell’uomo in misura tale da difenderlo dalla psicosi dell’odio e della distruzione?”
Le risposte a tutt’oggi non le ha nessuno, però si tratta di acquisire una postura che ci permetta di continuare a interrogarci e a farlo insieme ad altri. Quel che è certo è che noi - che abbiamo a cuore la sfida di poter “organizzare la speranza”, come titolava Luigi Pagliarani un suo bellissimo saggio apparso nel libro di Franco Fornari, Dissacrazione della guerra. Dal pacifismo alla scienza dei conflitti,  1969 - non sostiamo nell’indifferenza. 
Proviamo a lasciarci raggiungere dalla pietà e soprattutto non cessiamo di seguire con trepidazione gli eventi, anche per non correre il rischio di una assuefazione a questa guerra, sentimento che inizia un po’a circolare. Proviamo a costruire con altri soggetti delle reti capaci di creare contenitori in cui sviluppare una cultura di pace, senza sfuggire alla sofferenza cui il conflitto ci espone. La guerra ferisce i valori fondamentali e ci pone in una posizione depressiva forte. Abbiamo visto le immagini dei villaggi liberati dopo l’occupazione della Russia: donne anziane uccise mentre stavano lavando i piatti di cucina.
Quante volte nel gruppo di Ariele che si è costituito intorno al compito “Interrogarsi a partire dalla guerra” abbiamo parlato del nostro senso di impotenza di fronte al conflitto, allo smarrimento di fronte alla considerazione che in questo nostro mondo interconnesso sono pochissimi i soggetti che hanno il potere di decidere? Forse siamo stati attraversati anche da un senso di colpa: noi occidentali non abbiamo fatto abbastanza in passato per evitare che tutto questo accadesse. Una volta terminata la guerra fredda, era necessario identificare gli interessi comuni tra europei e russi; bisognava creare un sistema di sicurezza e di difesa comune fondato sugli interessi vitali di europei, russi e americani. L’errore fu aver portato la vecchia Nato ai confini.
Una cosa ci è chiara: che a questa guerra in un modo o nell’altro noi non siamo estranei e quindi non siamo indifferenti. Qui ci viene in soccorso la lezione di Franco Fornari, che nel volume Psicoanalisi della guerra afferma: […] Per arrivare alla assunzione di responsabilità da parte di ogni uomo, in prima persona, nei riguardi della guerra–distruzione dell’umanità è necessario quindi che ogni uomo si senta colpevole della distruzione di tutti, mentre se è in condizione di vittima sarà indotto a mettere il male nel carnefice.”
Concetto chiarissimo da essere compreso con la mente, un po’ più difficile da calare nella prassi, anche nella prassi della ricerca e di studio.
C’è chi tra di noi ha avvertito l’urgenza di intervenire e di agire e si è avvicinata al Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, partecipando a un viaggio da loro organizzato in Ucraina per cercare di capirne di più. C’è chi ha continuato a leggere e a discuterne in gruppo. Per il centenario della nascita di Lugi Pagliarani, Ariele ha organizzato un “Colloquio” dedicando una mattinata a discutere sul tema della guerra. Il titolo del panel: “la guerra, la crisi eco sistemica: intersoggettività distruttiva e gestione evolutiva del conflitto”.
Relatori Diego Miscioscia e Antonio Piotti del Minotauro che sono intervenuti con due interessanti letture del momento attuale con importanti echi del pensiero di Fornari. Carla Weber ha ricordato l’originalità del pensiero di Pagliarani, la scoperta dell’Altro e l’opera creativa, l’azione emancipatrice. Ha parlato del gruppo anti H sorto a opera di Pagliarani e di Fornari nel 1966 contro il pericolo atomico. Ha ricordato l’impegno di Pagliarani a battersi contro l’ineluttabilità della guerra e a ricercare la creatività della pace, che richiede un lavoro continuo. 

E ora?
E ora? Direbbe Pagliarani.
Ora è il momento di spingersi oltre la poltrona. Nel 1976 Luigi Pagliarani scriveva una presentazione della traduzione italiana del libro di Jaques, Work, Creativity and Social Justice e la intitolava “La socioanalisi, cioè oltre il divano”, dove chiaramente il divano era quello dell’analista. In una nota Pagliarani scriveva: “Si direbbe che certa psicoanalisi, invece di sentirsi stimolata dalle scoperte ardite che viene facendo – perfino su sé stessa in quanto istituzione – con lo spaziare al di là del divano, interrompa l’esplorazione per arroccarsi sul risaputo. Come se, di fronte all’inconscio istituzionale, subentrasse un veto – non so se ascrivibile ad inibizione o a rimozione – e che ad ogni modo è nel segno della repressione della ricerca”.
La sfida è più che mai valida, oggi convocati dal compito di una ricerca/intervento sulla guerra in Ucraina. Ma perché spingersi oltre la poltrona, come, con un po’ di spirito dissacratorio anche nei confronti del Maestro, recita il titolo di questa breve nota? Perché la figura dello psicosocioanalista non necessariamente si caratterizza per l’utilizzo del divano, ossia non tutti siamo psicoanalisti. Ciò che ci caratterizza è l’approccio clinico alla lettura dei fenomeni del presente, una formazione psicoanalitica, condividere un interesse per i temi della polis. Questo ci rende da un lato più liberi nella lettura dei fenomeni, e dall’altro ci espone potenzialmente al rischio di una “anarchia intellettuale”. Siamo comunque tutti seduti sulle spalle dei giganti a cominciare da Freud, il quale non partiva certo dal nulla e, pur nella straordinaria originalità del suo pensiero, nel saggio Psicologia di massa e analisi dell’io attingeva con rispetto e umiltà alla lezione di Le Bon.
Quindi rispetto e umiltà anche nel confrontarci con il tema della guerra in Ucraina.
Certamente la sfida che questa guerra ci pone è una sfida di comprensione della complessità. Poiché la psicosocioanalisi ha l’obiettivo di arrivare ad una azione, a una prassi, prassintesi, diceva Pagliarani, ora più che mai con l’umiltà di riconoscere che non siamo dotati di tutti gli strumenti conoscitivi per avere un quadro esaustivo delle dinamiche in atto, si pone il tema di darsi un compito possibile.  
Già molti anni fa lo psichiatra scozzese Ronald David Laing si domandava: Ci è ancora possibile forgiarci un destino, sfuggendo a questa fatalità infernale e disumana? Si riferiva alla guerra.
Già mettersi all’opera per tentare di dare una risposta sul campo a questa domanda cruciale si propone come un compito sfidante per il tempo presente.

Bibliografia 
Fornari F. (1966), Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano.

Forti D., Natili F., a cura di (2014) , L. Pagliarani. Saggi scelti, Guerini e Associati.

Habermas J.,“La Repubblica, GEDI, (19 febbraio 2023).

Morelli U., C.Weber C., a cura di (2012), L. Pagliarani.Violenza e bellezza. Il conflitto negli individui e nella società, Guerini e Associati, Milano.

Morin E. (2023), Di guerra in guerra. Dal 1940 all’Ucraina invasa, Raffaello Cortina, Milano.

Pagliarani L.(1985), Il coraggio di Venere, Raffaello Cortina, Milano.

Pagliarani L. (1995), Amore senza vocabolario. Racconti dal Lager 1943-1945, Guerini e Associati, Milano.

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