Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 27
2 - 2022 mese di Dicembre
FORMAZIONE
TRAINING IN PSICOTERAPIA PSICOANALITICA PRESSO LA SCUOLA SPP
di Simone Maschietto

Questo articolo è la versione in italiano della relazione Psychoanalytic Psychotherapy Training in the SPP Schoolportata dall'autore  al Congresso:

Psychoanalytic theories and techniques: dialogue, difficulties and future. 60th anniversary of the IFPS – XXII International Forum of Psychoanalysis organized by the Centro Psicoanalítico de Madrid – 19 to 22 October 2022

nel panel The beginning of the impossible profession: Experiences of young therapists”.


 

La SPP, la Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica, il nostro Istituto, è stato fondato a Milano nel 1971.

Nel 1977 sono iniziati i Corsi di formazione in psicoterapia psicoanalitica dell'Adulto e, nel 1985, i Corsi di formazione in psicoterapia psicoanalitica dell'età Evolutiva ed i Corsi per Operatori nelle Istituzioni. I suoi principali referenti culturali e scientifici di quegli anni sul piano internazionale erano il Prof. Gaetano Benedetti (1920-2013), dell'università di Basilea, e il Prof. Johannes Cremerius (1918-2002), dell'università di Friburgo.

Nell’Istituto si preparano psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico che operino con adulti e con soggetti in età evolutiva, in ambito pubblico e privato, con una attenzione particolare alla didattica, fondata sull'esperienza clinica ed osservativa e rivolta all'approfondimento dei temi attuali che percorrono la psicoanalisi ed alla apertura culturale.

L'Istituto ha chiesto il riconoscimento per due corsi di specializzazione, di psicoterapia dell'Adulto, di cui sono Direttore Scientifico, e dell'Età Evolutiva, nella sede di Milano e nella sede di Torino, e ha ottenuto l'approvazione dal MURST in data 4 novembre 1994.

Alla metà degli anni 1980 il gruppo insegnante e i colleghi che si erano formati con loro dettero vita all’Associazione di Studi Psicoanalitici (ASP), che su consiglio di Gaetano Benedetti fece domanda di associatura all’International Federation of Psychoanalytic Societis (IFPS) . Dopo la “site visit” condotta nel febbraio 1989 a Milano da Gerard Chrzanowski e Jon Condrau, l’ASP fu accettata come “member society” al Forum dell’IFPS che si tenne a Rio de Janeiro nell’ottobre 1989. Di questo aspetto, e dell’importante ruolo in essa giocato da Benedetti e Cremerius, si è occupato Marco Conci (2014).

 Se all’epoca e per molti anni a seguire i colleghi della “vecchia guardia” svolsero un ruolo cruciale sia nella Scuola (SPP) che nell’Associazione (ASP), negli ultimi anni, per molteplici motivi, i due gruppi si sono così allontanati l’uno dall’altro da rendere desiderabile ed importante che il gruppo della Scuola si rendesse autonomo dal gruppo dell’Associazione, inclusa la necessità di una affiliazione indipendente all’IFPS – che abbiamo formalizzato all’inizio del 2022. Naturalmente, un’analisi di questi eventi meriterebbe un paper a parte. Ma oggi ci limiteremo a presentare il nostro lavoro di formazione dei nostri allievi, così come lo abbiamo svolto – con grande passione ed impegno – negli ultimi anni. E in condizioni ben diverse da quelle che valevano fino a qualche anno fa.

Infatti, il Titolo del Panel di oggi riprende il titolo del libro pubblicato a novembre 2021 (curato da me e Secondo Giacobbi, esperto collega che da innumerevoli anni insegna presso l’Istituto SPP) e si struttura sul desiderio di cogliere le difficoltà cliniche che i giovani colleghi si trovano ad affrontare all’inizio della professione nell’incontro clinico e psicoanalitico con il paziente adulto.

Scegliere in Italia (Milano) la professione di psicoterapeuta psicoanalitico presso SPP implica un percorso molto complesso, sia per il processo formativo quadriennale di training che è molto impegnativo, sia perché indicativamente ogni allievo ha da svolgere 500 ore di formazione all’anno (150 di tirocinio, 335 di lezioni teorico-pratiche, almeno 15 di supervisioni individuali). Nelle ore di lezioni teorico-pratiche sono compresi parecchi Seminari, condotti da un Docente interno, come supervisione di gruppo su casi clinici presentati dagli allievi. Questa modalità formativa di mettere subito clinicamente al lavoro gli allievi, portando loro casi clinici sia in supervisione individuale, sia gruppale, è un aspetto fondante e caratterizzante il training in SPP. Unico nel suo genere è in effetti lo spazio riservato nel nostro modello di formazione al lavoro di supervisione e discussione di gruppo del lavoro clinico degli allievi (vedi anche Conci, 2010).

Naturalmente gli allievi sono tenuti ad effettuare un’analisi personale con uno psicoterapeuta di orientamento psicoanalitico, che però sia esterno alla Scuola e da loro liberamente scelto.

La maggior parte di allievi sono psicologi, senza esperienza clinica, per la più parte molto giovani, che hanno dovuto superare un certo scetticismo perché già a livello universitario nella Facoltà di Psicologia spesso si sconsiglia l’approccio clinico e in particolare quello a impronta dinamica. Quanto all’inserimento nel mondo del lavoro, esso è diventato, come è noto, sempre più difficile.

A livello di assunzione nelle strutture sanitarie pubbliche per la somministrazione di psicoterapia agli adulti i concorsi sono pochissimi e i trattamenti psicoterapeutici, in questi contesti, sono affidati, sotto la supervisione di pochi psicologi di ruolo, a stuoli di allievi iscritti alle diverse Scuole di specializzazione in psicoterapia. Quindi, per lavorare e guadagnare bisogna esercitare quasi esclusivamente nel privato. Ad oggi a Milano si dice che ormai per ogni condominio c’è uno studio privato di psicoterapia, ben pubblicizzato su internet, con il massimo delle offerte possibili (diversi orientamenti clinici, diverse tariffe, diverse tempistiche, diversi metodi, diversi obiettivi).

Per quanto riguarda la formazione, ecco quali ci sembrano, in SPP, gli obbiettivi principali. Oltre l’aspetto fondamentale di fare diagnosi (naturalmente in chiave psicodinamica e di analizzabilità), il giovane terapeuta deve saper cogliere i movimenti nel qui e ora con il paziente, cercando di capirne il senso inconscio e profondo, in modo da favorire una sua evoluzione rispetto ai suoi conflitti e ai suoi traumi del passato. Rendere consapevole il paziente rispetto a ciò che non è ancora conosciuto, e quindi non ancora rappresentato (perché rimosso o mai significato) rimane specificatamente psicoanalitico. Per quanto il centro della seduta rimanga sempre il paziente con i suoi molteplici transfert verso l’analista, si può osservare come il terapeuta analitico – il cui ruolo attivo nel determinare ciò che avviene nella stanza di analisi è ormai ampiamente riconosciuto da tutte le diverse correnti psicoanalitiche – si metta costantemente in discussione in prima persona (autoanalisi controtransferale) al fine di far evolvere il processo trasformativo dell’analizzando.

A differenza della maggior parte delle Società psicoanalitiche che praticano il “sistema di training chiuso”, la SPP ha introdotto il “sistema aperto”, in cui al posto dell’analisi didattica si richiede un’analisi personale che non è sotto la responsabilità dell’Istituto, e che non è fatta quindi, come sopra segnalato, con Docenti interni SPP. Si tratta di una riforma che era stata a suo tempo fortemente voluta da Johannes Cremerius, la cui priorità era stata proprio quella di riorganizzare il nostro training in maniera psicoanalitica, come suona il titolo di un suo famoso articolo del 1991. L’impostazione teorico-metodologica della Scuola SPP non si caratterizza per l’adesione ad un modello univoco ed esclusivo di psicoterapia psicoanalitica. Sin dal primo anno gli allievi incontrano docenti con orientamenti clinico-teorici anche sensibilmente differenziati, pur all’interno di un condiviso orizzonte psicoanalitico (psicologia freudiana, psicologia dell’Io, psicologia delle relazioni oggettuali, psicologia del Sé e psicologia intersoggettiva/interpersonale). Inizialmente questa caratteristica della Scuola può mettere in difficoltà l’allievo, spesso alla ricerca di verità assolute. Progressivamente, però, l’allievo impara ad ampliare il proprio orizzonte culturale, all’interno del quale sapere poi sviluppare una sua personalità clinica, libera e creativa.

Anche per quanto concerne il rapporto con i pazienti e la loro richiesta di aiuto, la nostra Scuola favorisce una formazione clinica molto aperta, capace di consentire all’allievo in formazione l’incontro con tipologie ampie, ed anche gravi, di pazienti. Naturalmente anche questo dato comporta la necessità di una formazione molto “laica”. Del resto, come sosteneva Guido Medri, Direttore storico e Socio Fondatore, ci siamo emancipati dal voler proteggere “l’oro dell’analisi dal rame della psicoterapia” – ovvero “dal bronzo della suggestione”, come Freud aveva dichiarato nella sua relazione al congresso IPA di Budapest del 1918.

Nonostante il nostro rapporto con la SPI sia aperto e fecondo, non possiamo non rilevare come alcuni aspetti di questa storica istituzione psicoanalitica sembrino un po’ troppo avulsi dalla realtà sociale in cui viviamo, soprattutto per quanto concerne l’obbligo che l’allievo debba portare in supervisione didattica almeno un paziente a 3-4 sedute settimanali. Del resto, al riguardo, uno dei nostri fondatori, Johannes Cremerius, ha più volte sottoposto a critica il regime della analisi didattica (vedi, ad esempio, Cremerius 1988).


Come attuale Direttore nei colloqui di selezione al training preciso sempre che in SPP si vuole fornire l’attrezzatura necessaria per saper lavorare clinicamente nel continuum psicoterapia - psicoanalisi, a seconda del trattamento che il paziente è in grado di sostenere. Può capitare nel prosieguo della professione di incontrare pazienti motivati che accettino una terapia a tre sedute alla settimana, nel qual caso bisogna avere acquisito tecnica, conoscenza teorica e capacità autoanalitica per lavorare ad una simile intensità regressivizzante. Ad oggi però la mia esperienza pratica, rimanendo con i piedi per terra, mi ha portato a chiamare analisi trattamenti a due sedute settimanali (la maggior parte dei pazienti, tra l’altro, chiede una sola seduta). Sta accadendo in Italia quello che accadeva già trenta anni fa in Inghilterra e negli Stati Uniti. Non ci sono soldi, manca il tempo, o forse si tratta di un compito troppo impegnativo per l’uomo di oggi. Ma avverto sempre i miei giovani allievi che può capitare di incontrare il paziente disposto a lavorare più analiticamente in maniera intensiva e si deve saperlo fare. E infine aggiungo loro che da sempre, il principio fondamentale della psicoanalisi, è quello di volere realizzare il compito di porsi in opposizione critica alla società, tanto più che la società di oggi sta prediligendo purtroppo vie facili, immediate e interscambiabili; e ciò deve essere contrastato dall'etica psicoanalitica. 

Così dobbiamo fare i conti con il contesto attuale: si sono create un numero esagerato di facoltà di psicologia, gli psicologi giovanissimi sono tantissimi e bisogna trovare loro prima un parcheggio nelle innumerevoli e varie Scuole di Specializzazione, e poi una possibilità lavorativa. Se dunque non ci fossimo anche noi, le nuove leve si orienterebbero di necessità verso scuole di altri indirizzi e sarebbe una catastrofe anche culturale. Saremmo, infatti, circondati solo da terapeuti cognitivisti, comportamentisti ecc. Dobbiamo quindi aggrapparci alle nostre identità e alle nostre radici culturali per non farci confondere e travolgere. Dobbiamo ribadire la dignità della nostra tradizione scientifica, che ha come oggetto di studio l’inconscio umano, che è ciò che ci rende profondamente umani. La ricerca di senso – che richiama analiticamente la ricerca della relazione con l’oggetto – è talmente pregnante nello psichismo umano che chi decide di approfondirne, a livello professionale, l’origine e lo sviluppo ne può rimanere coinvolto intensamente per tutta la vita.

Infatti il giovane terapeuta psicoanalitico per fare bene il mestiere dell’analista deve “mettersi in gioco con sé stesso” nella propria analisi personale, deve avere approfondito come, a partire dall’infanzia, il suo mettersi in rapporto con l’oggetto si è caratterizzato e come si è sviluppato, e soprattutto deve avere riparato le ferite che in questo rapporto con l’oggetto si sono verificate. In psicoanalisi l’oggetto non si riduce esclusivamente all’oggetto esterno (in primis le figure genitoriali), ma è da ricondurre anche e soprattutto alle rappresentazioni d’oggetto fantasmatiche e intrapsichiche che il soggetto crea a livello inconscio nel proprio mondo interiore. Ad esempio, se un paziente racconta che ha sofferto molto da bambino perché, in quegli anni fondamentali per la sua crescita, ha perso la madre, è necessario, oltre ovviamente ad accogliere il suo vissuto molto doloroso, andare a scandagliare cosa rappresenta nel mondo interno del paziente questa “parte morta”. Insomma non ci si deve mai arrestare esclusivamente all’esperienza concreta del paziente.

Quindi, per imparare a lavorare, il giovane allievo deve saper stare il più possibile nel rapporto con il paziente, che proietterà su di lui le sue antiche ferite oggettuali per ripeterle, con la speranza di guarirle attraverso il lavoro analitico. Inoltre deve studiare parecchio, perché in questo mestiere si deve conoscere molto bene la teoria psicoanalitica per farla riaffiorare nella propria mente in maniera intuitiva e immediata, quindi non in maniera difensiva, ascoltando le associazioni del paziente e le proprie.

E si arriva al vero (s)nodo del mestiere psicoanalitico per i nostri allievi, l’incontro reale con i pazienti, perché l’identità clinica deriva dal fatto di avere un buon numero di pazienti in trattamento psicoterapeutico. Le ansie maggiori dei giovani terapeuti fin dall’inizio riguardano proprio questo (s)nodo, perché, come rilevavo più sopra, il paziente “nevrotico”, per il quale originariamente era stato ideato il dispositivo psicoanalitico, è in via di apparente estinzione.


Come sosteneva già Cremerius, noi non vediamo in studio solo i pazienti nevrotici che vorremmo sempre vedere. Noi lavoriamo anche con borderline, psicosomatici, depressi, personalità narcisistiche, personalità perverse (più sul piano psicosessuale) o dominate da perversità (più sul piano relazionale), schizoidi ecc. Ma già dagli Anni Sessanta lo rilevavano molti psicoanalisti da Baranger ( con il problema della chiusura autistica di alcuni pazienti) a Rosenfeld (con i suoi studi clinici sul narcisismo onnipotente) a Green (con la sua clinica del narcisismo di morte) a molti altri.

Dunque la psicoanalisi ha sempre avuto a che fare con pazienti gravi e lo stesso paziente nevrotico adatto per l’analisi è in fondo un’astrazione. Tutto ciò inquieta parecchio i giovani colleghi. Fondamentale per loro, oltre l’analisi personale, diventa allora la supervisione (lavoro individuale e lavoro gruppale), lo studio teorico, e il rapporto con l’Istituto di formazione sia durante che dopo il training.

Sono decisamente aumentati, in particolare, i pazienti con problematiche narcisistiche. Andrei però cauto nel segnalare una così marcata differenza rispetto a prima, in quanto dopo Rosenfeld e Kohut siamo più avvertiti rispetto a queste tematiche, in passato spesso non rilevate. Un’altra novità che mi pare di notare è l’aumento esponenziale di quei pazienti che possiamo definire del tipo “mordi e fuggi”. Vengono con una richiesta di aiuto, ma è sottinteso fin dall’inizio che tutto vogliono tranne che di farsi davvero curare. Hanno già sperimentato vari trattamenti: farmaci psichiatrici a iosa, varie psicoterapie non si sa bene con chi, e dopo qualche colloquio si sa che tenteranno da un’altra parte, magari iscrivendosi a una palestra o a un beauty center. Per loro non c’è l’indicazione al trattamento analitico. Intendiamoci, succedeva anche prima, ma molto di meno. Può essere che proprio qui si annidino le nuove patologie sostanzialmente incurabili, persone che non intendono promuovere in se stesse un cammino di autonomizzazione, ma che preferiscono alimentare un’immagine di pseudo-emancipazione, che rimanda sempre ad un oggetto esterno, magari da cui dipendere concretisticamente (e mai sul registro simbolico).

Insomma per i giovani colleghi all’inizio della professione trovare i pazienti disposti a lavorare analiticamente soprattutto a media frequenza (due sedute) diventa il vero problema. Io in particolare, per la responsabilità che ho come Direttore, sono molto sensibile rispetto a questo problema perché i nostri allievi ne parlano continuamente, risvegliando in me un senso di impotenza e di preoccupazione per il loro futuro. La nostra esperienza è che con alcuni pazienti è comunque possibile un lavoro a largo raggio che voglia incidere in profondità sulla struttura del paziente, ma ci vuole molto più tempo, se si può contare solo, come è sempre più comune, sulla monoseduta settimanale. Va detto però che ormai questa difficoltà è percepita da tutti , anche da parte di vecchi analisti più che accreditati. Anche in questo caso i motivi sono molteplici, siamo in troppi, l’ho già detto, le altre psicoterapie si sponsorizzano come più efficaci nel trattare il sintomo, la psicofarmacologia ha fatto passi da gigante, ma c’è un limite forse di noi analisti, è che siamo troppo timidi o riservati, non ci facciamo abbastanza conoscere, come se rimanendo defilati confermassimo la nostra specificità. Se vogliamo rendere possibile questo “mestiere impossibile” per le future generazioni di psicoanalisti, soprattutto chi dirige e chi lavora nelle Scuole ad orientamento psicoanalitico deve affermare maggiormente il cuore del nostro trattamento, cioè il potere trasformativo e duraturo che avviene solo attraverso la psicoterapia del profondo, naturalmente per chi è veramente motivato a raggiungerlo, sia come analista, sia come paziente.

In altre parole, nella misura in cui abbiamo alle spalle un grande lavoro su noi stessi e con nostri pazienti, che ci ha pienamente convinto dei grandi benefici della psicoanalisi e del suo rappresentare uno strumento unico di analisi della nostra vita psichica, stiamo facendo, e abbiamo fatto, tutto il possibile per trasmettere questa esperienza ai nostri allievi, nella convinzione che si tratti di un patrimonio umano e tecnico che sopravviverà anche il difficile “Zeitgeist” che stiamo attraversando. Come ci sarà sempre bisogno di un buon medico, ovvero di un buon chirurgo, così ci sarà sempre bisogno anche di uno psicoanalista che sa il fatto suo – per liberare i pazienti da quella sofferenza psichica che non mancherà di accompagnare la vita umana.


Bibliografia

Conci, M. (2010), "Introduzione" in: Bartocci C. (curatrice), Benedetti G., Una vita accanto alla sofferenza mentale. Seminari clinico-teorici (1973-1996), FrancoAngeli, Milano, pp. 13-19.

Conci, M. (2014), "Gaetano Benedetti, Johannes Cremerius, the Milan ASP, and the future of IFPS", International Forum of Psychoanalysis (Stockholm), 23, 85-95.

Cremerius, J. (1988). "Analisi didattica e potere. La trasformazione di un metodo di insegnamento-apprendimento in uno strumento di potere della psicoanalisi istituzionalizzata", Psicoterapia e Scienze Umane, 23, pp. 3-27.

Cremerius, J. (1991). "Quando noi, psicoanalisti, organizziamo il training psicoanalitico, dobbiamo farlo in maniera psicoanalitica!", Quaderni del’Associazione di Studi Psicoanalitici, Anno 2, N. 3, pp. 5-23.

Freud, S. (1918). Vie della terapia psicoanalitica. OSF, vol.9.

Maschietto, S. (2021), Presentazione, in: Maschietto S., Giacobbi S., L’inizio del mestiere impossibile: Esperienze di giovani terapeuti. NeP edizioni Srls di Roma (RM), novembre 2021, pp. 19-31.


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