Ho iniziato una analisi con il dottor Medri nel 1978 della durata di 7 anni felicemente conclusasi. Poi i casi della vita mi hanno riportata a chiedergli di proseguire un altro tratto di percorso che si è concluso con la sua scomparsa.
Ciò che mi porto dentro della mia relazione analitica con Medri è innanzitutto la sua capacità di stupirsi: a me sembrava di andargli a raccontare un po’ sempre le stesse cose e invece lui si mostrava animato da un autentico stupore. Era questo stupore che dava a ogni seduta un impulso a proseguire.
Un altro tratto caratteristico del suo essere psicoanalista era la sua garbatissima ironia. Per me, tendenzialmente portata al dramma, questo suo approccio era davvero un balsamo. Si è più volte fatto riferimento alla figura dell’analista come farmaco. Ecco per me senz’altro funzionava così: il solo vederlo mi faceva star bene. Mi sembrava che lui sistemasse tutto, una concezione da parte mia quasi magica.
Grandissima cura lui dedicava a far sentire la stanza di analisi un luogo protetto. Ricordo ancora che quando riceveva delle telefonate durante la seduta, spesso rispondeva dicendo “sto lavorando” e non lo diceva certo con tono sgarbato, ma l’avvertimento chiaro era a non farla troppo lunga e in quel momento sentivo tutta l’attenzione che metteva nell’investire sulla coppia analitica, che eravamo lui ed io.
Prendendo l’ascensore spesso lo vedevo salire dal primo piano, dove c’è la scuola di psicoterapia da lui fondata, al terzo. All’inizio lo aspettavo fuori, poi successivamente entravo, perché lui lasciava la porta aperta e andavo direttamente a sedermi al mio posto. C’era tutta una serie di gesti dal chiudere porta e finestra a sistemarsi sulla sedia, che a me piaceva moltissimo: la ritualità in analisi è molto importante.
Altra caratteristica di Medri era il suo stile comunicativo, che io definirei paradossale. Lui ricorreva non di rado a una comunicazione spiazzante con battute fulminanti che spesso mi strappavano una risata e mi offrivano un punto di vista assolutamente inedito.
Sebbene fosse malato, nell’ultimo periodo scherzavamo e ridevamo spesso. Il suo sorriso me lo porto dentro insieme alla sua capacità di condurmi per mano sempre “oltre”.