Presento un breve elaborato di natura teorica, che vuole essere un approfondimento del concetto di coazione a ripetere, uno dei temi centrali del caso clinico illustrato da Davide Fiocchi e supervisionato da Simone Maschietto.
Essendo un concetto ampio e complesso, premetto che questo scritto non sarà esaustivo. Pertanto, propongo una breve selezione di quelli che mi sono sembrati i contributi più significativi in relazione al caso clinico.
Introduco il concetto citando la voce “coazione a ripetere” presente nell’Enciclopedia della psicoanalisi (2010) dove gli autori J. Laplance e J.B. Pontalis scrivono:
A livello di psicopatologia concreta, processo incoercibile e di origine inconscia, con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi del prototipo e con invece l'impressione molto viva che si tratti di qualcosa pienamente motivato dalla situazione attuale.
Dal punto di vista teorico la coazione a ripetere è considerata come un fattore autonomo irriducibile in ultima analisi a una dinamica conflittuale in cui intervengono soltanto l'azione congiunta del principio di piacere e di realtà. Essa è attribuita fondamentalmente al carattere generale delle pulsioni: il loro carattere conservatore.
Questa nozione è al centro dell’importante testo di S. Freud: “Al di là del principio di piacere” del 1920, nel quale vengono messi in discussione alcuni aspetti fondamentali della sua teoria. In questa opera, infatti, Freud completa il concetto di pulsione precedentemente elaborato. Si tratta di un lavoro complesso, come segnalato nell'avvertenza editoriale del testo in cui si scrive: “Freud che in genere era rapido nella stesura dei suoi manoscritti (si pensi ai lavori di Metapsicologia del 1915) impiegò più di un anno per terminare questa breve monografia”.
Per spiegare le ragioni di questo blocco, che durò dal 1919 al 1920, viene ripresa l’ultima parte della lettera che Freud scrisse alla sua amica e discepola Lou Andreas-Salomè:
Ho scelto come argomento della mia indagine il tema della morte, dal quale sono approdato a una singolare concezione relativa alle pulsioni e ora mi tocca leggere una quantità di cose in proposito: Schopenhauer, per esempio, e per la prima volta. Ma non leggo volentieri.
Prima di entrare nel merito rispetto ai cambiamenti teorici introdotti, penso che sia importante riprendere il concetto di Freud secondo cui la vita psichica sarebbe dominata dal principio del piacere. Esso presuppone che il flusso degli eventi psichici sia sempre stimolato da una tensione spiacevole e che prenda una direzione tale che il suo risultato finale coincida con un abbassamento di questa tensione, e cioè con il fatto di avere evitato dispiacere o aver prodotto piacere.
Freud, però, nota che non è esatto parlare dell'egemonia del principio di piacere sul flusso dei processi psichici, perché, se così fosse, la stragrande maggioranza di essi sarebbe accompagnata da piacere o porterebbe a piacere, mentre l’universale esperienza si oppone energicamente a questa conclusione. Dunque, si potrebbe dire che nella psiche esiste una forte tendenza al piacere che, però, è contrastata da alcune forze o circostanze. Ma, se ci poniamo il problema di quali siano queste circostanze, ci troviamo nuovamente su un terreno noto e sicuro grazie all’abbondante materiale che proviene dalle esperienze cliniche: un primo caso è quello in cui il principio di piacere, sotto l’influenza delle pulsioni di conservazione dell’Io, è sostituito dal principio di realtà il quale, pur senza rinunciare al proposito finale di ottenere piacere, esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento, la rinuncia a particolari possibilità di conseguirlo e la temporanea tolleranza del dispiacere.
Un'altra fonte di dispiacere che lo alimenta con minore regolarità è data dai conflitti e dalle scissioni che si verificano nell’apparato psichico mentre l’Io realizza il suo sviluppo verso forme di organizzazione più complesse.
Nel testo viene, inoltre, citato il caso delle nevrosi traumatiche e delle nevrosi di guerra, dove la vita onirica porta il malato a rivivere le situazioni traumatiche, alcune forme di gioco infantile (il noto gioco del rocchetto) e il comportamento dei pazienti in analisi dove il malato piuttosto che ricordare è indotto a ripetere il contenuto rimosso nella forma di un’esperienza attuale.
A questo punto Freud si chiede qual è la relazione tra la coazione a ripetere e il principio di piacere? La coazione a ripetere, infatti, richiama in vita esperienze pregresse che escludono qualsiasi possibilità di piacere, esperienze che non possono avere procurato un soddisfacimento neanche in passato. I pazienti ripetono, dunque, nella traslazione situazioni indesiderate e dolorosi stati affettivi: interrompono il trattamento prima che sia ultimato, ricreano l'impressione di essere disprezzati, sanno costringere il terapeuta ad apostrofarli con abilità oppure a trattarli con freddezza.
L’aspetto che più colpisce è che questo eterno ritorno dell'uguale sembra essere subito dal paziente in maniera passiva; un’esperienza sulla quale non riesce a influire, incorrendo immancabilmente nella ripetizione dello stesso destino.
Le manifestazioni della coazione a ripetere rivelano una forza pulsionale, che non spinge al cambiamento e allo sviluppo, bensì è l’espressione della natura conservativa degli esseri viventi; una spinta insita nell'organismo volta a ripristinare uno stato precedente a cui l'essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l'influsso delle forze perturbanti provenienti dall'esterno.
Ed è qui che viene introdotto il concetto di pulsione di morte che, per maggiore chiarezza, espongo riprendendo la voce “pulsione di morte” tratta dal testo dall’Enciclopedia della psicoanalisi già precedentemente citata:
Nel quadro dell'ultima teoria freudiana delle pulsioni designano una categoria fondamentale delle pulsioni che si oppongono alle pulsioni di vita e tendono alla riduzione completa delle tensioni e cioè a ricondurre l'essere vivente a uno stato inorganico. Rivolte dapprima verso l'interno e tendenti all'autodistruzione le pulsioni di morte verrebbero successivamente rivolte verso l'esterno manifestandosi sotto forma di pulsione di aggressione o di distruzione.
La pulsione di morte rappresenta, quindi, per Freud, la tendenza fondamentale di ogni essere vivente a ritornare allo stato inorganico e la libido ha il compito di mettere questa pulsione distruttiva nell'impossibilità di nuocere e assolve a questo compito dirottando gran parte della pulsione distruttiva verso l'esterno e contro gli oggetti del mondo esterno, prendendo così il nome di pulsione di distruzione, di appropriazione e di volontà di potenza. Una parte di questa pulsione è messa al servizio della pulsione sessuale (vedi il sadismo) un'altra parte invece non viene estroflessa e permane nell’organismo (masochismo originario).
Un punto di vista diverso, rispetto al concetto di coazione a ripetere, particolarmente utile dal punto di vista clinico, è stato fornito dallo psicoanalista scozzese W. R. D. Fairbairn.
L’autore mise, infatti, in discussione la premessa freudiana secondo la quale la motivazione fondamentale della vita è il piacere e propose un punto di partenza alternativo: la libido non è orientata al piacere, ma all'oggetto. La spinta motivazionale fondamentale nell'esperienza umana non è la gratificazione e la riduzione della tensione, quanto piuttosto il legame con gli altri come fine a se stesso. Il bambino freudiano agisce come organismo individuale e gli altri assumono importanza soltanto attraverso la funzione che svolgono nel soddisfare i suoi bisogni. Per Fairbairn, al contrario, il bambino è programmato per interagire con l'ambiente umano e il piacere è una forma, forse la più meravigliosa, di contatto con gli altri. Se i genitori avviano scambi piacevoli con il bambino esso impara a ricercare il piacere non come fine a se stesso, ma come forma appresa di contatto e interazione con gli altri. Ma che cosa succede se, invece, i genitori procurano ripetutamente esperienze dolorose? Nel suo lavoro con i bambini maltrattati, l’autore rimase colpito dall'intensità dell'attaccamento e della fedeltà che questi bambini nutrivano nei confronti dei genitori maltrattanti: la mancanza di piacere e gratificazione non avevano minimamente allentato il legame, piuttosto essi finivano per ricercare la sofferenza come una forma di contatto con gli altri.
I bambini e in seguito gli adulti, quindi, cercano negli altri il tipo di contatto che hanno sperimentato all'inizio del loro sviluppo. Questo lo vediamo bene nelle relazioni sentimentali o nelle relazioni in generale: gli altri non sono universalmente desiderabili, ma lo sono a seconda della risonanza con gli attaccamenti a vecchi oggetti: percorsi e toni di interazione che, nella prima infanzia, sono stati proposti come esempi di amore.
Secondo lo psicoanalista scozzese, anche l’analista viene, quindi, vissuto dal paziente nel transfert, secondo vecchi modelli relazionali, conservati nelle sue relazioni oggettuali interiorizzate.
Per S. Freud è l’insight a rendere libero il paziente: il principio di realtà prende il posto del principio del piacere, retaggio della prima infanzia, che condanna alla frustrazione.
Per Fairbairn, l’analizzando deve poter, attraverso la relazione analitica, cominciare a credere in modelli relazionali nuovi, percepiti come soggettivamente più costruttivi, rispetto a quelli che hanno caratterizzato il proprio passato.
Un altro autore che fornisce un ulteriore spiegazione alla coazione a ripetere è Joseph Sandler ricordato nella storia della psicoanalisi per il lavoro di sistemazione e verifica di gran parte del corpo concettuale e, in particolare, per il suo tentativo di integrazione del modello pulsionale con quello relazionale.
Secondo l’autore, le relazioni del bambino con gli oggetti primari diventano il prototipo dei successivi desideri che rientreranno in tutte le future relazioni.
Quando proviamo un desiderio attiviamo in noi la fantasia, di solito inconscia, di una determinata interazione che è stata in passato sperimentata come gratificante o di una serie di interazioni e di ruoli in esse giocati (identità di percezione). Secondo Sandler, l'individuo, per raggiungere lo stesso tipo di identità di percezione, può percorrere varie strade. La più comune di esse consiste nell'agire nella realtà in modo da fare sì che le cose vadano come nella fantasia gratificante. L'individuo allora adotterà un comportamento inteso a provocare la risposta desiderata da parte di personaggi con i quali interagisce (attualizzazione). Ma questo può anche comportare il dispiegarsi di comportamenti patologici intesi a riprodurre relazioni patogene. Quindi se un paziente avesse avuto da piccolo un genitore sadico e avesse sperimentato come unica modalità di rapporto una sottomissione spaventata o rabbiosa, allora potrebbe essere portato ad agire nella realtà in modo tale da riassumere questo ruolo e da fare assumere all'altro quello di genitore sadico.
Lo scopo principale di attualizzare relazioni interiorizzate patogene è quello di mantenere dentro di sé sentimenti di sicurezza. La rispondenza di ruolo si ritrova anche nella relazione analitica con il paziente. A questo proposito Sandler suggerisce che gli analisti dovrebbero permettersi una “rispondenza liberamente fluttuante” mediante la quale l’analista, almeno in parte, dovrebbe accettare il ruolo assegnato, riflettere su esso e farne un buon uso per la comprensione del paziente. L’analisi del controtransfert ha, ovviamente, una parte essenziale in questo processo.
Scrivono Fonagy e Target (2003; p.126):
Molti ‘dialoghi’ – per usare i termini di Sandler – fra il Sé e l’oggetto sono estremamente dolorosi e tuttavia, paradossalmente, sono mantenuti inalterati dai pazienti. Come ha sottolineato Sandler, questi dialoghi procurano un sentimento di sicurezza, poiché permettono al paziente di continuare a esperire la presenza dell’oggetto. Nella fantasia, l’oggetto interno può quindi continuare a incarnare aspetti inaccettabili della rappresentazione del Sé, aumentando così l’esperienza di completa sicurezza nell’economia mentale degli affetti.
La rispondenza di ruolo si ritrova anche nella relazione analitica con il paziente. A questo proposito Sandler suggerisce che gli analisti dovrebbero permettersi una “rispondenza liberamente fluttuante” mediante la quale l’analista, almeno in parte, dovrebbe accettare il ruolo assegnato, riflettere su esso e farne un buon uso per la comprensione del paziente. L’analisi del controtransfert ha, ovviamente, una parte essenziale in questo processo.
BIBLIOGRAFIA
Fairbairn W. R. D., From Instinct to Self: Selected Papers of W. R. D. Fairbairn, Aronson, New York, 1994.
Fonagy P. e Target M., Psicopatologia evolutiva – Le teorie psicoanalitiche, Raffaello Cortina, Milano, 2003
Freud S. (1920), “Al di là del principio di piacere”, in OSF vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino..
Laplanche J., Pontalis J. B., Enciclopedia della psicoanalisi, vol. 2, Bari-Roma, Laterza, 1981..
Lis A., Stella S., Zavattini G. C. (1999), Manuale di psicologia dinamica”, Il Mulino, Bologna.
Mazzotta L. (2013), “Sandler e gli oggetti interni”: https://www.lucamazzotta.it/sandler-e-gli-oggetti-interni/
Mitchell S. A., Black M., (1996); L’esperienza della psicoanalisi. Storia del pensiero psicoanalitico moderno, Bollati Boringhieri, Torino.
Nagera H. (1978), I concetti fondamentali della psicoanalisi. Pulsioni e teoria della libido, Vol.1, Bollati Boringhieri, Torino.
Sandler J. (1980), La ricerca in psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino.
Sandler J., Holder A., Dare C. (2005), I modelli della mente di Freud, FrancoAngeli, Milano.