Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 28
1 - 2023 mese di Giugno
CLINICA – IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
SCUOLA DI PSICOTERAPIA PSICOANALITICA SPP SFOGLIANDO IL NOSTRO GRANDE ALBUM DI FAMIGLIA (SECONDA PARTE)
di Giorgio Meneguz

Johannes Cremerius – Seminario psicoanalitico di Zurigo (PSZ) – Scuola di psicoterapia psicoanalitica (SPP)

Tra le diverse attività del Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia un paio meritano di essere segnalate: 1) la giornata di studio sulla psicoterapia in Italia del 30 ottobre 1965, con interventi preordinati di Mario Moreno, Franco Basaglia, Giuseppe Maffei, Dario De Martis, Edoardo Balduzzi e altri; 2) il convegno sulla formazione degli psichiatri nella situazione italiana che fu organizzato circa un anno dopo, l’11 dicembre 1966, con interventi di Galli, Porta, Garavaglia, Fornari, Napolitani, Ancona, Abraham, e altri. Alla giornata di studio sulla psicoterapia in Italia Gaetano Benedetti fece una splendida introduzione. A cui seguirono le relazioni di Cremerius per la situazione in Germania e Christian Müller per la Svizzera (“l’unico paese in cui gli psichiatri partono dalla filosofia, di Jaspers, e non dalla neurologia”); c’era anche Michael Balint, che presentò il suo metodo sulla formazione al lavoro di gruppo. I temi erano incentrati 1) sulla resistenza degli psichiatri a mettere in discussione il loro rapporto con i pazienti, e 2) sulla formazione al rapporto col paziente unita alla consapevolezza critica della propria relazione col bisogno di potere, di possesso, di sfruttamento altrui. Intervennero: Canestrari, Garavaglia, Müller, Napolitani.

Cremerius (1918-2002) aveva iniziato a collaborare con i colleghi italiani grazie a Emanuele Gualandri, che lo conobbe alla giornata di studio sulla psicoterapia che si era tenuta a Milano nel 1965. Gualandri ne rimase affascinato e si accordò con lui per fare supervisioni mensili a Giessen, dove Cremerius abitava in quel periodo. Un giorno si decise e gli fece la proposta di collaborare col gruppo milanese di Galli. Cremerius accettò, non solo per ragioni professionali ma anche perché negli italiani, così diceva, ritrovava i tratti del carattere dei tedeschi della sua regione di origine (era nato nel 1918 a Moers, nella Renania Settentrionale-Westfalia, regione in cui la cultura dell’Impero romano ha lasciato diverse tracce interessanti). Durante la guerra era entrato al Collegio Ghislieri di Pavia frequentando corsi di filosofia. Fu poi rimpatriato dai nazisti e spedito al fronte russo come medico. Amava raccontare divertito, facendo finta di inciampare in un errore di lingua, che dall’alto suo appartamentino, che dava sul centro storico di Pavia, lui vedeva «tutte le tette di Pavia!»

Dopo quel convegno milanese sulla formazione degli psichiatri il gruppo si ritrovò come al solito al ristorante, e Cremerius si trovò subito bene con Galli e gli altri colleghi milanesi, si fece conoscere anche per il suo lato giocoso e mondano: con alcuni di loro andava a visitare i luoghi di interesse culturale, con altri andava alle svendite di Brigatti per acquistare giacche e indumenti elegantissimi, con tutti cenava da Alfio, in via Senato, o alla taverna Sant’Ambrogio in via Sant’Agnese, dove Giambattista Muraro intratteneva il gruppo raccontando barzellette.

Prima di soffermarci sulla figura di Cremerius, occorre dire qualcosa su tre analisti molto attivi nel gruppo di Galli. Emanuele Gualandri (1929-2017) aveva mosso i primi passi della formazione psichiatrica nella clinica di Cazzullo e nel 1962 decise di entrare in analisi con Benedetti. Arrivò a Basilea con la sua Fiat 600. Aveva con sé due fogli di presentazione: uno per Paul Kielholz da parte Cazzullo, che era suo amico, in cui raccomandava Gualandri per l’assunzione presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Basilea, e l’altro scritto da Galli per Benedetti, perché lo accettasse in analisi. Kielholz (1916-1990) era il direttore della clinica psichiatrica dell’Università, un organicista che aveva “soffiato” il posto a Benedetti grazie al fatto che a Basilea c’erano molte grandi ditte di psicofarmaci, come la Ciba, Hoffman, La Roche. Erano tutte lì. A dirigere la clinica universitaria non potevano mandarci uno psicoanalista, ma solo uno psichiatra organicista che garantisse con l’ideologia farmacologica, la continuità dei loro profitti. Comunque, Kielholz era di idee aperte e aveva assunto nella clinica, come assistenti, quattro psicoanalisti, tra cui Gualandri. Il primo giorno di lavoro iniziò con una riunione. Un giovane psichiatra presentò il caso di uno che aveva appena ricoverato. A un certo punto questi mostrò una lastra del cranio e si mise a raccontare un sogno del paziente, cercando di dimostrare una correlazione tra il sogno e le evidenze del cervello sulla radiografia. Dopo pochi anni di permanenza a Basilea, Gualandri tornò in Italia e nel 1969 lavorò per un anno a Reggio Emilia con l’équipe di Giovanni Jervis (1933-2009), il quale aveva lasciato la comunità terapeutica di Gorizia dopo tre anni d’impegno. In quel periodo Gualandri affiancò Giorgio Antonucci (1933-2017), psichiatra innovatore di cui abbiamo fatto cenno nella prima parte, ma su cui vale la pena dire qualcosa. Sia nei due anni di lavoro rivoluzionario a Reggio Emilia che a Imola, dal 1973 al 1996, Antonucci e il suo gruppo riuscivano a coinvolgere i concittadini del paziente con incontri pubblici, con sindaci, forze dell’ordine, assemblee, riunioni con i consigli di fabbrica, nelle osterie: un vero lavoro territoriale mirato a rispettare la dignità dei pazienti evitando i ricoveri. Ascoltiamo le sue parole: «Io, quando sono di guardia faccio decadere tutti i trattamenti sanitari obbligatori. Attribuisco a questo un valore fondamentale: in tal modo esco da qualsiasi tipo di psichiatria, perché essa (vecchia e nuova) è basata sul controllo della volontà altrui, sull’intervento violento nella vita degli altri. Vengo perciò attaccato da psichiatri, amministratori, partiti, pretori; forze che non sospettano neppure che il paziente debba prendere decisioni da sé. Mi muovo nella prospettiva di una società libera dove siano risolti i bisogni della casa, del lavoro, dove ciascuno abbia diritto ad un ambiente non di rifiuto ma di collaborazione con la propria volontà, di partecipazione con la propria individualità originale, con la propria storia. Questo è da sottolineare: sono ostile ad una visione liberistica che sanziona la vittoria del più forte socialmente. Cancellando la psichiatria si cerca di difendere i più deboli. Il liberismo è per chi ha più potere (economico, culturale, ecc.). Si tratta di lottare con chi non ha potere, per quelli che, non solo attraverso la psichiatria, vengono o sottomessi o demoliti» (Il pregiudizio psichiatrico, Introduzione di Giuseppe Gozzini). A fianco di Antonucci, Gualandri coordinava un gruppo di operatori, psichiatri, infermieri, nelle discussioni sui ruoli.

Con Gualandri erano molto attivi nel gruppo di Galli altri due analisti che hanno formato diversi nostri colleghi più anziani e insegnanti della SPP: Giambattista Muraro e Enzo Codignola. Muraro si era formato a Basilea, dove abitava con Gualandri. Era stato in analisi con Benedetti a Basilea e in supervisione con Philipp Sarasin. Sarasin (l’abbiamo incontrato più sopra) fu l’analista di Brun, il primo analista di Benedetti (e, come vedremo, analizzò anche Morgenthaler, Parin e Goldy Matthey del Seminario psicoanalitico di Zurigo). Dopo l’analisi con Benedetti e un buon numero di supervisioni con Sarasin, Muraro si trasferì a Zurigo per entrare in supervisione con Morgenthaler, Cremerius e con il fondatore della Daseinanalyse Medard Boss (con cui si erano formati sia Benedetti che Cremerius) e per frequentare i seminari di Heidegger. Quindi tornò a Milano, dove pubblicò il bel libro di tecnica Sorpresa ed enigma. La funzione del rapporto nella prassi psicoanalitica e la definizione di analisi. «Non credeva nell’analisi di gruppo, disprezzava le “telenovele del controtransfert”, era scettico sulle scuole di psicoterapia, era incazzato con una certa femminilizzazione della psicoanalisi “operata dai vari Musatti e Fornari del tempo”. Era molto critico verso la psicologia dell’Io e con tutta la psicoanalisi di derivazione americana» (Franco Merlini, “Le regole e l’arte di arrangiarsi”, in Terapeuti, a cura di Sergio Erba, p. 78).

L’altro pezzo forte del gruppo di Galli era Enzo Codignola (1930-1977), che si era formato a Kreuzlingen, dal 1960 al 1963 con Binswanger. Tornato dal lago di Costanza e da Zurigo per frequentare il gruppo di Galli, faceva regolarmente la spola tra Genova, dove abitava, e Milano. Scrisse il libro Il vero e il falso. Lo pubblicò nel 1977 (poco prima di morire a 47 anni) ma lo aveva iniziato nel 1962 durante le discussioni con Galli, Bolko, Muraro e Berthold Rothschild. A Genova Codignola fu il leader del gruppo collegato a Psicoterapia e scienze umane, di cui fecero parte anche Teresa Corsi Piacentini, Antonella Mancini, Piergiorgio Battaggia (analizzato da Silvia Montefoschi) e Piermaria Furlan (1943-2022) di Torino. Formatosi con Cremerius e Benedetti, Furlan aveva svolto un ruolo determinante per chiudere il manicomio di Collegno – fu perito di Muccioli durante il “processo delle catene”.

Torniamo a Cremerius. L’esperienza di analisi didattica che aveva iniziato a trent’anni, nel 1948, con Fritz Riemann a Monaco (membro della Società Psicoanalitica Tedesca – DPG – analizzato da Therese Benedek, da Felix Bohem e da Harald Schultz-Hencke), si rivelò una grande delusione.

Nel 1950 anch’egli come Gaetano Benedetti poté visitare per sei mesi diversi istituti di formazione della Società Psicoanalitica Americana: a Chicago, Topeka, New York, Washington, Boston, dove conobbe e lavorò, anche in supervisione, con i più noti analisti internazionali.

Durante il viaggio da Brema a New York sulla nave Liberty ebbe l’occasione di conoscere e dialogare con Felix Schottländer (1892-1958), fondatore con Alexander Mitscherlich della rivista Psyche, analizzato negli anni Trenta da Helen Deutsch e da Edward Bibring. Le idee di Schottländer sulla psicoanalisi – concepita come un trattamento salvifico di natura teologica, in cui l’analista assumerebbe un atteggiamento essenzialmente religioso allo scopo di favorire nel paziente la comprensione del senso della vita – lo delusero perché vi ritrovò un misticismo analogo a quello che aveva subìto nell’analisi con Fritz Riemann. Giunti a New York furono accolti da una festa di benvenuto a base di wurstel, crauti, birra e musica popolare tedesca. Nei giorni successivi Cremerius organizzò il viaggio conoscitivo e formativo in alcuni istituti e cliniche psicoanalitiche tra New York, Washington, Boston, Topeka e Chicago.

Un giorno, era il 1999, Cremerius mi comunica che è morto Eissler e che ha interrotto la stesura della sua autobiografia per scrivere un articolo in sua memoria, dopo avermelo fatto leggere lo avrebbe girato a Ciro Elia per la rivista dell’ASP. Eissler era stato in analisi con August Aichhorn e con Richard Sterba (con il quale Cremerius ebbe una interessante corrispondenza). Apro una parentesi a proposito di Sterba. A casa di Cremerius si parlava di Kohut quando improvvisamente mi disse di salire con lui all’Olimpo (il suo studio in mansarda). Da un faldone tirò fuori una lettera di Sterba del 7 giugno 1984. Disse che allora gli aveva inviato due articoli, “Un’analisi critica della tecnica terapeutica di Kohut” e “Freud al lavoro: uno sguardo al di sopra della sua spalla”, e iniziò a leggere la lettera traducendo simultaneamente:

Caro collega,

Concordo pienamente con i tuoi commenti. Da anni combatto contro l'atteggiamento sterile e disumano che qui insegnano gli istituti. Quante volte ho sentito urlare: ’But this is a parameter’ quando nella presentazione di un caso ho mostrato che esprimevo al paziente una comprensione umana. In particolare, trovo indispensabile la sua (e quella di Freud) enfasi sull'importanza di favorire un transfert positivo all'inizio di un’analisi.

E poi ancora:

Si può apprendere molto più della tecnica di Freud dalle sue storie cliniche che dai suoi scritti tecnici. La tua interpretazione di ciò che gli ex pazienti riferiscono sul comportamento di Freud in analisi è particolarmente preziosa. Io stesso ho riportato alcune di queste comunicazioni, che ho ricevuto dai pazienti di Freud, nel mio libro di recente pubblicazione, Reminiscenze di uno psicoanalista viennese. Il libro sarà pubblicato tra un anno in tedesco, formato tascabile, da Fischer Verlag, Francoforte.

È come se Freud avesse fatto un gesto particolarmente amichevole e ti avesse invitato nel suo studio. Ti ha teso la mano sulla porta e, per così dire, ti ha trascinato nella sua stanza. È stato solo per un momento, ma ti ha fatto sentire subito a tuo agio. L’ho provato anch’io qualche volta. Un membro del gruppo di Chicago, il Dr. Basch - non un devoto di Kohut – ci ha fatto capire durante una conferenza tenuta qui a Detroit su quanto sia diventata distorta, in America, la cosiddetta posizione ‘neutrale’. Ha detto di essere sorpreso di non aver danneggiato l'analisi di uno dei suoi pazienti quando si è scusato per aver iniziato la seduta in ritardo. Il suo comportamento era così irresoluto che considerò tecnicamente pericolosa la reazione più naturale al proprio ritardo nel chiedere scusa. Sono assolutamente d'accordo con te se attribuisci il miglioramento del paziente Z in seconda analisi all'atteggiamento più umano dell'analista. A proposito, da tutto quello che sento, si dice che Kohut sia diventato estremamente arrogante e dominante dopo la sua ‘scoperta’ del Sé. Il mio incontro con lui è avvenuto prima della “teoria del Sé,” e mi è apparso come una persona intelligente e piuttosto divertente. Abbiamo volato fianco a fianco da New York a Rio de Janeiro chiacchierando per tutta notte di Vienna e di musica. La sua comprensione della musica e le sue valutazioni mi sembravano banali. È stato possibile avere solo un'impressione superficiale, che sto dando qui, perché potrebbe interessarti.

La lettera sta diventando troppo lunga, ma il ‘nuovo’ insegnamento di Kohut ha prodotto qui un tale ‘splash’, specialmente nella comunità analitica di Chicago, che è necessario affrontarlo. Tuttavia, mentre scrivo, ‘l'onda Kohut’ è in declino.

Nei miei 60 anni di partecipazione a eventi analitici, ho sperimentato una serie di tali ondate, a partire dalle innovazioni tecniche di Reich sulla "tecnologia degli ultimi anni della vita" di Ferenczi, la "strategia" di Alexander ecc. Sono d'accordo con il tuo motto: Plus ça change, plus c’est la même chose.

 

Ma torniamo alla visita di Cremerius a casa degli Eissler. Tra loro e Cremerius si era instaurata una relazione di amicizia. Eissler e la moglie, Ruth Selke, una bellissima signora dalle maniere un po’ troppo formali ma con un’intelligenza superiore (così l’aveva definita Cremerius), l’avevano ospitato nel maggio 1950. Mi disse di avere imparato molto meno da Eissler che da Rado e Reik, ma stimava la fedeltà di Eissler al pensiero freudiano. Però Kurt Eissler, che parlava di psicoanalisi con padronanza straordinaria e irraggiungibile, in un piacevole inglese lievemente distorto dall’accento viennese, incantò Cremerius. Gli inviò poi alcuni suoi lavori per una valutazione e con lui mantenne per anni una relazione epistolare. Il 27 novembre 1962 scrisse agli Eissler: «L'ultimo anno è stato particolarmente felice per me e mia moglie, poiché la piccola figlia Jeanine ravviva e incanta le nostre vite.» Il 12 dicembre, Eissler rispose: «È stato un grande piacere per me e mia moglie risentirti e la notizia dell'ingresso di Jeanine nella vita è un grande evento per il quale ci congratuliamo di tutto cuore.» Ruth morì, nel 1989, ed Kurt inviò a Cremerius la registrazione di alcune delicate poesie della moglie.

Benché anche le lezioni all’Istituto di New York, all’82ma Strada, gli sembrassero molto al di sopra delle sue capacità di comprensione, decise di avvicinare Rudolph Loewenstein per chiedergli una supervisione. Si trattava del caso di una cinquantenne, gravemente depressa, che stava seguendo a Monaco alla frequenza di tre sedute alla settimana sul lettino. Cremerius si sentiva in conflitto con i principi di tecnica che aveva appreso durante la formazione. Si vergognava con Loewenstein e faticava a dirgli che, durante una seduta in cui la paziente avvertiva più dolorosa la disperazione e gli aveva preso una mano stringendola e lo aveva pregato di aiutarla, lui aveva accettato di starle vicino col calore umano di un amico, convinto che in quel momento fosse del tutto fuori luogo un’interpretazione. Quando finalmente riuscì a riferire la cosa e chiese al supervisore che cosa pensasse di questa sua trasgressione alla regola dell’astinenza, Loewenstein rispose che un rifiuto della vicinanza fisica non sarebbe stato capito dalla paziente, che l’avrebbe ferita come tutti i dolorosi rifiuti ricevuti durante la sua vita, e avrebbe compromesso il buon esito della terapia. Suggerì di riflettere sull’analizzabilità della paziente (che andava vista vis-à-vis due e non tre volte alla settimana). Non doveva considerare errore quell’agito di controtransfert terapeutico – perché, gli disse, se nella dimensione teorica della psicoanalisi è necessario cercare di avvicinarsi al rigore scientifico, nello spazio analitico bisogna stare col paziente in un rapporto terapeutico umano, evitando di applicare principi di teoria della tecnica che potrebbero essere controproducenti. Terminata la supervisione, Loewenstein non volle essere pagato e salutò affettuosamente il giovane collega augurando ogni bene al suo futuro nella psicoanalisi. Mi disse che quell’incontro rimase per lui indimenticabile, uno dei più importanti della sua vita.

Un altro incontro che lo impressionò molto fu quello con Sandor Rado, la cui prospettiva clinica era molto criticata dai colleghi dell’82ma Strada, cioè dagli psicologi dell’Io, eppure anch’essa in sintonia con le idee di Cremerius, ancora in via di sviluppo. Rado gli parlava di Ferenczi con affetto e riconoscenza: l’aveva conosciuto a 19 anni e diversi anni dopo assieme a lui (dopo l’analisi con Abraham a Berlino) aveva fondato la Società psicoanalitica ungherese. Rado analizzò tra gli altri Fenichel e Reich. Nel 1931 fondò a New York il primo istituto di training americano. Dieci anni dopo si dimise dalla Società psicoanalitica di New York. Negli anni successivi fondò diverse altre società. Ora, nel 1950, quando Cremerius era da lui, Rado dirigeva la Clinica psicoanalitica nel Centro medico della Columbia University, tra la forte ostilità dell’Associazione psicoanalitica americana che lo considerava un dissidente. Rado aveva la fama di essere un abile stratega per la conquista del potere. Ma si dice anche fosse un clinico formidabile. Infatti Cremerius avvertiva intuitivamente una consonanza tra le sue idee, ancora confuse e in formazione, e la tecnica di Rado basata sull’importanza di essere orientati al paziente più che al metodo. Secondo Rado la tecnica classica è stata creata per la ricerca e non a scopi terapeutici. Poi disse a Cremerius che se una tecnica terapeutica cerca esclusivamente la comprensione del passato del paziente e l’origine della nevrosi trascurando i conflitti acuti nella sua vita attuale, l’analisi si blocca al primo passo.

Nella clinica di Rado Cremerius conobbe Karen Horney (analizzata da Karl Abraham e Hans Sachs) e prese un appuntamento per dialogare sulla psicoanalisi. Karen Horney l’aveva ricevuto con il suo cocker spaniel Butschy e i bigodini in testa. Per sostenere il colloquio bisognava essere approvati da Butschy, che all’ingresso dello studio fiutava l’ospite e decideva se ringhiare o avere con lui un atteggiamento amichevole. A Cremerius andò bene e l’incontro durò un’ora. Horney gli fece le domande di rito sulle condizioni dell’Istituto di Berlino e sulla formazione di Cremerius a Monaco, e gli spiegò che nella sua concezione del trattamento analitico il paziente veniva incoraggiato a diventare consapevole del ruolo patogeno delle reali esperienze infantili con i propri genitori, soprattutto la madre. Il colloquio non fu entusiasmante, ma in compenso, ascoltando alcune lezioni di Horney e di Harold Kellerman all’Istituto fondato dalla stessa Horney, Cremerius poté ammirare la sua brillante capacità di insegnamento e rimase impressionato dall’unione del gruppo che circondava la grande analista come un club di fan attorno all’artista idealizzato.

I dialoghi con Theodor Reik gli fecero tornare l’entusiasmo. Da lui imparò che parte dell’essenza del trattamento psicoanalitico non sta nelle interpretazioni sistematiche e razionali, bensì nel dialogo inconscio tra analista e paziente, che porta entrambi a vivere, prima o poi, attimi di illuminante sorpresa se l’analista non si ostina a voler capire.

Nelle settimane seguenti, a Chicago incontrò Franz Alexander, a Boston Helene Deutsch, Menninger a Topeka e Frieda Fromm-Reichmann a Chestnut Lodge.

Karl Menninger lo colpì in particolare per la sua presa di posizione nei confronti dell’espressione “psicologia del profondo”, molto diffusa in Germania, che secondo Menninger tendeva all’oscurità teorica, all’approssimazione impressionistica (tipo: “Io sento che è così”), alle derive mistiche che anche Cremerius, illuminista, non poteva accettare. Menninger sosteneva che in psicoanalisi è necessario applicare pensiero razionale e tendere verso l’obiettività, ma solo nell’insegnamento della teoria, mentre quando ci si trova all’interno della relazione analitica col paziente occorrerebbe utilizzare ogni fattore intuitivo e creativo (secondo l’insegnamento di Ferenczi e Reik).

Mentre ascoltavo con emozione, ripercorrevo con Cremerius le tappe dei suoi incontri con la storia e, mentre idealizzavo lui, come un adolescente mi sembrava di umanizzare alcuni miei miti. Mi ritenevo fortunato, privilegiato, di toccare con mano, quasi, frammenti di storia viva, non documentale. Avevamo stretto un rapporto di amicizia e lui era particolarmente interessato alla mia esperienza in psichiatria. Sulla necessità di studiare anche Bateson con Freud e gli psicoanalisti, imparare la pragmatica della comunicazione e usarla quando necessario nelle psicoterapie analitiche con pazienti nevrotici, e sulle diverse forme di coinvolgimento nella terapia degli psicotici, ci confrontavamo a lungo. Quando seppe che conoscevo la storia della relazione terapeutica tra Joanne Greenberg e Frieda Fromm-Reichmann (Mai ti ho promesso un giardino di rose), in cui la grande analista mise la paziente in doppio legame con il delirio, non nascose l’entusiasmo e, in occasione di una gita al parco di Villa Taranto, a Verbania, mi raccontò di aver conosciuto Fromm-Reichmann durante quel viaggio studio negli Stati Uniti. Lui aveva 32 anni e lei 61. Era una grande fumatrice e gli parlò molto di Groddeck e del periodo trascorso a Francoforte con Fromm, Foulkes e Karl Landauer. E quando Cremerius mi descrisse l’organizzazione di Chestnut Lodge, mi fece tornare al vecchio sogno di fondare una comunità terapeutica per psicotici e al mio periodo di lavoro in psichiatria. Ogni paziente aveva un progetto terapeutico personalizzato. Tutto il personale della clinica era stato in analisi, le lunghe riunioni sui casi clinici e sui più piccoli problemi dei pazienti erano quotidiane e il contributo di ogni figura professionale veniva ascoltato con attenzione, così come quotidiane erano le sedute di terapia di gruppo e, per taluni, individuale. Pazienti e personale pranzavano e cenavano assieme, ma il principio di realtà era ben chiaro e non vi erano cedimenti alla benevolenza o alla permissività. Mi disse che Fromm-Reichmann gli era sembrata un’analista libera, che non aderiva ad alcuna scuola o teoria psicoanalitica, interessava unicamente al modo in cui poteva avvicinarsi ai pazienti schizofrenici. Durante le riunioni quotidiane alla Chestnut Lodge, riunioni a cui partecipavano tutte le figure professionali, rimase colpito dagli interventi di un suo coetaneo in formazione, un certo Harold Searles! Durante una seduta di terapia di gruppo, a cui Fromm-Reichmann aveva invitato Cremerius nella veste di osservatore, dopo la presentazione dell’ospite e spiegate le ragioni della sua presenza, ogni paziente gli fece una domanda. Quando riferì dove si trovasse e che cosa facesse all’epoca del Terzo Reich, all’improvviso una paziente si mise a urlargli contro: “Assassino!”. Il gruppo si agitò e qualcuno rinfacciò alla paziente che lei stessa era un’assassina, perché aveva scagliato dei sassi contro un gatto nel parco della clinica. La difesa della paziente, secondo cui quel gatto le faceva avance sessuali durante la notte, scatenò tutto il gruppo in una caotica discussione. Fromm-Reichmann lasciò correre e chiuse la seduta con la seguente spiegazione: in un primo tempo il gruppo ha avuto paura di Cremerius in quanto estraneo, una persona sconosciuta, poi ha reagito difendendosi aggressivamente, e in seguito sono diventati evidenti i desideri sessuali verso questo sconosciuto. Cremerius rimase colpito da Fromm-Reichmann, che in clinica era presente con ogni singolo paziente: diretta, centrata verso quello che il paziente faceva o diceva.

Cremerius fu anche invitato da Moreno ad assistere a uno psicodramma e rimase affascinato nell’osservare la capacità del conduttore di accompagnare un paziente alla drammatizzazione dei propri conflitti interiori abreagendo le emozioni. Dopo un’ora di psicodramma il paziente era esausto ed evidentemente svuotato. Il principio era quello di sostituire il divano dell’analista col palco di un teatro, in cui l’azione scenica serviva a scioccare il paziente. E per realizzarlo egli stabiliva un tema, assegnava i ruoli e i compiti e metteva in scena il gioco drammatico. Per esempio con uno schizofrenico di 25 anni, socialmente ritirato e mutacico da svariati mesi, Moreno assunse il ruolo della madre e si comportò con lui in scena come faceva la madre del ragazzo. Anziché rimanere sopraffatto come accadeva nella realtà, dopo essersi ripreso dallo shock il paziente finalmente si aprì e rimproverò la madre-Moreno in una esperienza che univa la catarsi terapeutica del Freud più antico all’annullamento della rimozione del suo pensiero più tardivo. Cremerius, pur affascinato da Moreno, si chiedeva se un tale metodo fosse applicabile anche da terapeuti privi di esperienza analitica diretta, nonché delle conoscenze psicoanalitiche, del talento straordinario, delle capacità intuitive e della vitalità che caratterizzavano la personalità di Moreno.

Poco dopo il suo ritorno dagli USA, Cremerius si iscrisse alla neonata Associazione Psicoanalitica Tedesca (DPV) perché non si riconosceva nella linea teorico-pratica della DPG, ancora invischiata nel progetto sinottico della psicoterapia controllata dal regime nazista. Alla fine degli anni cinquanta si prodigò per rompere l’isolamento culturale della psicoanalisi a Monaco iniziando una collaborazione con Balint. E grazie a una somma di denaro donata dal governo americano per il “Programma di rieducazione”, fondò un Consultorio Psicosomatico nell’ospedale diretto da Walter Seitz.

Lasciò Monaco per Zurigo nel 1959. Cremerius e la moglie Annemarie iniziarono nel 1960 la formazione presso il Seminario psicoanalitico di Zurigo (PSZ). Come ho detto, la Svizzera ha svolto negli anni cinquanta/sessanta un punto di riferimento fondamentale per chi intendeva formarsi in psichiatria e psicoanalisi. E con Losanna e Basilea, Zurigo costituiva, per così dire, la Mecca. Zurigo segnò profondamente la storia della psicoanalisi, a partire dalla Clinica Burghölzli fino allo Jung Institut in cui si sono formati molti analisti (Cremerius, ad esempio, partecipò anche ai seminari di Marie-Louise von Franz). Come ho detto, non c’erano solo Zurigo, Kreuzlingen e Basilea. Molti psichiatri italiani si erano spostati, per formarsi, nella Svizzera francese, tra Losanna e Ginevra (ad esempio con Paul-Claude Racamier, Michael Woodbury, Marcelle Spira e Lucien Bovet).

A questo punto, per capire meglio le radici da cui si sono sviluppate le iniziative culturali e formative che hanno portato, in ultima analisi, alla nascita della SPP, bisogna dire qualcosa sul Seminario psicoanalitico di Zurigo.

Rispetto all’area psicoanalitica di Basilea, più fortemente accademica, il PSZ era allora molto politicizzato e improntato sulla critica sociale. Fondato come luogo di apprendimento della psicoanalisi freudiana libero da vincoli di appartenenza, il Seminario psicoanalitico di Zurigo, inizialmente riconosciuto dalla Società Psicoanalitica Svizzera (SGP), iniziò l’attività formativa nel 1958 nei locali di una scuola media. Il gruppo si riuniva di mercoledì ed era formato da otto analisti: Fritz Morgenthaler, Harry Lincke, Harals Winter, Emil e Renate Grütter, Arno von Blarer, Paul Parin e Goldy Matthey. Inizialmente si era dato il nome di “Ghirlanda” (nel senso di gruppo di persone riunite in cerchio a discutere) e solo in un secondo tempo prese il nome di Seminario psicoanalitico di Zurigo. Diventò ben presto un centro di formazione capace di attrarre a sé psicoanalisti che avevano afferrato l’importanza di unire la psicoanalisi con la fenomenologia e il pensiero critico sul modello della Scuola di Francoforte. Diversi membri del Gruppo milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia si formarono anche al Seminario psicoanalitico di Zurigo e ancora oggi diversi membri del gruppo di Zurigo collaborano amichevolmente con la redazione della rivista Psicoterapia e scienze umane, che Galli fondò nel 1967. Molti colleghi del Seminario psicoanalitico di Zurigo, come Marianna Bolko, Judith Valk, Berthold Rothschild, Emilio Modena erano in analisi con Paul Parin. Fra i diversi analisti che dal 1968 frequentavano il Seminario possiamo ricordare Irene Brogle, Lilian Simmons, Martha Eicke, Ilka von Zeppelin, Pedro Groz e Alice Miller (la quale qualche anno dopo alimentò il conflitto tra la Società svizzera di psicoanalisi e il PSZ fino alla rottura dei rapporti).

Nel 1960 i Cremerius fecero domanda per la formazione al PSZ, ma temevano di non essere accettati, in quanto tedeschi, da un gruppo così politicizzato. Li aveva resi scettici la notizia secondo cui Morgenthaler, non diversamente da Anna Freud, aveva rifiutato nel 1958 l’invito a recarsi ad Amburgo per una conferenza. Invece la domanda fu accettata. Nello stesso periodo si erano aggiunti al corpo docenti l’analista infantile e di adolescenti Jacques Berna, Ulrich Moser e Fred Singeisen, direttore della clinica psichiatria di Wil. I Cremerius erano concordi nel descrivere le caratteristiche salienti dei docenti. Harals Winter, per esempio, aveva una spiccata inclinazione per l’arte, considerava ogni persona un’opera d’arte e i suoi seminari erano pieni di calore e vivacità. Morì nel 1967, a 52 anni, in un incidente aereo in Africa. Di temperamento più riservato, Harald Lincke conosceva alla perfezione gli scritti di Freud, ma i suoi seminari erano piuttosto insipidi. Ulrich Moser era tra i docenti preferiti dai Cremerius, i quali strinsero una relazione di amicizia durata molti anni soprattutto con la moglie Gräfin Zeppelin.

Nel 1960 il PSZ aveva traslocato in un appartamento nella Kirchgasse, in un quartiere alto del centro città, sopra un negozio di sementi. Ma qualche anno più tardi decise di trasferirsi a Quellenstrasse, la zona più povera della città, nei locali di un fabbrica dismessa che appartenevano ad una Società Operaia di Mutuo Soccorso. La collocazione rivela l’etica del gruppo originario, che si rifiutava di identificarsi con i valori sociali della ricchezza e del privilegio sociale.

Il PSZ diventerà autonomo dalla Società Psicoanalitica Svizzera nel 1977, dopo anni di conflitti in merito ai fondamentali temi del training psicoanalitico – come la questione dell’analisi didattica, lo status di didatta, la struttura gerarchica delle sedi affiliate all’IPA e problemi relativi allo statuto interno della Società Psicoanalitica Svizzera.

I docenti del Seminario di Zurigo – a eccezione di Harals Winter e Jacques Berna – mantenevano una certa distanza con gli allievi, che erano allora una trentina: c’erano gli svizzeri, cinque tedeschi e diversi israeliani arrivati a Zurigo grazie alla presenza di Judith Valk, che ha fatto alcuni seminari sul sogno alla SPP (ebrea nata a Budapest, reduce da un campo di concentramento nazista, dopo aver vissuto in un kibbutz in Israele, la Valk si trasferì a Zurigo per studiare psicologia e formarsi a con Parin e Morgenthaler). I leader del PSZ erano Morgenthaler, Parin e Goldy-Matthèy (tutti analizzati da Rudolf Brun, il primo analista di Benedetti). Fritz Morgenthaler (1914-1980) era figlio di un noto pittore e di una creatrice di bambole da collezione, e aveva trascorso qualche anno in gioventù come giocoliere di strada a Parigi, dov’era cresciuto. Combatté coi partigiani durante la guerra di liberazione jugoslava, e si trasferì poi a Zurigo, dove si laureò in medicina nel 1945. Tra il 1946 e il 1951 fu in analisi con Rudolf Brun. Paul Parin (1916-2009) era originario della Slovenia, dove combatté nell’esercito partigiano jugoslavo (1944-45) – aveva aperto un presidio chirurgico assieme ad alcuni medici svizzeri, tra cui Morgenthaler e Goldy-Matthèy, tecnico radiologa. Sua moglie, Elisabeth “Goldy”-Matthèy (1911-1997), si era diplomata alla scuola dell’arte di Graz. Suonava bene la chitarra. Nel 1933, a 22 anni, aveva lavorato con Aichhorn nella casa per ragazzi disadattati da lui diretta (Aichhorn fu grande amico di Anna Freud e primo analista di Kohut), e l’anno seguente fu assunta come radiologa all’ospedale universitario di Graz, la città austriaca dov’era cresciuta. Quando, nel 1937, venne a sapere che il partito comunista stava organizzando un gruppo di volontari per la Brigata internazionale in Spagna, si presentò presso la sede della gioventù comunista a Vienna. Da lì prese il treno per Parigi, città che costituiva il centro di smistamento dei partigiani intenzionati a combattere la guerra civile spagnola. Scelto “Lieselotte” come nome di battaglia raggiunse la Mancia. La Spagna dunque, contro il fascismo di Franco; poi la Jugoslavia, dove conobbe Parin combattendo al suo fianco nella brigata partigiana, la II Armata rivoluzionaria montenegrina. Mentre la Croce Rossa Svizzera forniva assistenza medica al Terzo Reich, un gruppo di giovani medici aveva deciso di collaborare con l’esercito di liberazione jugoslavo. Elio Canevascini, Hannes Merbeck, Marc Oltramare, August Matthèy Guenet, Paul Parin, Guido Piderman, Elisabeth Charlotte Matthèy-Guenet (Goldy Parin-Matthèy) organizzarono la missione chirurgica della Central Sanitary Switzerland che lavorò in Jugoslavia negli anni 1944-1945. Il progetto nacque dall’idea di Goldy Parin-Matthey e Hannes Merbeck del Central Sanitary, che già aveva fornito assistenza medica alle brigate internazionali in Spagna. Al Café Select di Zurigo, nell'inverno del 1943, Hannes Merbeck presentò i suoi amici a un partigiano montenegrino. Grazie ad alcuni contrabbandieri, il gruppo riuscì a recuperare dalla Germania il materiale chirurgico. Parin fece un colloquio a Berna con un agente dei servizi segreti britannici, che approvò il progetto e promise supporto logistico. Per risolvere il problema del congedo militare (la maggior parte del gruppo di medici era mobilitata nell'esercito svizzero) Parin bleffò. Riuscì a convincere il capo dei servizi diplomatici che Londra avrebbe appoggiato la spedizione e la stampa non avrebbe capito le ragioni di un rifiuto da parte delle autorità svizzere. Il gruppo partì ed entrò in azione. Hannes Merbeck e August Matthey-Guenet fornirono le attrezzature mediche alla seconda divisione. Il chirurgo Elio Canevascini, figlio del leader socialista ticinese, si unì alla decima brigata con lo stesso scopo. Canevascini, quand’era studente di medicina fu in trincea con l’anarchico Camillo Berneri a Monte Pelato, in Spagna. Ma torniamo alla resistenza in Jugoslavia. Guido Piderman e Goldy-Matthey e Paul Parin gestirono un ospedale con 660 pazienti nell’area di un monastero nell'isola di Badija.

Morgenthaler e Parin sono noti nell’ambito dell’etnopsicoanalisi (disciplina che fondarono assieme a Georges Devereux) anche per gli studi sui Dogon e gli Agni del Mali, effettuati tra il 1954 e il 1971 (Temi il prossimo tuo come te stesso). Erano tornati dal Mali con una scimmietta, Taboo, che fu data a uno zoo di Zurigo quando raggiunse la maturità sessuale. Cremerius ironizzava dicendo che il successo delle spedizioni era anche (forse soprattutto) merito delle mogli dei due analisti (Ruth Morgenthaler era architetto d’interni), le quali si univano alle donne dei villaggi nelle faccende domestiche e da loro acquisivano le informazioni utili per la comprensione etnologica. Come Morgenthaler, anche Goldy Matthèy e Parin furono in analisi con Rudolf Brun.

 

Il nucleo degli insegnamenti al Seminario di Zurigo non era diverso dal modello proposto da Gaetano Benedetti. Riguardava il trattamento analitico orientato al paziente, in cui l’analista è chiamato a creare un’atmosfera distesa, all’interno della quale il paziente si possa sentire a suo agio.

Durante la formazione a Zurigo, Cremerius era in supervisione con Morgenthaler e nel 1961 entrò in analisi con Gustav Bally (già analista di Benedetti, come abbiamo visto). Sua moglie, Annemarie, era in analisi con Paul Parin. Cremerius trovò lavoro presso l’ospedale del cantone di St. Gallen, a Wil, una cittadina situata tra Zurigo e il Lago di Costanza dove si stabilì con la moglie. Da lì, con la loro Volkswagen si recavano ogni giorno a Zurigo per l’analisi e le lezioni serali. Come abbiamo visto, il direttore dell’ospedale di Wil, Fred Singeisen era un docente del PSZ e affidò a Cremerius la direzione di un reparto con 60 psicotici e qualche donna con lesioni cerebrali. È in quel manicomio cantonale che Cremerius conobbe la ragazzina di cui racconterà nel seminario “Psicoterapia delle psicosi” e nell’articolo “Una nevrosi demoniaca. Il caso Nina” (pubblicati, il primo, sulla rivista Il ruolo terapeutico, n. 31 1982, e il secondo nel libro Il futuro della psicoanalisi uscito nel 2000). La quattordicenne era una furia: si strappava i vestiti, aggrediva infermiere e ricoverate, urlava disperatamente, camminava agitata, sempre nuda, si spalmava gli escrementi sul corpo e imbrattava di feci le pareti della stanza. Per giorni e giorni. Riuscì perfino a distaccare il calorifero dalle pareti. Cremerius aveva fatto una diagnosi di psicosi da trauma. Secondo il prete cattolico dell’ospedale la ragazza era indemoniata. Diagnosi che convinse anche le infermiere. Ebbene, nel 1992, trent’anni dopo il ricovero, Nina prese un appuntamento con Cremerius e si recò da lui a Friburgo in Brisgovia per raccontargli quel che le era successo trent’anni prima: in breve, il prete cattolico di fiducia della ragazzina aveva abusato sessualmente di lei minacciandola di ucciderla se avesse raccontato qualcosa a qualcuno.

Nel 1963 Cremerius fu invitato dal prof. Richter all’Università di Giessen, ottenne la libera docenza, collaborò con Von Uexküll nel campo della psicosomatica e organizzò gruppi Balint per gli assistenti medici. Quindi si trasferì a Friburgo con moglie e bambina nella casa disegnata dal suocero (era l’architetto che diresse i lavori di ristrutturazione della cattedrale di Strasburgo). Nel 1972 Cremerius vinse la cattedra per l’insegnamento all’Università di Friburgo in Brisgovia e fondò e diresse il reparto di psicoterapia e medicina psicosomatica presso la clinica dell’Università Albert Ludwig. Nel periodo in cui abitava a Giessen si svolse a Wiesbaden il 7° congresso di psicoterapia (le due città distano una settantina di chilometri circa l’una dall’altra). Marianna Boko, Emanuele Gualandri e Giambattista Muraro e Pier Francesco Galli – che avrebbe tenuto la relazione introduttiva, compito che gli era stato affidato nel 1964 da Medard Boss al sesto Congresso di psicoterapia di Londra – partirono in auto da Milano. Era il mese di agosto del 1967. La relazione di Galli terminava con la frase seguente: «Noi crediamo che l’etica dello psicoterapeuta imponga di adoperare le conseguenze conoscitive del proprio metodo d’indagine per intervenire nei processi di trasformazione sociale, e in ogni caso per rappresentare il momento della coscienza di classe.» L’idea era un punto di forza del pensiero di Galli. Come ho detto, l’orientamento del suo gruppo integrava la psicoanalisi con il metodo della critica sociale della Scuola di Francoforte e con l’influsso mitteleuropeo di tipo fenomenologico-esistenziale secondo l’insegnamento di Benedetti. Galli ha precisato in più di un’occasione che l’incrocio della psicoanalisi con la dimensione del soggetto (la soggettività, sia dell’analista che del paziente – l’intersoggettività), questo tema, che oggi viene recuperato dai colleghi americani quasi nei termini di un’entità ontologica, come ha spesso sottolineato Galli, allora era una struttura portante del pensiero mitteleuropeo. Il testo di Galli per Wiesbaden – quello da cui ho tratto la frase “Noi crediamo che l’etica dello psicoterapeuta” − era stato tradotto da una ragazza tedesca che stava a Milano in un rapporto un po’ burrascoso con Muraro e Galli l’aveva spedito a Cremerius chiedendogli di controllarlo. Prima del congresso, i quattro allungarono la strada per recarsi a casa dei Cremerius. Ci fu una bella festa e una cena sostanziosa. E alla fine, Cremerius fece partire razzi e fuochi d’artificio dal giardino di casa. Quindi chiamò i colleghi nello studio e, con discrezione ma un po’ sornione, segnalò un singolare errore di traduzione in tedesco della relazione. Disse: «Qui c’è la frase “L’etica della psicoterapia consiste nel vendere il formaggio ed essere presenti presso la sofferenza del paziente”. Questa frase non va bene.»

 

Supervisore di Cremerius, Morgenthaler fu l’analista di Pier Francesco Galli anch’egli frequentatore del Seminario psicoanalitico di Zurigo (organizzò il gruppo dei pokeristi con Marianna Bolko, Emilo Modena, Arno von Blarer e Berthold Rothschild). Dalla metà degli anni sessanta il flusso di psichiatri che intendevano formarsi presso il Gruppo milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia si fece sempre più intenso. Si unì al gruppo Marco Bacciagaluppi, formato presso il William Alanson White a New York. A Milano avviò due corsi di lettura, uno di sociologia e uno di antropologia culturale. Indicativo di un aspetto della linea di pensiero del gruppo di Galli è forse l’articolo “Psicoterapia e contestazione” che Bacciagaluppi pubblica nel 1968 su Psicoterapia e scienze umane, in cui viene evidenziata la necessità che lo psicoterapeuta prenda coscienza del suo ruolo sociale e si metta in una posizione critica di fronte all’ideologia professionale della psicoterapia e alla sua funzione pratica di controllo sociale, poiché il sintomo è in ultima analisi espressione del conflitto interiore tra oppressione e ribellione. Con Bacciagaluppi si unì al centro milanese di Galli anche Mariano Enderle, che entrò poi nel gruppo di Zapparoli. Anch’egli si era formato al William Alanson White, per cinque anni. Si racconta vantasse una formazione secondo i criteri della “moderna psicoanalisi”, che però di nuovo non aveva nulla per i colleghi del Gruppo milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia che si erano formati con Benedetti. Successivamente si aggregarono altri, come Sergio Erba, che dal 1963 lavorava al manicomio Paolo Pini di Milano. Erba fondò nel 1972 la rivista Il Ruolo terapeutico, indirizzata agli operatori del settore psicosociale e caratterizzata da articoli in cui la questione della psicoanalisi, delle psicoterapie e del declinarsi delle stesse nei servizi pubblici veniva descritta talvolta con eccessi di semplificazione. Dieci anni dopo, nel 1982 diede vita alla scuola di formazione alla psicoterapia che prese il nome dalla rivista stessa. Rinverdendo l’esperienza del consultorio popolare di psicoterapia gratuita per la classe operaia che, come vedremo, Morpurgo aveva organizzato nel quartiere Niguarda, nel 1986 Erba aprì in via Milani 12 un Centro clinico che offriva trattamenti psicoterapeutici a tariffe “popolari”. All’inaugurazione del Centro clinico Cremerius tenne la seguente relazione (lascio il suo italiano intedescato per evidenziare il calore emotivo): «Sono molto lieto della fondazione di questo Centro ed ho accettato con piacere l’invito del dottor Erba di dire qualche parola in quest’ora di inaugurazione. Per un lungo periodo la psicoanalisi è stata una psicologia della classe ricca e colta. Fino ad oggi abbiamo usato due criteri d’indicazione: se il paziente è capace di pagare la terapia e se è abbastanza colto per farla. Ricordiamo che Freud ha detto: I nostri pazienti appartengono ad una classe, che legge. […] Due mesi prima della fine della guerra mondiale, Freud deplorava a Budapest che la terapia psicoanalitica fosse un privilegio della classe alta e sviluppava l’utopia di una società in cui il povero abbia lo stesso diritto per la psicoterapia come per l’aiuto chirurgico. Il risultato di questa relazione di Freud è stato la fondazione di reparti policlinici negli istituti di psicoanalisi, prima a Berlino, dopo a Vienna e Londra, in cui si offriva una psicoterapia a prezzo basso o gratuita. Tra il 1920 e il 1930 si ha visto a Berlino, in questo policlinico, 1.600 pazienti, di quale si ha potuto prendere in terapia analitica 640 con una frequenza di 4 sedute la settimana. La terapia durava in questi tempi in media 200 sedute. Chiunque membro dell’Istituto aveva un paziente in terapia gratuita. […] Dopo la seconda guerra mondiale in Germania abbiamo proposto alle mutue di pagare la psicoterapia come la terapia delle malattie organiche. Nel 1967 siamo riusciti finalmente. E da questo tempo in poi le mutue pagano la psicoterapia – al massimo fino a 400 sedute – al cento per cento. […] Abbiamo cercato di modificare la tecnica: Primo: abbiamo fatto una svolta dall’analista che rispecchia all’analista attivo; Secondo: abbiamo preso la decisione per una terapia centrata di più sul paziente che sul metodo; Terzo: interpretiamo di più il transfert e interazione nell’hic et nunc che il materiale; Quarto: tentiamo di usare una lingua chiara, che il paziente di questa classe può capire. Io auguro tutto il bene al Centro. Auguri al dottor Erba e ai suoi collaboratori. Spero che tante persone possano trovare aiuto qui. Ma anche questo spero: che i pazienti provino un po’ dello spirito emancipatorio e illuminatorio della filosofia freudiana. Se escono dalla terapia con questa esperienza, possiamo sperare che qualcuno di loro si impegni nella società, si interessi per ottenere più libertà e giustizia sociale, per una maggiore ragione e comprensione.»

 

Tra i molti frequentatori del gruppo di Galli c’erano Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin (che fondarono poi il Centro Milanese di Terapia della Famiglia), anch’essi arrivati da una formazione all’estero: Boscolo si era formato in psicoanalisi con Silvano Arieti e Nathan Ackerman. Dal 1966 iniziò a partecipare attivamente al Gruppo milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia Marianna Bolko, che a partire dal 1968 svolse instancabile anche il ruolo di “ponte” tra l’Italia e il Seminario psicoanalitico di Zurigo. Nello stesso anno, conseguita la specializzazione in Malattie nervose e mentali si dividerà tra Bologna e Zurigo per formarsi in analisi con Paul Parin e per lavorare al Bughölzli assieme a un gruppo multiculturale di colleghi a cui vennero affidati pazienti immigrati. Figlia di un italiano antifascista, emigrato in Jugoslavia nel 1930 per ragioni politiche e di madre slovena, nel 1947 si trasferì con la famiglia da Lubiana a Trieste dove trascorse la fanciullezza e l’adolescenza. Poiché Marianna Bolko parlava sia l’italiano che lo sloveno, il serbo-croato e il tedesco, alla clinica psichiatrica Bughölzli le furono affidati in psicoterapia i pazienti italiani e jugoslavi. Dal 1969 al 1971 lavorò come assistente presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Zurigo. Per almeno 45 anni ha collaborato con la clinica privata Schlössli di Oetwill am zee nei pressi di Zurigo. Oggi è condirettore rivista Psicoterapia e scienze umane, supervisore presso la Clinica psichiatrica dell'Università di Bologna e membro del comitato organizzatore dei Seminari Internazionali di Psicoterapia e Scienze Umane a Bologna.

Eugenio Gaburri (1934-2012) frequentò il gruppo di Galli nonostante la formazione fosse considerata anomala e inaccettabile dalla SPI (vedi il n. 9 della rivista Setting). Nel gruppo c’era Agostino Pirella (1930-2017), figura di spicco della psichiatria alternativa; dopo la direzione del manicomio di Gorizia nel 1970 e dell’ospedale psichiatrico di Arezzo dal 1971 al 1979, Pirella proseguì il contributo decisivo al rinnovamento della psichiatria italiana anche a Torino negli anni seguenti. C’era Giampaolo Lai, appena tornato nel 1967 da Losanna, dove aveva lavorato con Christian Müller e Luc Kaufmann; Lai continuò la formazione con Zapparoli e Fornari. Partecipava al gruppo di Galli anche Mauro Rostagno (1942-1988). Laureato in sociologia, marxista libertario, Rostagno fu tra i fondatori di Lotta Continua e di Macondo (il famoso centro sociale milanese degli anni ‘77/’78). Cofondatore della comunità terapeutica Saman a Trapani, fu ucciso da un’aggressione mafiosa. Un altro significativo contributo al Gruppo milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia veniva da Enzo Morrone, rientrato definitivamente in Italia dagli Stati Uniti nel 1968 dove si era formato in psicoanalisi individuale con Karen Horney e nell’analisi di gruppo. La sua collaborazione col gruppo milanese di Galli durò dal 1968 al 1971.

Nel 1968 il Gruppo di Piazza S. Ambrogio colse nel congresso milanese della Società Italiana di Psichiatria (SIP) un’occasione per proseguire il processo di critica alle forme in cui si stava organizzando la psichiatria e alle modalità con cui la struttura accademica gestiva la formazione degli psichiatri. La linea politica del gruppo di Galli continuava a segnare episodi di scalpore negli ambienti accademici, uno dei quali fu l’articolo di denuncia sull’inadeguatezza dell’insegnamento universitario per la formazione degli psichiatri, intitolato “La formazione degli Psichiatri nella situazione Italiana”, che Galli aveva pubblicato sulla rivista ufficiale della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici (FNOM), Il Medico d’Italia, e riproposto come relazione alla giornata di studio dell’11 dicembre 1966 (di cui s’è detto più sopra) a firma del Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia. Il gruppo che con un efficace volantinaggio contestò nel 1968 il congresso di psichiatria si era organizzato per l’occasione anche a casa della zia di Eugenia Omodei Zorini, che si trovava a pochi passi da Piazza S. Ambrogio. Contemporaneamente si era attivato a Roma un altro gruppo, coordinato da Stefano Mistura e da Nicola Lalli, che si unì a quello di Milano il giorno della contestazione. Il congresso proseguì nonostante il disturbo dei contestatori, ma alcuni interventi l’accrescere della consapevolezza critica da parte degli psichiatri.

 

Il Gruppo milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia, a cui collaboravano assiduamente Cremerius e Benedetti, rimase unito fino al 1970. Concluso l’8° Congresso di psicoterapia, che si tenne a Milano appunto nel 1970, Galli capì che l’esperienza del Gruppo era ormai conclusa. Argomentò con queste parole: «Non volevamo finire col fare i presidi di scuola privata, dato che il Centro era frequentato da circa 200 persone, con Codignola e gli altri ci dicemmo che non avevamo nessuna voglia di passare il tempo a fare gli orari delle lezioni; chiudemmo quindi la baracca, mantenendo la rivista Psicoterapia e Scienze Umane e l’organizzazione a piccoli gruppi di iniziativa, collegati tra loro.»

Galli si trasferì a Bologna. Alcuni compagni di viaggio continuarono a incontrarsi nel suo studio a partire dal 1972: Enzo Codignola, Emanuele Gualandri, Berta Neumann, Eugenia Omodei Zorini, Teresa Corsi Piacentini e Marianna Bolko. Quando il gruppo si arricchì di nuove adesioni, i seminari vennero organizzati nelle città di Bologna, Milano, Genova e Torino. Quattro volte all’anno i gruppi si riunivano in ognuna delle diverse città e una volta a Zurigo, presso i locali del Seminario psicoanalitico.

Nel 1974 inizierà a Bologna l’avventura formativa dei Seminari Internazionali di Psicoterapia e Scienze Umane, che continua tutt’oggi con successo, gestiti da Alberto Merini, Marianna Bolko, Dante Comelli, Pietro Pascarelli, Euro Pozzi e Gabriele Vezzani.

 

Durante gli anni settanta l’ambiente milanese degli intellettuali era in gran fermento, ma gli psicoterapeuti, come gruppo sociale, uscivano dalle contestazioni degli anni ’60 con una notevole crisi di ruolo. Un momento storico importante per la critica del potere psicoanalitico fu il congresso IPA di Roma del 1969. I 1500 psicoanalisti venuti da tutto il mondo erano divisi in categorie gerarchiche, contraddistinte da colori diversi: i membri onorari, con diritto di parola e di voto, gli associati, col solo diritto di parola e gli allievi che non avevano altro diritto che di ascoltare. Mentre all’Hilton si svolgeva il congresso, lì vicino, al ristorante Carlino al Panorama, un gruppo di analisti (tra cui Berthold Rothschild, Marianna Bolko, Elvio Fachinelli, Pierluigi Sommaruga, Mauro Mancia, Carlo Ravasini) si riuniva a discutere criticamente sulla formazione e le contraddizioni tra il valore culturale della psicoanalisi e la struttura di potere, gerarchica e di carriera dell’IPA, cioè tra la psicoanalisi e l’istituzione psicoanalitica. Al gruppo si aggregarono sempre più persone fino ad assumere la funzione di un contro-congresso con centinaia di partecipanti. Da quel gruppo nacque il movimento Plattform (o Plataforma Internacional), fermamente critico verso il sistema di formazione istituzionalizzato e l’IPA stessa.

Nella scheda di presentazione dell’8° Congresso Internazionale di Psicoterapia del 1970, Galli segnalava che «negli ultimi decenni [cioè dagli anni ’50 agli anni ‘70] si è assistito alla progressiva dilatazione del campo di intervento della psicoterapia, nelle più diverse istituzioni sociali. Ciò ha reso più evidente il conflitto tra l’intervento tecnico e i modi tramite i quali il sistema istituzionale vincola e determina l’individuo. Sul piano del metodo si presenta il conflitto tra il tentativo di legittimare la psicoterapia come scienza e l’impossibilità di definirla con le categorie tradizionali delle scienze. (…) Nel momento in cui il suo corpo dottrinale entra al servizio delle istituzioni, la psicoterapia fornisce un avvallo e un alibi a soluzioni manipolatorie. Ciò comporta il rischio di diventare l’espressione di ideologie repressive anziché elemento di critica ideologica. È quindi importante – continua Galli − la verifica delle implicazioni della psicoterapia, come modalità di intervento, rispetto alle scienze dell’uomo.»

Per alcuni singoli analisti, la pratica psicoanalitica continuò a declinarsi nel sociale e nell’ambito psichiatrico. Ad esempio, come ho già detto, nello stesso periodo in cui Fachinelli e Luisa Muraro avevano organizzato l’asilo autogestito di Porta Ticinese sulla scorta dello storico asilo di Vera Schimidt, Enzo Morpurgo (1920-2002) aprì un consultorio popolare di psicoterapia gratuita rivolto alla classe operaia nel quartiere Niguarda (attivo dal 1970 al 1974). Analizzato da Pietro Veltri (1904-1989), Morpurgo si era formato negli anni sessanta a Kreuzlingen, come Enzo Codignola e Fabrizio Napolitani. Era un marxista dal pensiero libero e critico (raccontava: «In ospedale ho aperto gli occhi sul carattere classista della medicina; un carattere feroce, ferocemente di classe, e lì sono diventato comunista»). Verso la fine degli anni settanta aveva messo su a Milano l’associazione Psicoterapia critica, frequentata fra gli altri da Elvio Fachinelli, con lo scopo di diffondere la cultura psicoanalitica tra gli operatori psichiatrici e chiunque altro volesse usare anche la teoria psicoanalitica critica derivata dal gruppo di Francoforte (Horkheimer, Marcuse, Adorno, Fromm, Bettelheim, Walter Benjamin) per capire meglio i rapporti sociali.

I Centri di Igiene Mentale, cioè i servizi psichiatrici dislocati sul territorio, furono autorizzati nel 1968 dalla legge Mariotti, che nasceva sia dalle numerose denunce della violenza manicomiale, sia dai diversi tentativi di improntare l’assistenza psichiatrica sulla base del modello francese del settore (la prima esperienza di psichiatria di settore fu realizzata a Parigi nel 1954 a opera di Paumelle, per gli adulti, e di Lebovici, per l’infanzia).

In Italia, uno dei primi esperimenti di psichiatria di settore fu quello di Varese, organizzato da Edoardo Balduzzi (1920-2013) nel 1964. L’innovazione varesina era sostenuta tra gli altri dagli analisti della SPI Eugenio Gaburri e Gilda De Simone Gaburri, ma l’ideologia e la pratica di connivenza col manicomio locale e di psichiatrizzazione del territorio, in linea con l’aspirazione che fu già di Fiamberti di espandere il manicomio all’esterno, ricevette precise critiche da Franco Basaglia (1966, Lo psichiatra nella comunità terapeutica, Annali di Neurologia e Psichiatria, 60, 11, 1-2). All’Ospedale psichiatrico di Varese, con Balduzzi vi avevano lavorato anche Galli (come supervisore) e Milton Monteverde, che diede le dimissioni nel 1969. Altri colleghi si licenziarono con Monteverde e assieme fondarono il Centro studi di psicoterapia, Psicopedagogia e Metodologia Istituzionale di via Ariosto 6 a Milano. Il Centro, conosciuto come Scuola di Via Ariosto, era supervisionato da Anne-Marie (1925-2018) e Joseph Sandler (1927-1998). Uno dei pochi istituti di formazione alla psicoterapia psicoanalitica che non ha accettato di sottomettersi alle direttive del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) secondo la legge 56/1989.

Il 1969 vide nascere altre organizzazioni, tra cui la Società Italiana per la psicologia individuale creata da Francesco Parenti (1925-1990), Pier Luigi Pagani (1923-2012), Francesco Fiorenzuola e altri. La teoria e la prassi di Adler fu introdotta a Torino dal professore di psichiatria Gian Giacomo Rovera. Ma la storia dell’adlerismo in Italia risale agli anni Trenta, con Adele Horvath, che a Trieste nel 1934 coordinò un gruppo di lavoro sulla psicologia individuale. Nel 1973, anno di fondazione della adleriana Rivista di Psicologia individuale, Giacomo Contri (1941-2022) e Armando Verdiglione (analizzati da Lacan) fondarono a Milano due gruppi lacaniani, denominati rispettivamente Scuola freudiana e Semiotica e psicoanalisi. Lo stesso anno Muriel Drazien (1938-2018), dell’Ecole freudienne di Parigi, diede vita a Roma al terzo gruppo lacaniano di importanza storica nella cultura italiana, La cosa freudiana. Due anni dopo, i fondatori della rivista Il Piccolo Hans, i coniugi Sergio e Virginia Finzi, organizzarono a Milano un nuovo centro denominato La pratica freudiana.

Il fermento creativo era vivace. A Roma due analisti freudiani carismatici tenevano in quegli anni affollatissimi seminari, non benedetti dalla SPI e aperti a studenti e operai. Erano Sandro Gindro (1935-2002), fondatore e leader di Psicoanalisi contro, capace di riunire grandi gruppi di ex-sessantottini nei locali di un Convento Occupato e, in seguito, al Teatro Eliseo; e Massimo Fagioli (il quale nel 1963 aveva diretto una comunità terapeutica al Sanatorium di Kreuzlingen). Tornato a Roma, Fagioli (1931-2017) diede il via agli affollatissimi esperimenti di analisi collettiva presso l’Istituto di psichiatria dell’Università Sapienza. Processati dai didatti su insignificanti accuse formali, i ribelli Fagioli e Antonello Armando (analizzato da Octave Mannoni e Benedetto Bartoleschi) furono poi espulsi dalla SPI nel 1976 per “divergenze culturali”, durante la presidenza di Franco Fornari (da leggere: Il potere della psicoanalisi. Documenti sulla storia della Istituzione psicoanalitica in Italia dal 1969 al 1973 di A. Armando et al. e Storia della psicoanalisi in Italia dal 1971 al 1988 di A. Armando)

 

Sono molte le esperienze formative legate dal filo rosso che, a partire dalla psicoanalisi mitteleuropea di Benedetti Parin Morgenthaler Cremerius, si è snodato in Italia grazie alle iniziative di Pier Francesco Galli. Una di queste esperienze formative è la Scuola di psicoterapia psicoanalitica (SPP), riconosciuta dalla commissione ministeriale nel 1994 come Scuola di Specializzazione di livello universitario.

La SPP nacque dalle ceneri del centro di piazza Sant’Ambrogio, nel 1971 grazie a Marina Saviotti, Paolo Tranchina e altri ex partecipanti del gruppo di Galli che traslocarono diversi mobili dal centro di Sant’Ambrogio ai locali di via Alberto da Giussano 11 e decisero di continuare lì l’esperienza formativa interdisciplinare con Benedetti e Cremerius, come Centro Studi di Psicologia Clinica e di Psicoterapia (Centro “Alberto da Giussano”). Il gruppo originario era formato da una dozzina di analisti – Teresa Corsi Piacentini, Edmondo e Lilia d’Alfonso, Almachiara Dusi, Ciro Elia, Annamaria Fabbrichesi, Mariella Loriga (la prima analista junghiana dell’età evolutiva), Guido Medri, Giuseppe Miccolis, Cecilia Morosini, Marina Saviotti e Paolo Tranchina – e subirà varie defezioni nel corso del tempo.

Tranchina (1938-2018) fu presidente dal 1970 al 1972, quando lasciò il gruppo per andare ad Arezzo con Agostino Pirella, col quale aveva lavorato a Gorizia assieme a Basaglia. Aveva vissuto in una comune milanese nel 1969, frequentato poi i compagni di Lotta continua e intellettuali come Giorgio Galli, Tito Perlini, Aldo Rovatti, Mario Spinella. Nello stesso anno, nel 1969, Tanchina aveva visitato con Franco Basaglia e Mario Mariani la Kingsley Hall di Londra, dove ebbe l’occasione di intrattenersi a dialogare con Ronald Laing, David Cooper e Mary Barnes (la paziente di Joseph Berke che raccontò la sua esperienza psicotica come percorso metanoico nel libro Viaggio attraverso la pazzia). Nello stesso periodo viaggiava a Zurigo, per formarsi presso l’Istituto Carl Gustav Jung, e a Zollikon con Dora Kalff, l’inventrice della terapia con la sabbia. Ancora nel 1969 aveva organizzato con Pirella il gruppo che diede vita alla rivista Fogli di informazione. La rivista uscì nel 1970 come bollettino ciclostilato e dal 1972 in fascicolo stampato e si occupava di lotta alla psichiatria istituzionale e di confronto tra il movimento antistituzionale, Psichiatria democratica e la psicoanalisi.

Nel 1974 il gruppo rimasto in via Alberto da Giussano – Teresa Corsi, Annamaria Fabbrichesi, Guido Medri, Marina Saviotti, Ciro Elia – fondò l’istituto di formazione che nel 1987 diventerà la Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica (SPP) di Milano. Nel 1979 il gruppo fondatore della SPP ha pubblicato un libro a indicare la linea clinica della scuola, Paziente e analista nella terapia della psicosi, con i contributi di Benedetti, Corsi Piacentini, D’Alfonso, Elia, Medri, Saviotti. Nel 1985, Lilia d’Alfonso avvierà all’interno della SPP il Corso di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Età Evolutiva.

Teresa Corsi Piacentini, analizzata da Silvia Montefoschi, aveva fatto parte del gruppo che a Genova si riuniva attorno a Enzo Codignola. Figlia di un ambasciatore italiano, aveva vissuto in Russia (suoi erano i commenti alle riviste russe di psicoanalisi nella rubrica “Riviste” curata da Giancarlo Rigon per Psicoterapia e scienze umane).

Lilia D’Alfonso, laureata in filosofia, ha fatto un’analisi di gruppo con Enzo Morrone e si è formata all’analisi infantile con Salomon Resnik e Donald Meltzer.

Ciro Elia entrò nel gruppo di Piazza Sant’Ambrogio nel 1968, subito dopo terminato l’analisi di due anni con Pier Francesco Galli, intrapresa dopo un’esperienza analitica, dal 1960 al 1962, con Vittorio Emanuele della SPI. Durante la frequentazione del gruppo di Galli, Elia si sottopose a un’analisi di gruppo con Enzo Morrone e, appassionato in psicoterapia delle psicosi, fu in supervisione con Codignola, Benedetti e Cremerius.

Annamaria Fabbrichesi (1930-2015) fu in analisi con Silvia Montefoschi, in gruppo con Diego Napolitani e infine fece un’analisi con Davide Lopez. (Due personalità fuori dal comune: Montefoschi – analizzata da Ernst Bernhard, trasferitasi da Roma a Milano nel 1956 collaborò con il Centro studi di psicologia clinica che gestiva i corsi di aggiornamento e la formazione all’interno del Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia – e Lopez – fondatore del gruppo e della rivista gli argonauti, analizzato da Lothar Rubinstein e formatosi a Londra durante gli anni tesi fra annafreudiani e kleiniani – furono con Fachinelli tra gli analisti più capaci di pensiero creativo nel panorama italiano).

Guido Medri (1941-2019), analizzato da Diego Napolitani e da Giancarlo Zapparoli, lavorò dal 1966 al 1981 presso diversi ospedali, tra cui l'Ospedale psichiatrico di Castiglione delle Stiviere, la Clinica Psichiatrica dell'Università di Milano, la Divisione Psicopatologica dell'Ospedale Maggiore “Ca' Granda” di Milano.

Marina Saviotti. Il suo primo analista fu Gaetano Benedetti, in seguito – dal 1969 al 1971 – Saviotti fece un’analisi di gruppo con Enzo Morrone (nel suo gruppo c’erano anche Lilia D’Alfonso e Ciro Elia). Morrone si era formato con Karen Horney. Rientrato definitivamente in Italia dagli Stati Uniti nel 1968 collaborò per quattro anni col gruppo milanese di Galli.

Più tardi entrò a far parte del gruppo Aldo Cantoni (1933-2003), laureato in sociologia a Trento si era formato con Enzo Spaltro e Diego Napolitani alla conduzione dei gruppi.

 

La Scuola si strutturava sulla linea formativa del gruppo milanese coordinato da Galli. L’analisi didattica fu sostituita con l’analisi personale, che avrebbe dovuto essere già conclusa prima della formazione psicoanalitica. Tutti gli studenti lavoravano già come psicoterapeuti: chi in un servizio psichiatrico, chi nel proprio studio privato. All’inizio non veniva ammesso nessun candidato che fosse stato in analisi con un docente della scuola e nessun docente poteva essere l’analista di un collega che sarebbe entrato nella Scuola per la formazione. Fedele al principio secondo cui il modello dei colloqui di selezione è uno strumento di potere, dal dubbio valore anche sul piano pratico, inizialmente la scuola chiedeva al candidato di fare un solo colloquio di ammissione, della durata di circa un’ora, in cui il docente non esplorava la patologia del candidato, il carattere, i difetti, l’attitudine professionale, eccetera. Nell’autobiografia Cremerius scrive così: «La mia idea era che, siccome nei colloqui di selezione sul modello IPA si mancava di rispetto verso i candidati, essi erano contrari allo spirito della psicoanalisi in quanto tradivano la massima psicoanalitica per cui ogni persona ha il diritto di proteggere la propria intimità.» Lo scopo del colloquio di ammissione nella nuova scuola era di capire se il candidato fosse stato “toccato” dall’analisi. «L’indizio – continua Cremerius – stava nella capacità di parlare senza autoinganni della propria esperienza di analisi, senza pudore, senza esibizionismo e senza idealizzazione. Per noi l’aver concluso una analisi personale assumeva già la funzione selettiva.» «I docenti, nel nostro caso, rimanevano liberi da qualsiasi interferenza determinata dalla conoscenza di aspetti intimi degli studenti. E gli analisti che si stavano formando erano disinvolti poiché si sentivano liberi di agire di fronte ai docenti. Venne così a cadere sia la rivalità, che è tipica tra gli analisti didatti, e sia la costituzione di clan, diffusa tra gli istituti IPA.»

La SPP era la prima scuola di psicoterapia del nord Italia ad avere quelle caratteristiche. Ricorda con orgoglio Cremerius: «I nostri studenti arrivavano da tutti i grandi centri del nord Italia e noi non sapevamo quali analisti esercitassero dalle loro parti, né a quale scuola appartenessero. Accanto ai candidati alla formazione con alle spalle un’analisi freudiana, c’erano colleghi analizzati da junghiani, lacaniani, kleiniani, winnicottiani. Noi eravamo eccitati per il modo in cui si erano integrate queste diverse scuole nel nostro istituto di formazione freudiano. Tutto andò per il meglio. Verificammo così che integrare quella molteplicità di orientamenti era vincente, in quanto per esempio rendeva vivaci e controverse le discussioni. Tutti imparavamo che ognuna di queste scuole rappresentava aspetti significativi. Ciò portava a una maggiore apertura ed era effettivamente il migliore antidoto contro l’ortodossia. Noi non volevamo riproporre la struttura gerarchico-autoritaria degli istituti di formazione dell’IPA. La nostra concezione della psicoanalisi come scienza illuministico-emancipatoria non scendeva a patti con quella struttura. Da noi non ci sarebbe mai stata alcuna struttura gerarchico-autoritaria, bensì una organizzazione funzionale basata su insegnamento e apprendimento. Il programma di insegnamento iniziò subito con la clinica saltando a piè pari i consueti due anni propedeutici in cui si studia esclusivamente teoria. Ogni analista in formazione doveva discutere regolarmente i suoi casi clinici con un supervisore in rapporto individuale e in gruppo. Le lezioni teoriche erano ridotte all’osso perché gli studenti avevano già una certa esperienza ed erano nella posizione di leggere e capire per conto loro i testi psicoanalitici. I seminari di teoria venivano fatti solo su richiesta esplicita degli studenti. Il nostro auspicio era che con questo metodo di studio si riuscisse a prevenire l’infantilizzazione degli studenti.»

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