Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 26
1 - 2022 mese di Giugno
CLINICA – IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
CONSIDERAZIONI SUL TRAUMA E SUL FEMMINICIDIO
di Luigi Antonello Armando

  

«E già intervenne a me fare una pittura che rappresentava una cosa divina, la quale comperata dall’amante di quella volle levarne la rappresentazione di tale deità per poterla baciare senza sospetto, ma infine la coscienza vinse i sospiri e la libidine, e fu forza ch’ei se la levasse di casa» [1].

 

1. L’antinomia tra i fattori traumatici esogeno ed endogeno 

Per riconoscere il nesso tra trauma e femminicido è necessario premettere un chiarimento sul concetto di trauma. 

Per ottenerlo bisogna riferirsi all’inizio della psicoanalisi, al problema postosi a Freud di stabilire se alla base dell’isteria vi fosse il fattore traumatico esogeno di violenze effettivamente subite o un fattore endogeno che egli individuò nel complesso edipico rimosso.  

Come è noto, dopo avere deciso fin dal 1885 per il primo fattore, nel 1887 si convinse che le pazienti mentissero  quando lamentavano di avere subito una violenza reale e soffrissero invece per il fattore traumatico endogeno costituito da quel complesso rimosso.

Il problema è però rimasto. Nel corso della storia della psicoanalisi alcuni hanno voluto risolverlo decidendo in favore del fattore esogeno, altri di quello endogeno. 

Tale storia è stata così catturata in un’antinomia e nel conseguente dubbio ossessivo costituito dall’alternarsi delle due opposte decisioni, là dove l’affermarsi di una rendeva evidenti le ragioni dell’altra conferendole potere in un susseguirsi di visioni conflittuali sulla clinica, sulla formazione degli psicoanalisti e sul loro orientamento politico [2]

 

2. La ricerca di un terzo fattore e il suo fallimento 

Per risolvere un‘antinomia bisogna portare i due termini che la costituiscono a sussistere l’uno accanto all’altro grazie al reperimento di un terzo temine. Di recente anche la psicoanalisi si è inoltrata su questa via percorrendola in un modo che un articolo dello psicoanalista inglese Howard B. Levine, Trauma, processo e rappresentazione, dà modo di seguire. 

L’autore esordisce riconoscendo il problema posto dall’«opposizione binaria» (p. 567) di esogeno e endogeno, dichiara di considerarla «sconcertante» e «falsa» e si propone di superarla reperendo un terzo fattore. 

Avvalendosi di un breve scritto del 1919 (Introduzione al libro “Psicoanalisi delle nevrosi di guerra”) nel quale Freud sostiene che lo stesso trauma endogeno indotto dal conflitto edipico rimosso presuppone un fattore traumatico esogeno, Levine suggerisce che le patologie dovute al conflitto endogeno coinvolgono sempre esperienze traumatiche esogene «grezze», le quali, non rappresentate e contenute, rompono l’equilibrio omeostatico che é la condizione del buon funzionamento dell’apparato psichico. 

Secondo Levine non vi sarebbe quindi motivo di mantenere l’antinomia tra i due suddetti fattori. Essi infatti convivrebbero nella continuità di un terzo fattore costituito dalla «costante lotta per contenere, “bonificare”, “metabolizzare” l’esperienza esistenziale grezza» (p. 572) e per ristabilire l’equilibrio dell’apparato psichico.

Levine conclude illustrando le conseguenze cliniche del suo percorso teorico. Delinea la tecnica necessaria all’analista per avere successo in quella «costante lotta» e promuovere nel paziente il lavoro psichico necessario a portare le «esperienze grezze» a rappresentazione onde contenerne gli effetti nocivi. In generale, ma soprattutto nel caso di pazienti nei quali l’equilibrio dell’apparato psichico é particolarmente compromesso, l’analista non può fare uso della tecnica classica. I suoi «interventi devono essere flessibili, intuitivi e pronti ad andare oltre i confini» di quella tecnica (p. 573). Non può fornire solo interpretazioni che esplicitino i contenuti latenti del discorso manifesto dei pazienti; deve avvalersi di «costruzioni» e «cocostruzioni» che, inducendo nei pazienti «microtraumi» (p. 578), li portino a riconoscere la presenza dell’analista nel rapporto di transfert attivando in loro il processo di rappresentazione e contenimento delle «esperienze grezze» [3]. L’attuale tentativo della psicoanalisi, rappresentato dall’articolo di Levine, di reperire un terzo fattore traumatico che la liberi dal dubbio ossessivo in lei connaturato costituisce di per sé un importante cambio di passo nella storia della disciplina, ma incontra limiti di ordine teorico e clinico presentati anch’essi in quell’articolo. 

Rispetto ai limiti di ordine teorico, tra fattore traumatico endogeno costituito dal conflitto edipico rimosso ed esogeno costituito dalle «esperienze grezze» non vi é, come sostiene Levine, continuità, ma identità perché sono ambedue endogeni. Che lo sia il primo è evidente e dichiarato, ma lo é anche il secondo in quanto Levine lo trae dal concetto di «elementi beta» nel quale Bion ha riformulato gli effetti dei processi endogeni di scissione, proiezione e introiezione della primissima infanzia teorizzati da Melania Klein. Non vi è quindi identificazione di alcun terzo fattore traumatico, risulta anzi esservene uno solo: è sempre qualcosa che fa sentire «feriti, impotenti, terrorizzati o schiacciati» (p. 564). 

I limiti di ordine clinico si riassumono nell’impossibilità di andare oltre la tecnica classica senza avere stabilito un rapporto critico con la teoria sulla quale tale tecnica si fonda, rapporto che manca nello scritto di Levine [4]Gli assunti della teoria vi restano intatti e solo ibridati con il riferimento a un’altra teoria, mutuato anch’esso da Bion, contenuto nell’accenno al nostro essere «creature esistenti che vivono nel mondo», il che allude a un fondamento ontologico, quindi esogeno, delle «esperienze grezze».

 

3. La ricerca del terzo fattore continua 

a. Una sequenza

Il fallimento del tentativo di sciogliere il nodo del dubbio nel quale la psicoanalisi resta costretta è dovuto all’incompleta identificazione dei fattori traumatici. È possibile superarla e riconoscere un terzo fattore cercando tra le pieghe della teoria di Freud; anzitutto nel racconto che egli ha lasciato del momento fondativo della teoria nelle lettere indirizzate a Fliess tra il 18 Agosto e il 21 settembre del 1897 prima, durante e subito dopo il suo viaggio in Italia di quell’anno. 

Nella lettera [5] del 18 agosto, scritta subito prima di iniziare il viaggio, Freud si dichiara disponibile a recepire la realtà di una «bellezza assoluta» presentatagli da alcune opere dell’arte italiana del Rinascimento [6] ; in quella scritta il 6 settembre riferisce che l’incontro con tali opere gli aveva dato «ristoro», ma lascia anche intendere che gli aveva indotto una crisi perché altrimenti non avrebbe ceduto alla propria «inclinazione per le perversioni psichiche» [7] ; in quella scritta il 21 settembre appena tornato a Vienna annuncia di non credere più nella natura esogena del trauma e fa un primo accenno al dato endogeno del complesso edipico rimosso. 

Il riconoscimento di questa sequenza permette di identificare il terzo fattore traumatico in una realtà costituita da opere d’arte come alcune di quelle incontrate da Freud nel suo viaggio. Permette anche di comprendere che la formulazione del complesso edipico e la certezza nella natura endogena del fattore traumatico sono una difesa eretta per contenere la crisi vissuta nell’incontro con la realtà di quelle opere e per  relegare nella dimenticanza il fattore traumatico da essa costituito.

 

b. Resilienze

La resilienza di quanto dimenticato continua a scalfire la certezza di Freud nella natura endogena del trauma, tanto che il suo successivo percorso teorico e di vita va nell’insieme compreso come il tentativo di sopprimere quella resilienza. Tale tentativo, e la resilienza che presuppone, sono particolarmente riconoscibili nei seguenti momenti di quel percorso. 

Prima di tutto nel 1898, in Meccanismo psichico della dimenticanza, egli si sforza di dimostrare che il nome dimenticato conversando con un compagno di viaggio non era quello di Leonardo, le cui opere incontrate a Firenze l’anno precedente lo avevano traumatizzato, ma quello di Signorelli, autore dell’affresco sul giudizio universale visto nel duomo di Orvieto e nel quale aveva scorto una rappresentazione mitica della commistione di amore e morte; commistione che avrebbe riproposto in forma “scientifica” nel complesso edipico.

Al momento del 1898 ne seguono altri. Nel 1901, quanto dimenticato gli si ripresenta nel racconto di Dora di essere stata incantata a Dresda da La madonna Sistinadi Raffaello, e Freud riconduce quell’incanto al voler Dora essere una madre vergine come quella madonna [8].

Nel 1910 egli, pur asserendo di non volerlo fare, «offusca» il «risplendente» dell’opera di Leonardo e trascina il suo «sublime (…) nella polvere» del complesso.

Nel 1914, dopo avere riconosciuto di sentirsi «sottoposto a un’impressione violenta, meravigliato e travolto, sopraffatto dalla grandezza» dell’opera di Michelangelo, e di essere incapace di afferrare ciò che essa rappresenta, Freud si lascia condurre dalla propria «inclinazione razionalistica ed analitica» a riportare tutto ciò a un trauma che questa volta pone all’inizio non delle storie individuali, ma della civiltà [9] 

Nel 1927 e nel 1936 ricorre al complesso per risolvere il trauma vissuto nell’incontro con l’arte greca classica.

Nel saggio sul Das Unheimliche Freud giustifica teoreticamente il tentativo di sopprimere la resilienza del trauma esogeno indottogli dalle opere d’arte. Nel corso di tale giustificazione sostituisce il termine “trauma” con “spaesante”[10] perché quest’ultimo si prestava a significare anche il fattore traumatico costituito da opere d’arte che esponevano una «bellezza assoluta» e davano un «godimento elevatissimo» (Freud 1920, p. 203).

 

c. Due scenari

Abbiamo ora di fronte due scenari: quello entro il quale si è mosso Levine e quello ricavabile dal racconto che Freud ha lasciato del breve momento della prima formulazione del complesso edipico.

Essi sono sostanzialmente diversi.

Nel primo agisce solo il fattore traumatico endogeno, costituito dal complesso o dalle «esperienze grezze», che fa sentire «feriti, impotenti, terrorizzati o schiacciati»; nel secondo agisce anche il fattore traumatico esogeno costituito dalla realtà di determinate opere d’arte che possono indurre un «godimento elevatissimo».

Nel primo scenario si svolge la vicenda del conflitto edipico o della «continua lotta» per contenere le «esperienze grezze»; nel secondo si svolge la vicenda dello scontro tra la resilienza del fattore esogeno costituito dalla realtà spaesante di determinate opere d’arte e la tendenza a relegarla nella dimenticanza.

La vicenda di questo scontro va compresa in base al concetto di percezione delirante, cioè del fenomeno per il quale la crisi di identità indotta dall’incontro con una realtà spaesante può svolgersi in due direzioni: nell’attribuire a tale realtà significati noti e tranquillizzanti tratti dal passato o nella realizzazione creativa di una nuova identità. 

Il racconto che Freud ci ha lasciato del momento fondativo della teoria mostra che egli seguì la prima direzione. Infatti, come ho sostenuto, la formulazione del complesso ha una funzione difensiva nei confronti dello spaesamento indottogli dall’incontro con determinate opere d’arte [11].

Se ne deduce che la vicenda dello scontro tra la resilienza del fattore esogeno costituito dalla realtà di date opere e la tendenza a relegarla nella dimenticanza è prioritaria rispetto alla vicenda del conflitto. 

Se ne deduce anche che l’antinomia tra fattore traumatico esogeno ed endogeno appartiene alla vicenda del conflitto e non a quella dello scontro tra la resilienza del fattore esogeno costituito dalla realtà di quelle opere e la tendenza a relegare tale realtà nella dimenticanza. Lo spaesamento indotto dalla realtà di quelle opere non sta infatti in opposizione, ma in continuità con il fattore esogeno da essa costituito. 

La ricorrenza della convinzione del ruolo determinante del fattore traumatico esogeno costituito da atti lesivi va perciò compresa in base al bisogno di colmare il vuoto lasciato dalla dimenticanza del trauma indotto da realtà che possono dare «godimento elevatissimo».

 

4. Le forme del terzo fattore 

a. Non solo l’arte, anche la natura e la donna 

La «bellezza assoluta» che costituisce il fattore traumatico esogeno non si presenta soltanto nella forma della realtà di opere d’arte come quelle incontrate da Freud in Italia e in Grecia, ma anche in altre forme pur esse reperibili tra le pieghe del suo percorso.

Nello scritto del 1915, Caducità [12], egli rievoca una conversazione avuta con un poeta durante una passeggiata nel mezzo di una natura in fiore. Il poeta era turbato dal pensiero che la bellezza della natura estiva sarebbe scomparsa con il sopraggiungere dell’inverno che gli avrebbe sottratto la possibilità di vivere, incontrandola, l’insorgere in sé del sentimento della bellezza al quale attingere per poter creare.

A quella passeggiata partecipava anche una donna, Lou Andreas Salomè e dalle vicende di vita del poeta, Rilke, ricaviamo che egli era turbato soprattutto dal pensiero della sua scomparsa perché temeva che, se non avesse più potuto lasciarsi spaesare dalla sua bellezza, avrebbe perso la possibilità di vivere quel sentimento e di creare. 

Bisogna dunque aggiungere alla forma del fattore traumatico esogeno costituito dalla realtà di opere d’arte le due forme delle realtà della natura e dell’altro da sé che, nel caso del poeta, era una donna. 

 

b. Il sentimento della bellezza

Il fattore traumatico esogeno è nei tre casi la bellezza. Questa però non è una loro qualità. La parola designa un sentimento suscitato nel soggetto dalla contemplazione del fenomeno della dissoluzione delle forme offerto dall’arte, dalla natura e dalla donna. Nell’arte è la dissoluzione delle forme in «sensazioni di spazio e colore» che Freud si disse disposto a recepire accingendosi al viaggio in Italia. Nella natura è la dissoluzione di forme nel trascorrere delle nuvole, nel variare della vegetazione e del paesaggio, nello scorrere delle acque dei fiumi, nel rincorrersi delle onde del mare, nel continuo allontanarsi dell’ orizzonte. Nella donna è la dissoluzione delle forme nella vaghezza della sua figura e dei suoi comportamenti, nell’incedere della Gradiva, nell’enigmatico sorriso della Gioconda o di alcune sculture greche arcaiche come quelle di Egina, negli occhi «ridenti e fuggitivi» della Silvia di Leopardi.

La bellezza però non è nulla di tutto questo, ma è il sentimento che tutto questo può suscitare nel soggetto [13].

Freud lo visse per qualche istante nei suoi viaggi in Italia e in Grecia. Parlò al riguardo di «sentimento oceanico», ma lo concettualizzò come fantasticheria di fusione con il materno nel ritorno alla situazione intrauterina [14].

Quel sentimento non va imprigionato in un concetto, non va identificato con un dato dell’inconscio mappato da Freud e non va confuso con la sensibilità dei cinque sensi. Appartiene all’ordine del sovrasensibile che è tutt’altro dal paranormale o dallo spirituale in quanto ha la concretezza [15] di «rappresentazioni dell’immaginazione che danno occasione di pensare molto, senza che però un qualunque pensiero determinato o un concetto possa essere loro adeguato e, per conseguenza, nessuna lingua possa perfettamente esprimere e farle comprensibili»; di «idee estetiche che vivificano l’animo aprendogli la vista su un campo sterminato di idee» [16]; ha la concretezza di quanto un poeta ha evocato con parole inimitabili: «(…) tra questa / immensità s'annega il pensier mio: / e il naufragar m'è dolce in questo mare».

Il rapporto tra questo sentimento e il fattore traumatico esogeno che è occasione del suo insorgere nel soggetto è diverso a seconda che tale fattore sia la realtà di opere d’arte, della natura o della donna. Nel caso di tali opere il rapporto è riflessivo perché la fonte della loro creazione è il sentimento della bellezza che perciò riflettono. Nel caso della natura il rapporto è proiettivo perché la bellezza attribuitale è in realtà quella del sentimento suscitato nel soggetto dal dissolversi delle sue forme. Nel caso della donna il rapporto è proiettivo in quanto la bellezza le è attribuita dal soggetto, ma è anche riflessivo in quando è altresì quella del sentimento che ella può avere della bellezza e che manca alla natura. 

 

c. La disposizione femminile alla recettività 

La realtà della donna sta in un particolare rapporto con gli altri due fattori esogeni. Tale realtà, oltre ad essere uno di tali fattori, rappresenta infatti anche la condizione della loro esistenza come dati della cultura, nonché della possibilità del soggetto di accogliere l’insorgere del sentimento della bellezza in sé. 

Questa condizione è una disposizione che può essere designata come “disposizione femminile alla ricettività” [17]Essa appartiene sia agli uomini che alle donne e non va identificata con alcuna donna reale. Non può essere colta dai sensi perché è un “al di là” dei sensi che ne possono al più fornire una metafora. Non può essere compresa in un concetto, perché il tentativo di comprendervela la fa svanire come Euridice nel regno dei morti. Appartiene anch’essa all’ordine del sovrasensibile. 

Poiché la sua realizzazione[18] costituisce la condizione dell’esistere dei tre fattori traumatici come dati della cultura e dell’insorgere del sentimento della bellezza, tale disposizione é anche la condizione della possibilità del soggetto di sentirsi esistere. Per nascere oltre la mera esistenza e sentirsi esistere egli deve infatti creare e per creare deve attingere a un sentimento che non potrebbe vivere se non fosse attiva in lui la disposizione a recepire sia le realtà che lo evocano, sia il suo insorgere.

   Può servire a chiarire ciò che intendo per disposizione femminile accennare alla sua differenza rispetto a quanto di apparentemente simile si trova nella letteratura psicoanalitica. Essa non é la “femminilità” che Freud intende come realtà carente, invidiosa e minacciosa, e del resto nella lettera del 29 dicembre 1897 egli ebbe a confessare a Fliess di non avere avuto «il tempo di confrontarmi con il mio lato femminile», né mai lo trovò. Non è il “femminile” che Ferenczi confonde con la passività. Non é l’”Anima” della quale parla Jung perché, come si è detto, essa è una realtà sovrasensibile che sfugge ai sensi e all’intelletto, mentre Jung la costringe e definisce come emanazione di un archetipo; ma soprattutto perché egli ritiene appartenga solo agli uomini e non alle donne [19]Winnicott, con il concetto di «puro elemento femminile», è l’autore che a mia conoscenza più si avvicina a ciò che intendo per disposizione femminile. Tuttavia anch’egli contamina quel «puro elemento» con l’identificazione con il seno materno [20]nella quale l’infante sarebbe inizialmente catturato in attesa di esserne liberato dall’identificazione con il padre.

 

5. La psicoanalisi e il femminicidio

Dei casi di uccisione di donne si parla ultimamente molto. Quando non alimentano una curiosità morbosa, suscitano indignazione, e numerose iniziative sociali e legislative tentano di opporvisi. Questo non è però bastato a che il “mai più” pronunciato ogni qual volta viene uccisa una donna significhi altro che un auspico rituale e scontato. Tanto meno è bastato che si sia attribuito il fenomeno al bisogno degli uomini di affermare il proprio potere e si sia aperta una caccia alle streghe nei loro confronti; anzi, i casi di femmincidio sono di recente in aumento [21]. Manca nelle cronache la comprensione delle motivazioni che, al di là di quelle occasionali, spingono alcuni uomini ad uccidere una donna.

Sociologi, filosofi, psicologi e psicoanalisti si sono interrogati su questa piaga e su come contrastarla [22]. Hannich Houel, ad esempio, prendendo spunto dal caso del filosofo Althusser che nel 1980 aveva strangolato la moglie, ne cerca le motivazioni avvalendosi del «metissaggio» di storia, scienze sociali e psicoanalisi. Chiama in causa la diseguaglianza tra uomini e donne, l’istituto famigliare nel quale l’Io dei soggetti viene negato «in funzione della ripetizione di un destino ancestrale», nonché l’odio maturato, come nel caso di Althusser, nei confronti di una figura materna intrusiva e invadente in assenza dell’identificazione con una figura paterna [23]. Gli psicoanalisti, avvalendosi delle proposizioni di Freud, hanno sottolineato il bisogno di alcuni soggetti di vendicarsi per la dipendenza infantile dalla madre e per l’esclusione edipica, ma ne hanno poi indicate altre. Bowlby ha dato rilievo alla reazione del soggetto a un attaccamento insicuro vissuto nell’infanzia; Kohut alla reazione alla ferita narcisistica inferta da un abbandono; Bion all'odio della parte psicotica della personalità verso una madre simbiotica, manipolatoria e a tratti incestuosa, odio scisso da lei ed agito sulla vittima; Fonagy a un deficit di mentalizzazione [24].  Questi e altri contributi non vanno trascurati, ma hanno il limite di considerare solo la forma di femminicidio estrema e manifesta. Ciò accade perché la teoria freudiana che, pur nelle sue varianti resta il loro sostanziale riferimento, si è costruita, come si é visto, sulla dimenticanza della disposizione femminile alla recettività. Averla invece presente fornisce la base sulla quale e dalla quale procedere a riconoscere le numerose forme del femminicidio. 

 

6. Forme del femminicidio

a. Dimenticare, sopprimeretrasporre 

Come sappiamo da quanto é accaduto a Freud tra il 18 agosto e il 21 settembre 1897, la disposizione femminile alla recettività può essere accolta e subito dopo soppressa.

Il soggetto può sopprimerla per evitare il terrore di perdere la propria identità attuale, oppure, come nel caso di Rilke, per evitare il dolore indicibile di perdere, insieme ad essa, il sentimento della bellezza della cui insorgenza è la condizione, oltreché la creatività che se ne alimenta e dà la certezza di essere nati e di esistere. 

La soppressione può essere diretta o indiretta. 

È diretta quando la disposizione femminile viene sospinta nella dimenticanza fino all’annullamento. 

La soppressione indiretta procede diversamente a seconda che si rivolga contro la natura e l’opera d’arte [25] o contro la donna. 

La natura e l’opera d’arte non rappresentano di per sé la disposizione femminile; quindi la soppressione, quando si rivolge contro di loro, non agisce contro di lei, ma contro il suo oggetto tendendo a lasciarla senza oggetto e senza motivo di essere. Invece quando si rivolge contro la donna agisce contro ciò che questa rappresenta compiendo due passi: identifica la realtà sovrasensibile di quella disposizione nella donna reale e attribuisce alla donna reale i significati di qualità passivizzanti, patologgizzanti, demonizzanti, sfiguranti, idealizzanti. 

Il soggetto che si avvale dell’arma di quei significati è sempre soltanto lo strumento dell’agente effettivo: di una cultura religiosa, scientifica, filosofica, o del loro intreccio.

Alle varie declinazioni della cultura biblica appartengono, tra l’altro, la demonizzazione e l’idealizzazione della donna, l’infibulazione, l’imposizione del burka o del velo, la tonsura delle donne ebraiche, l’obbligo a unirsi in matrimonio con un partner predestinato, la condanna a procreare. 

Alla cultura scientifica appartengono, ad esempio, la manicomializzazione delle isteriche di Charcot [26], la teoria di Freud sulla donna e alcuni momenti della sua prassi [27]In quanto alla cultura filosofica, già Aristotele aveva racchiuso le donne nel ruolo di materia recettrice passiva e impotente del seme dei maschi. Assai più tardi un filosofo la cui vicenda si é incrociata con quella di Freud avrebbe fatto molto di più. In Sesso e carattere Otto Weininger ha sostenuto che grande è «il pericolo che l’idea dell’umanità elaborata da Kant corre a causa della donna (p. 317)» perché le «manca l’organo che le permetta di trovare bella una cosa perché ella non ha nessun valore da poter proiettare» (p. 319), e che pertanto ella «deve scomparire, altrimenti non v’è possibilità di fondare il regno di Dio sulla terra» (p. 327) [28]L’uomo non può fare a meno di una donna reale. Se egli non ha soppresso in sé la disposizione femminile, incontrarla può essere per lui come approdare in un’isola abitata da una Nausicaa da desiderare e da amare, cioè dalla quale attingere, e alla quale dare la forza e l’orientamento necessari ad avventurarsi nell’immenso mare del sentimento della bellezza [29]Invece quando un uomo che l’abbia soppressa in se stesso incontra una donna reale non c’è né desiderio né amore, c’è cieca passione, e l’incontro può esitare in più forme di femminicidio fino a quella estrema e manifesta.

Il cliente di Leonardo, portato dalla sua passione a baciare una donna dipinta, compie un atto cannibalico [30] volto ad appropriarsi della disposizione femminile alla recettività divenutagli “cosa” per averla identificata in quel dipinto; e perciò gli accade poi che «la coscienza» gli imponga di «levarsela di casa», cioè di sopprimere la donna dipinta e quanto rappresenta.

Può accadere però che la passione porti non a baciare una donna dipinta, ma una reale. È il caso del commerciante di opere d’arte del film di Tornatore La migliore offerta. Egli è solito introdurre una pausa nel suo lavoro per contemplare la sua collezione di dipinti di donne. Quando una donna reale misteriosa e sfuggente viene a turbare la sua abitudine e a proporsi alla sua passione, egli vuole baciarla come per assorbire da lei quanto cercava contemplando i dipinti della sua collezione. Non sarà lui a «levarsela di casa», ma lei a sparire con un inganno che riflette l’autoinganno di cui egli è vittima e colpevole. Allora egli la deforma in una nana e si rifugia in una nostalgia confinante con la follia. 

Se la vicenda del collezionista del film è analoga e diversa rispetto a quella del cliente di Leonardo, la vicenda del pittore è analoga e diversa rispetto all’una e all’altra. Il pittore che vuole rappresentare una «cosa divina» estraendola da una donna reale che la rappresenta deve dissolvere la forma di quella donna; si muove perciò su uno stretto crinale dal quale rischia costantemente di precipitare. Può essere Picasso o Modigliani. Può però essere Botero o un pittore di maniera, sfregiare la donna o idealizzarla. Se non gli basta sfregiarla può giungere a volerla uccidere, come nel caso dello scultore del romanzo di McGrath Follia

 

b. Impotenza, potere e femminicdio

Un uomo reso impotente ad amare e a creare per avere perso la propria disposizione femminile persegue il potere e può esercitarlo su una donna reale togliendole ogni spazio di vita come a chiuderla in un sudario invisibile, e per liberarsene ella non ha altra via se non il suicidio, che in realtà è un femminicidio agito da lui. 

Il protagonista del romanzo di McGrath spinge al suicidio la donna dalla quale aveva preteso gli fosse restituita una disposizione femminile perduta e di essere portato oltre la sua impotenza ad amare e a creare.

Il caso di Hitler, convinto lettore di Weininger, è emblematico di questa subdola forma di femminicidio. Oltre alla vicenda nota di Geli Rubal, altre cinque donne andarono incontro alla stessa sorte frequentandolo. Matussek dedica un capitolo del libro Il volto segreto di Hitler al rapporto di Hitler con le donneDescrive come il precoce fallimento del futuro Führer in quanto artista si svolga in una «perdita estrema di sensibilità», in un «vuoto di sentimenti» che lo conduce a vedere nella donna una pura cosa e a voler esercitare su di lei un potere assoluto. 

Non vi è qui spazio per dare conto del nesso che Matussek traccia tra questo aspetto privato della vita di Hitler e l’aspetto della sua vita pubblica, tra il rapporto con le donne e il rapporto con il popolo. Basta accennarvi per dare il senso delle implicazioni e della portata di questa specifica forma di femminicidio. Ed aggiungere che dalla totale negazione della disposizione femminile e della donna reale sorge l’idealizzazione della donna. Scrive Matussek: «La notizia del suicidio di Geli colpì profondamente Hitler; per giorni parve gravemente turbato e sull’orlo del crollo nervoso. Egli chiuse a chiave la camera di lei, facendone il luogo di un morboso culto dei morti» (p. 156) [31].


c. La forma di femminicidio estrema e manifesta

Non solo l’intenzione di dissolvere la forma della figura della donna, anche i significati sovrapposti alla sua realtà, armi apparentemente incruente di un femminicidio, possono tracimare in azioni cruente: la lesione della donna può essere affidata a questa o quella parola, ma anche all’acido, o allo stupro, o alla forma di femminicidio estrema e manifesta.

Come ho premesso, più motivazioni possono concorrere a questo esito, ma dal discorso qui svolto due risultano sostanziali e preminenti: un uomo può uccidere una donna per non perderla o per non perdersi.

L’uomo che ha identificato la propria disposizione femminile in una donna reale é come se la perdesse se viene abbandonato da lei. Egli può uccidere la donna per non perderla e per continuare a tenere con sé il simulacro di quella disposizione. In questo senso, la frase pronunciata da alcuni dopo avere ucciso una donna, “l’ho uccisa perché l’amavo”, ha una sua perversa verità. 

C’è poi la passione chiamata gelosia. L’uomo che abbia identificato la propria disposizione femminile in una donna reale, e che veda nella donna un essere passivo come gli suggerisce di vederla la cultura dominante, può sognare di indossare gli abiti di quella donna, cioè compiere l’ulteriore passo di identificarsi in lei, di essere lei. Perciò se ella va, o se egli immagina vada, con un altro, per lui è come se vi andasse egli stesso. Vive l’angoscia di essere passivamente sottomesso a quell’uomo, e per non viverla e non perdersi nel sentirsi passivo, può uccidere la donna. 

 

7. Il femminicidio preventivo

Visitando la Morgue di Parigi Freud non incontrò soltanto donne che erano state uccise, ma anche bambini che erano stati uccisi, spesso dai loro genitori.

Non sembra però abbia visto che, prima di uccidere un bambino, può accadere che si sia soppressa in lui la recettività e con essa la capacità e la possibilità di sentire, amare e creare. Non abbia cioè visto quanto poi Ferenczi vide quando, in un breve e fondamentale lavoro, disse di un linguaggio adulto della passione che sopprime il linguaggio infantile della tenerezza. 

La soppressione nel bambino di quella disposizione e di quel linguaggio è la forma di femminicidio preventivo, la più estrema e radicale. Sostenuta e promossa da un sistema di presunti valori che prende corpo e peso in una «pedagogia nera» [32], essa tende alla soppressione universale, definitiva e irreversibile della recettività. 

Il femminicidio preventivo, come tutti quelli ai quali si sopravviva, non esclude che dalla disposizione femminile ancora attiva in chi ne è stato vittima continui a spirare un refolo di vento come quello che sollecitava i talloni della scimmia di un racconto di Kafka nonostante avesse raggiunto il «grado medio di istruzione di un Europeo»; non esclude che da una nostalgia sorga il miraggio di quanto soppresso e perduto. 

Questo miraggio apparve al presidente Schreber, vittima di un femminicidio preventivo agito da un padre fattosi strumento della pedagogia nera. Dalla nostalgia di quanto gli era stato sottratto ed aveva perduto sorse in lui il miraggio, Freud dice «la rappresentazione», di quanto «dovesse essere davvero bello essere una donna che soggiace alla copula» (Schreber, in Freud 1910, p. 343).

Schreber non avrebbe comunque ritrovato quanto perduto, ma forse non sarebbe impazzito, avrebbe solo partecipato di un delirio condiviso, se per realizzare quella rappresentazione avesse potuto fruire delle tecniche rese oggi disponibili dalla scienza le quali, consentendo a un uomo di fingersi fisicamente donna, sopprimono irreversibilmente la sua disposizione femminile. 

Meno ancora sarebbe impazzito se fosse vissuto non oggi, ma in un futuro nel quale avrebbe potuto realizzare la sua rappresentazione entrando in un mondo virtuale che si viene sostituendo a quello ancor oggi reale. In un episodio della serie televisiva intitolata Black mirrordue uomini non si limitano a partecipare a distanza l’uno dall’altro a un videogame nel quale figurano un uomo e una donna; avendo anche la possibilità di trasferirvisi fisicamente, uno dei due giocatori vi può assumere il ruolo della donna e avere rapporti sessuali con l’altro che ha assunto il ruolo dell’uomo, e può così realizzare ciò che Schreber si poté solo rappresentare [33].


8. Il femminicidio femminile 

Il femminicidio agito da donne è il suicidio [34]Più fattori possono concorrevi, tra i quali forme di femminicidio agite da uomini che hanno privato le donne della disposizione femminile o della speranza di poterla vivere, come è accaduto ad Anna Karenina, a Madame Bovary e alla signorina Else dell’omonimo racconto di Schnitzler, anche se in questo caso l’agente non è un uomo, ma una mentalità borghese ottusa.

  Esistono però forme di femminicidio femminile non estreme e manifeste.

   La donna sopprime la dimensione femminile in se stessa quando reagisce a una violenza facendo suo il ruolo passivo assegnatole dalla società degli uomini, accettando la condanna a procreare e rinunciando a creare. 

   Sopprime quella dimensione anche quando si ribella a tale ruolo e a tale condanna diventando menade, strega, isterica, donna fatale, quando la identifica narcisisticamente con il proprio corpo o quando aspira ad assumere un’identità virile senza sapere che questa, per essere creativa e non solo produttiva, deve stare in sinergia [35] con la disposizione femminile. 

Un’altra forma di femminicidio femminile non estrema e manifesta si presenta quando la donna sopprime la disposizione femminile nell’uomo. Lo fa restandogli fisicamente presente, ma opponendogli un’indifferenza maturata nella soppressione della propria disposizione femminile; oppure rendendosi fisicamente assente, come Rilke temeva che Lou Andreas Salomé gli si sarebbe resa.

 

9. Il peccato originale [36]

Ho sostenuto che la disposizione femminile alla recettività è la condizione della creatività [37] di tutti noi, uomini e donne.

Creare è però il massimo e il primo peccato che possiamo commettere: è il peccato originale. 

A indurci a credere che lo sia non è solo la dipendenza da una tradizione religiosa, è anche il bisogno di dipenderne. In quanto esseri umani abbiamo infatti la costante taciuta consapevolezza che le nostre eventuali creazioni, benché necessarie a renderci certi di essere nati ed esistenti, di essere anziché non essere, sono effimere e destinate quanto noi a scomparire in un mistero che chiamiamo nulla. Per sottrarci a questa consapevolezza abbiamo bisogno di tenere viva la credenza nell’esistenza di un soggetto onnipotente increato in grado di evitare quel destino a se stesso e alle sue creazioni; oppure di renderci noi stessi onnipotenti asservendo a questo fine le conquiste del progresso scientifico [38].

L’intenzione di sopprimere la condizione della creatività costituita dalla disposizione femminile alla recettività, e di sopprimere la donna che la rappresenta, insorge per mantenere viva quella credenza o per divenire onnipotenti sfuggendo al destino E poco può importare che si debba per ciò pagare il prezzo di non essere mai nati e di avviare il mondo umano alla fine [39].

 

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[1] Leonardo da Vinci, Trattato di pittura 21. «Senza sospetto», dal latino “suspicere” che ha come primo significato “guardare”, dunque “senza essere visto”.

[2] Si pensi alle polemiche intorno al libro di Masson Assalto alla verità. Emblematico quanto accaduto in occasione del XXVI Congresso dell’IPA tenuto a Roma nel 1969: all’arroccamento dell’Istituzione sulla concezione endogena del trauma e su posizioni conservatrici in sede di pratica formativa e di orientamenti politici si opposero gli ideatori di un “Controcongresso” insistendo sulla natura esogena del trauma e attribuendo alla psicoanalisi una funzione rivoluzionaria. Per la posizione dell’IPA si veda il saggio di Franco Fornari, L’angoscia genetica nella simbolizzazione delle istituzioni psicoanalitiche; per la posizione del Controcongresso si veda Bolko-Rotschild, Una pulce nell’orecchio; per un orientamento in parte analogo Il potere della psicoanalisi; per l’insieme della vicenda il mio Un episodio poco noto della storia della psicoanalisi in Italia. Di recente Dagmar Herzog in Cold War Freudha ripreso le posizioni del Controcongresso attribuendo alla psicoanalisi una presunta funzione rivoluzionaria, si veda la mia recensione al suo libro. 

[3] Citando un articolo di una collega Levine scrive: «Alcuni pazienti traumatizzati […] non sono in grado di trarre profitto da interpretazioni sul “perché” o interpretazioni sul “cosa”. Ciò di cui hanno bisogno è un rivitalizzante intervento “Ehi!”».

[4] Per stabilire un rapporto critico con la teoria non va appurato se è o meno vera, ma ne va riconosciuta la realtà storica, ovvero la funzione svolta dalla sua costruzione nel contesto del percorso di vita di Freud compreso nel contesto del percorso della storia della cultura dell’Occidente. È paradossale che gli psicoanalisti non abbiano fatto, rispetto alla teoria della quale si avvalgono, quanto abitualmente fanno rispetto alle comunicazioni dei pazienti: prima di preoccuparsi se sono o no vere essi  si interrogano sulla funzione che svolgono nel contesto del rapporto di transfert. Per un chiarimento dei concetti di realtà storica e di funzione e per un tentativo di stabilire un rapporto critico con la teoria freudiana, rinvio al libro mio e di Marianna Bolko del 2017 sull’interpretazione dei sogni e al mio Storicizzare Freud del 2019.

[5] Riassumo di seguito quanto ho argomentato alle pp. 25-50 di Storicizzare Freud. SI vedano anche le pp. 118-123 del libro mio e di Marianna Bolko del 2017.

[6]  «Questa volta mi auguro di riuscire ad andare ancora più a fondo nella ricerca del significato  dell’arte italiana. Incomincio a presentire il tuo punto di vista il quale non cerca ciò che ha interesse storico culturale, ma la bellezza assoluta che sta sotto la rassicurante copertura delle idee e delle forme, in sensazioni di spazio e colore piacevoli a livello elementare».

[7]  «In Italia cerco, come tu sai, un punch al Lete e ne sorbisco un sorso qua e là. Ci si ristora alla bellezza spaesante (fremdartiger Schönheit) e all’immane slancio creativo (riesenhaftem Schöpfungsdrang); ma in ciò trova il suo tornaconto anche la mia inclinazione per il grottesco, per le perversioni psichiche». 

[8]  Si veda la mia lettura dello scritto di Freud su Dora alle pp.123-128 di Storicizzare Freud.

[9]  È un trauma di incerta natura. In quanto costituito dall’azione violenta dei figli nei confronti del padre primevo è esogeno e solo poi, una volta rimosso, diventa endogeno. Resta aperta la questione di cosa abbia spinto i figli a compiere quell’azione.

[10]  Das Unheimliche” é stato tradotto in italiano con “Il perturbante”che a sua volta traduce l’inglese The Uncanny adottato nella Standard Edition. “Perturbante” e “Uncanny” tendono a restringere in quello di “sinistro” il significato della parola tedesca che comprende i significati di ‘inaspettato’, ‘estraneo’, ‘inconsueto’ “meraviglioso” e la cui polisemia è meglio resa con “spaesante”. 

[11] Per la lettura del momento fondante della teoria in base al concetto della percezione delirante si veda il classico libro di Graziella Magherini, La sindrome di Stendhal. Su quel concetto in generale si vedano le pp. 45-50 di Storicizzare Freud. Fondamentali l’articolo di Blackenurg del 1965, ma anche, benché non facciano uso di questo termine per indicare la dinamica della reazione all’incontro con lo spaesante, de Martino, Il mondo magicoe Todorov, La conquista dell’America.

[12] Riassumo qui il commento allo scritto di Freud alle pp. 99-106 di Storicizzare Freud.Si veda anche von Unwerth, Freud’s Requiem.

[13] «La bellezza, senza il riferimento al soggetto, di per sé non è nulla» Kant, Critica del giudizio, p. 60.

[14] Così anche Hanna Segal, Sogno, fantasia e artee Meltzer, L’oggetto estetico. Per contro, commentando quanto Freud ha scritto sul sentimento oceanico, Fachinelli in La mente estatica, p. 180, si è espresso così: «Ci affacciamo a questo punto su una zona d’incrocio aperta alla ricerca psicoanalitica attuale, che coinvolge allo stesso tempo territori antropologici finora ai margini della psicoanalisi. È una zona, una “terra promessa”, che tormentò Freud negli ultimi anni […] ma che a lui fu vietato di raggiungere». A giudicare dall’articolo di Levine, ma non solo, la ricerca psicoanalitica non ha dato seguito a questa grande intuizione di Fachinelli e purtroppo è mancato anche a lui il tempo di inoltrarsi nella “terra promessa” che aveva intravista.

[15] Come non ricordare qui la Lettera al padre del giovane Marx? «Volevo ancora una volta tuffarmi nel mare, ma con il proposito ben fermo di trovare la natura spirituale altrettanto necessaria, concreta e dai contorni altrettanto sicuri quanto la realtà fisica […] di riportare alla luce la perla delle perle». 

[16] È la definizione che Kant, nella Critica del giudizio(pp. 173 e 175) dà di un sentimento che appartenente all’ordine del sovrasensibile alla cui illustrazione dedicò tale sua opera dopo che ne I sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica aveva escluso la possibilità di confondere il sovrasensibile con il paranormale e nella Critica della ragione pura aveva tracciato i confini dell’operatività dell’intelletto. Freud aveva intuito l’appartenenza della bellezza all’ordine del sovrasensibile quando l’aveva definita come «assoluta».

[17] In precedenti lavori ho usato prima l’espressione “immagine femminile”, poi “dimensione femminile”. Approfondendo la ricerca mi sono risultate ambedue inappropriate: l’una perché “immagine” significa pur sempre qualcosa di definito, l’altra perché ha un significato puramente spaziale. “Disposizione femminile”, che ora passo ad usare, evita la prima difficoltà e comprende un riferimento alla potenziale attività della realtà in parola. 

[18] Questa realizzazione è stata significata da Dante con un potente neologismo: “indonnarsi”. «Ma quella reverenza che s’indonna/ di tutto me, pur per Bee per ice/ mi richinava come l’uom ch’assonna» Paradiso VII, 13-15.

[19] «L’Anima, che è di genere femminile, è esclusivamente una figura che compensa la coscienza maschile (…). Non si trova questa immagine nel patrimonio di immagini dell’inconscio femminile». Tutt’al più «esistono donne che sembrano create dalla natura per attirare le proiezioni dell’Anima», ma non hanno «nessuna individualità femminile» (Jung, in Hillmann, Anima, pp. 80-81).

[20] «Il puro elemento femminile ha un rapporto con il seno (o la madre) nel senso che diventa il seno (o la madre)» Winnicott, Gioco e realtà, p. 142, ma si veda tutto il peraltro importante capitolo quinto. 

[21] Per il racconto di alcuni casi di femminicidio, il panorama delle iniziative che vi si oppongono, le statistiche della loro occorrenza nei vari paesi e i dati relativi al loro incremento, si veda il libro di Serena Dandini, Ferite a morte.

[22] Si veda il libro di Valeria Babini, Lasciatele vivere. Voci sulla violenza contro le donne.

[23] Il caso Althusser meriterebbe un approfondimento che non posso qui fare. Mi limito a suggerire che la premessa del femminicidio da lui agito potrebbe stare nel suo annullamento della disposizione femminile alla recettività implicito nella sua interpretazione del pensiero di Marx in chiave strettamente deterministica. 

[24] Si vedano anche i contributi raccolti nel dossier della SPI “Uno sguardo psicoanalitico sulla violenza contro le donne”, reperibile su Internet.

[25] «Nella natura non bisogna cercare la bellezza, ma di che accrescere la produttività». Queste parole, che si trovano nella Nuova Atlantidedi  Francis Bacon (p. 77), ben significano il momento storico dell’inizio di uno sfruttamento della natura in funzione della crescita della produzione che ha condotto all’attuale angoscia di fine del mondo. Graziella Magherini, nel libro citato, ha portato più casi di opere d’arte realmente sfregiate. Ma lo sono ancor più dalla loro commercializzazione, dalla riduzione del loro valore a prezzo. 

[26] Su questa forma di femminicidio si veda il romanzo di Victoria Mas, La danza delle pazze.

[27] Nel 2021 l’opinione pubblica italiana è stata scossa dal caso di Saman, una giovane pakistana uccisa dai suoi familiari per avere rifiutato un matrimonio da loro combinato. Quanto agito dalla famiglia su Saman in nome di una cultura religiosa non è nella sostanza diverso da quanto agito su Dora dalla sua famiglia inducendola a cedere alle profferte del signor K.. Non é neppure nella sostanza diverso da quanto poi agito da Freud su Dora in nome della cultura scientifica, salvo che per non essere esitato nella forma estrema e manifesta del femminicidio alla quale egli si era però avvicinato nel caso di un’altra donna, Emma Eckstein.

[28] Il femminicidio è in Weininger connesso con il razzismo: «L’emancipazione delle donne è simile a quella degli Ebrei e dei Negri. La colpa principale del fatto che questi popoli furono sempre trattati da schiavi e stimati pochissimo sta certamente in primo luogo nel loro carattere servile; essi non hanno un bisogno di libertà tanto impellente quanto gli Indogermani» (p. 322). Una traccia conduce da quel libro, che Hitler aveva letto, al Nazismo, alle sue forti componenti omosessuali e al suo antisemitismo. Una traccia, che non è possibile qui seguire, conduce dal femminicidio al genocidio. Anche se Freud non è certo Weininger, se non altro perché questi si suicidò due mesi dopo la pubblicazione del suo libro, troviamo in lui la stessa convinzione di Weininger che la donna costituisca un pericolo per la civiltà in quanto priva di quello che Weininger chiama «organo» ed egli indica nel fatto che «Il Super-Io della donna non diventa mai così inesorabile, così impersonale, così indipendente dalle sue origini affettive come esigiamo che sia nell’uomo» (Freud 1925, p. 216).

[29] A scanso di equivoci, questo vale anche per l’incontro di una donna con un uomo reale, ma ciò esula dalla linea di discorso qui seguita. 

[30] «[…] se tu rappresenterai all’occhio una bellezza umana composta di proporzionalità di belle membra, essa bellezza non è sì mortale, né sì presto si strugge […] anzi t’innamora […] e pare che la bocca se la vorrebbe per sé in corpo» (Trattato della pittura, & 19).

[31] Ritroviamo i contenuti del libro di Matussek nel film di Duynay Il giovane Hitler.

[32] L’espressione è di Alice Miller ed è stata ripresa da Katherine Rutschky nel titolo di un suo libro. Si veda anche Schatzman, La famiglia che uccide. Il caso di Paul Daniel Schreber.

[33] La transessualità è solo uno dei modi di inseguire il miraggio. Discorrerne porterebbe lontano dal tema qui trattato. Rinvio al libro di Secondo Giacobbi Omogenitorialità. Ideologia, pratiche, interrogativi

[34] Anche se minore di quello degli uomini, il numero delle donne che si suicidano é alto, così come lo è quello dei comportamenti che si avvicinano al suicidio assegnati dalla psichiatria alla categoria dei disordini borderline, quali infliggersi ferite, bruciature, graffi o quant’altro. 

[35] Per il concetto di sinergia rinvio al mio scritto La donna cucita. Implicazioni teoriche di un caso clinico.

[36] Riassumo qui il quinto capitolo di Storicizzare Freude l’articolo del 2020 su L’albero della conoscenza e l’albero della vita.  

[37] La creatività non é una prerogativa del genio, ma la comune possibilità di porre in essere qualcosa che prima non c’era e che non ha valore in quanto prodotto, ma in quanto dà la certezza di esistere. «Una creazione può essere un quadro o una casa o un giardino o un costume o un modo di pettinarsi o una sinfonia o una scultura; qualunque; cosa a patire da un pranzo cucinato in casa»Winnicott, Gioco e realtà, p. 123.

[38] Si veda il libro di Harari Homo deus. Breve storia del futuro.

[39] È d’obbligo citare qui il libro di de Martino La fine del mondo. Su di esso e sul recente ritorno di interesse, anche in rapporto alla situazione attuale, per questo importante pensatore, si veda l’articolo di Sigmund Ginzberg, Profezie della catastrofe su “Il Foglio” del 23 aprile 2022.

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