Ecco alcune brevi riflessioni sullo scritto di Guido Medri, La formazione nell'SPP, che nella prima parte riassume la relazione tenuta a Desenzano del Garda (Giornate residenziali S.P.P., 28-20 novenbre 2008), e nella seconda ci propone un commento sulla relazione medesima con lo scopo di stimolare una discussione.
Raccolgo l'invito e presenterò, come dicevo, alcune brevi considerazioni.
Certamente non ho la prestigiosa formazione e l'intensa esperienza clinica e di formatore di Medri, tuttavia nel mio piccolo penso di poter concordare pienamente con lui sul fatto che la formazione psicoanalitica e la stessa figura dello psicoanalista sono radicalmente mutate.
È cambiato anzitutto il percorso formativo che attualmente è rigorosamente regolamentato a norma di legge. A questo proposito penso di essere d'accordo con Medri anche sul fatto che la S.P.P. ha compiuto sforzi importanti per conservare, nonostante il cambiamento dell'iter formativo, almeno alcuni tratti essenziali del diventare analista. Questi tratti differenziano la formazione alla psicoanalisi o alla psicoterapia analitica da ogni altro tipo di formazione psicoterapeutica di carattere non analitico; i punti essenziali sono i seguenti: l'analisi personale, e il fatto che l'allievo faticosamente è portato, se le cose funzionano, a vivere la teoria e la tecnica psicoanalitica, non come uno strumento che lavora al posto suo e dietro al quale può all'occorrenza nascondersi, ma come uno strumento che è nelle sue mani, del quale è responsabile e i cui effetti terapeutici dipendono interamente da lui.
Un secondo poderoso cambiamento riguarda il numero di psicologi animati dal desiderio di diventare psicoanalisti o psicoterapeuti. Gli psicologi che oggi intraprendono questa strada sono innumerevoli, sono talmente tanti che è perfino impensabile un confronto con quanto accadeva sino a pochi decenni or sono.
Il motivo più appariscente di questa crescita esponenziale degli psicologi risiede nel gran numero di Facoltà e di Corsi di Laurea in psicologia che sono stati creati nell'Università italiana in questi ultimi anni. Un motivo più profondo, di natura sociologica, riguarda la posizione dello psicologo nella realtà italiana: esiste come in passato la psicologia clinica, che attrae ancora la maggior parte dei giovani psicologi, ma esistono molte altre possibilità di lavoro o sottolavoro: nelle aziende, come psicologo del lavoro o formatore, nella scuola, nei tribunali, nelle carceri, nello sport, nei corpi militari, nelle situazioni di urgenza.
La pletora di giovani e spaesati psicologi pone a una scuola a indirizzo psicoanalitico, come la S.P.P., molti e nuovi problemi. Medri li ha illustrati efficacemente nel suo articolo su Setting. Vorrei aggiungerne uno che mi tocca personalmente. Nella S.P.P. insegno Elementi di psicoanalisi, insegno - e sono d'accordo con Medri che il termine insegnare in rapporto alla psicoanalisi è innaturale - una materia teorica. E il mio problema è questo: i giovani psicologi, della nostra scuola, ma credo di ogni scuola, hanno un presente incerto e un avvenire professionale quanto mai indefinito. Stando così le cose, quale può essere per loro il valore della teoria psicoanalitica, se non l'immediata applicabilità alla clinica. Salvo sporadici casi, l'amore per la teoria e la passione per la conoscenza impallidiscono di fronte al problema drammaticamente pratico di trovare un lavoro in un servizio o in uno studio ed essere in grado di compierlo nel migliore dei modi. La mia difficoltà che, ogni anno cerco laboriosamente di superare, è di insegnare la teoria in funzione della clinica, il che in sostanza consiste nell'esemplificare, con casi clinici miei o di altri, i concetti teorici che espongo. Il problema insormontabile sta nel fatto che molte teorie psicoanalitiche sia delle origini sia dei nostri giorni sono troppo complesse, troppo astratte, per essere illustrate attraverso situazioni concrete. Si pensi solo alla teoria dell'Edipo nella versione antica o in quelle moderne. Com'è possibile esemplificarla in maniera da renderla subito utilizzabile sul piano della pratica. Eppure i nostri allievi sentono, giustamente, proprio questo bisogno, non hanno tempo ed energia per altro; manca loro la lunga e indefinita durata che caratterizzava la formazione psicoanalitica fino a qualche decennio or sono.
Mi chiedo anch'io ciò che si chiede Medri nel suo articolo: era meglio prima o adesso? Non so rispondere, posso solo osservare che adesso le cose stanno così e che è che indietro non si torna. Francamente non so se questo sia un passo avanti.
Un ulteriore imponente cambiamento riguarda il genere. Non solo nei corsi universitari di psicologia, ma anche nelle scuole di specializzazioni, come la S.P.P., il numero delle donne supera di gran lunga quello dei maschi. En passant, ricordo che anche nella Facoltà di Medicina e Chirurgia sta avendo luogo un fenomeno analogo.
Le professioni di aiuto e di cura oggi attirano, a quanto risulta, molto più le donne che gli uomini. Esistono certamente ragioni di ordine sociologico che spiegano questi fatti, ma in proposito non ho alcuna competenza. Mi prendo invece la libertà di proporre un'ipotesi che concerne la storia della psicoanalisi del Ventesimo secolo. Da una psicoanalisi al maschile si è progressivamente transitati verso una psicoanalisi al femminile. Freud e gli analisti della sua generazione, e poi la Klein e Lacan, sono i più illustri rappresentanti della psicoanalisi al maschile: è una psicoanalisi che penetra mediante l'interpretazione, che privilegia dunque il contenuto al contenitore. Dal secondo dopoguerra, col modello delle relazioni oggettuali, e soprattutto in virtù dell'enorme influenza esercitata da Bion e Winnicott, si è fatta avanti pian piano la funzione eminentemente femminile del contenitore e del contenimento. Non dico che questo cambiamento interessi l'intera comunità psicoanalitica, basti pensare alla posizione di un grande psicoanalista come Green. La tendenza tuttavia mi sembra essere quella che ho descritto.
Accenno a un'ultima ipotesi che ha a che fare con le precedenti osservazioni: la psicoanalisi è andata incontro nel Ventesimo secolo a un processo di secolarizzazione. Chi crede più nella metapsicologia e nei miti che essa portava con sé? Mi rendo conto che dovrei argomentare in modo approfondito l'ipotesi. Preferisco però lasciare il discorso incompiuto, a titolo di mera sollecitazione.