L’intervento di Annamaria Govi mi ha fatto rivivere con concretezza le esperienze dei gruppi di lavoro con Guido Medri. Con alcune colleghe, subito dopo la formazione in SPP, gli avevamo chiesto di poter continuare i seminari insieme a lui. Personalmente poi ho avuto il piacere, il vero piacere, di incontrarlo quasi ogni giorno, visto che condividevamo lo studio. Guido è diventato anche un amico. E questo ha moltiplicato la mia sofferenza quando è andato via, una sofferenza che continua a rinnovarsi ogni volta che entro in studio.
Guido non ha scritto un suo libro, e questo probabilmente per diversi motivi. Tra i tanti credo che uno fosse determinante: all’inizio della mia formazione trovai un suo articolo sulla psicoterapia psicoanalitica e durante una supervisione ne ripresi alcuni passaggi. Lui, col suo solito modo di fare, disse: “Ah! Davvero ho scritto questo? Sa perché non scrivo? Perché poi mi ritrovo a non essere d’accordo con gran parte di quello che ho scritto.”
La psicoterapia era per Guido fortemente scientifica, nel senso che si basava sulla continua ricerca della verità e non sulla difesa di una presunta verità.
E la ricerca della verità deve utilizzare gli strumenti più adeguati all’oggetto che si propone di studiare: le ricerche neuroscientifiche sono importanti ma i processi mentali non sono riducibili a impulsi elettrici, le analisi statistiche sugli esiti sono utilissime ma l’essenza dell’oggetto psicoanalitico è altrove. Non si possono studiare le bolle di sapone usando delle pinze d’acciaio diceva un docente universitario. Lo studio dell’oggetto psicoanalitico deve essere condotto con strumenti appropriati. Sappiamo quanto possa essere utile e particolarmente validabile la tecnica che affronta il conflitto attraverso le sue manifestazioni difensive, sappiamo quanto sia importante l’analisi disciplinata della resistenza. Brenner diceva che la convalida di quanto si ipotizza in analisi è proprio la verbalizzazione da parte del paziente del suo desiderio pulsionale. Era quella una strada che piaceva a Guido e che tante volte mi ha mostrato. Certo la psicoanalisi non può essere precisa come altre scienze, deve accontentarsi di approssimazioni, ma non per questo deve rinunciare ad essere scientifica.
Vedevo Guido come un Ulisse: perennemente in viaggio, curioso e aperto alla scoperta del nuovo. Ricordo il caso di un giovane adulto portatogli in supervisione, con Guido che mi invitava a studiare Narcisismo e analisi del Sé di Kohut: “Può sembrare sorprendente ma – mi disse – ho studiato approfonditamente Kohut. L’ho fatto per poter criticare a ragion veduta il suo approccio e invece mi sono ritrovato a essere per un certo periodo kohutiano!”
Partiva per lunghi viaggi, poi faceva ritorno a Itaca (probabilmente Itaca era gran parte dello scritto presentato da Annamaria Govi) per poi riprendere a viaggiare ancora.
La sua idea di scientificità risiedeva nel continuo processo di tipo induttivo, nell’attenzione al singolo caso, e nell’incessante bisogno di verifica.
Più che contenuti, che sono solitamente mutevoli e soggettivi, Guido Medri ci ha lasciato processi di pensiero, proprio come dovrebbe fare una buona analisi. E questa è per me una grande eredità.