Questo numero di Pratica Psicoterapeutica si sviluppa sia sugli interventi dei Relatori che hanno partecipato alla Giornata Studio del 6 marzo 2021 Il contributo scientifico di Guido Medri alla psicoterapia psicoanalitica individuale dell’adulto, sia su alcuni commenti di colleghi intervenuti nel dibattito a conclusione di tale evento, o nel post dibattito che è proseguito nei giorni successivi.
Infatti, tutta la redazione, a partire dal sottoscritto, ha desiderato che questo numero fosse centrato su alcuni temi, ritenuti fondamentali, che Guido Medri ha lasciato come eredità scientifica/clinica e come eredità umana in noi colleghi.
Nella mia introduzione alla Giornata Studio ho ripreso alcuni concetti che Guido Medri ha presentato al Seminario Residenziale SPP su lago di Garda nel 2008. Nelle mia profonda riconoscenza al Maestro Guido Medri ripropongo in questo Editoriale alcuni spunti della mia introduzione, che poi sono ripresi e approfonditi in tutti gli articoli che caratterizzano questo numero di Pratica Psicoterapeutica.
Tratto indistinguibile che ha caratterizzato Guido Medri, per chi l’ha conosciuto in maniera approfondita, è stata l’umiltà: ha insegnato sia a rimanere sempre allievi, in quanto non si finisce mai di imparare e di mettersi in discussione, sia a riconoscere che la propria identità di psicoanalista si costruisce continuamente nello scambio relazionale/professionale/affettivo anche con altri colleghi, a partire dai supervisori. Infatti Medri, rispetto ai supervisori frequentati, ha affermato di avere preso l’onestà intellettuale sia da Benedetti sia da Cremerius, verso i quali ha sviluppato negli anni formativi un vero affetto filiale; l’importanza di stare nel qui e ora con il paziente, e di stare con l’Io e per l’Io del paziente da Muraro; la capacità di cogliere i dettagli del materiale clinico da Ferradini; la capacità di andare all’essenziale ed eliminare il superfluo da Zapparoli.
A partire dall’intervento di Elia appare evidente che la storia scientifica della Scuola di psicoterapia psicoanalitica individuale dell’adulto di Milano SPP si sia creata a partire dalla continua dialettica tra Medri e i soci fondatori, da cui si sono strutturate e si sono integrate le Quattro Psicologie (psicologia freudiana, psicologia dell’Io, psicologia delle relazioni oggettuali, psicologia del Sé e intersoggettivismo) che costituiscono la base scientifica della SPP. Elia, però, sottolinea come lui e Medri sono stati sempre due clinici e il “loro incontrarsi e scontrarsi” è partito sempre dalla passione per l’arte psicoterapeutica ad orientamento psicoanalitico.
Conci ripropone il suo incontro con Guido Medri e altri supervisori eccellenti, come Cremerius e Benedetti, a tal punto da avere trovato in SPP una casa in cui poter sostare e formarsi, per poi partire verso altre mete, e oggi per ritornare. Ripresenta un concetto che Medri forniva ai suoi allievi – con un buon supervisore i pazienti arrivano –, e quindi, in sintonia anche con la mia introduzione, ripresenta ciò che Medri sosteneva nella supervisioni: la priorità è capire il paziente, sapere formulare una diagnosi che sarà solo definita alla fine del trattamento, conoscere i criteri di analizzabilità, trovare sempre “il punto di attacco” con il paziente.
Direi che i vari intrecci relazionali, scientifici, emotivi che Medri ha portato alla Scuola SPP hanno costituito il suo sviluppo, in primisl’intreccio tra il bisogno di teorizzare il processo psicoanalitico e il bisogno di teorizzare il processo formativo degli psicoterapeuti psicoanalitici.
Gli interventi di Govi e Resta presentano il percorso di approfondimento che Medri ha effettuato rispetto ad alcuni snodi teorici con importanti ripercussioni sulla tecnica della pratica psicoterapeutica, con conseguente cambiamento di alcuni paradigmi storici della Psicoanalisi. In primisla neutralità: l’analista non deve frustrare il paziente, ma sostenere il desiderio di transfert; allora il paziente si difende e l’analista mostra al paziente il suo atteggiamento difensivo, consentendogli di prenderne consapevolezza.
Nella Giornata Studio però viene anche messo in luce l’uomo Medri, in particolare il suo modo di essere padre dalla figlia Silvia Medri che, ad esempio, afferma: “aveva incorporato i 45 minuti della seduta […] anche quando nella vita di tutti i giorni dovevo parlargli di alcuni aspetti importanti si rimaneva sempre in quell’intervallo di tempo”, e in particolare il suo percorso di individuazione professionale tra neurologia, psichiatria, psicoanalisi, tra Italia e Svizzera, sempre però nell’intreccio relazionale con amici-colleghi, e il contributo di Landoni è centrato su questo aspetto.
Ma ritornando alla mia introduzione della Giornata, ho voluto sottolineare come Medri, che era attento e profondo con i suoi pazienti, lo fosse anche con gli allievi. Era preoccupato per loro, per il bombardamento teorico a tappeto che dovevano subire, era intento a preservare nel processo formativo creatività e libertà; intento a rappresentare il loro bisogno di essere rassicurati e riconosciuti, ad aiutarli ad elaborare l’intreccio tra confusione, idealizzazione, inquietudine, e assunzione di realtà e di criticità verso la formazione e verso la professione.
Ma non solo gli allievi devono essere grati a Medri per ciò che è riuscito a fondare e sviluppare in SPP; lo dobbiamo essere anche noi docenti: chiamandoci ad insegnare ha offerto a noi una posizione privilegiata. Accanto alla nostra attività clinica abbiamo il contenitore della formazione che ci permette un aggiornamento e confronto continuo, intenso e stimolante.
Il ruolo del confronto tra colleghi, per approfondire temi psicoanalitici, rimane esemplificativo negli interventi di Cabibbe, che riprende il tema del diniego caro a Medri, e di Kaufman, che relaziona sulle attese riparative nel transfert, cavallo di battaglia del Direttore storico della SPP. Medri, come cita Cabibbe, spesso affermava che il paziente preferisce tenere il suo diniego se ciò lo mantiene in compenso psicologico e non lo fa troppo soffrire; inoltre, elemento specifico della cura psicoanalitica, come riprende Kaufman, è che l’analista all’inizio della terapia, accettando di tenersi addosso il vecchio ruolo che il paziente vuole assolutamente attribuirgli, deve evolvere poi nel diventare il nuovo oggetto trasformativo, in modo da riparare l’antica esperienza traumatica.
Carnevali ripropone il suo intreccio personale con Guido Medri caratterizzato dall’onestà intellettuale ed emotiva di entrambi: prima descrive come ex paziente alcuni elementi della sua analisi che aveva fatto con lui, dopo descrive alcuni episodi che ha avuto con lui come collega dove presente e passato e ripetizione si ripresentificano perché la struttura psichica ne è costantemente caratterizzata.
Alla fine di questa ricca Giornata Studio, che vi ripresentiamo quasi interamente in questo numero di Pratica Psicoterapeutica, spicca un elemento forte di Guido Medri, caratteristica principe del suo modo di essere: l’autenticità. Su questa caratteristica, per cui rimaneva se stesso anche in contesti diversi, si impernia il suo essere pensatore, terapeuta, formatore, e uomo. Ne sono testimonianza gli interventi di Fiocchi, Giacobbi, e Mazzotta, docenti SPP, e di Elena Nascimbene con le sue riflessioni come ex paziente, che hanno continuato il dibattito con i relatori.
Visto il rapporto professionale intenso che ho avuto con Guido Medri, potrei dire molte cose rispetto a lui come uomo e analista, ma non è questo il contesto appropriato; però per concludere questo Editoriale voglio mettere in luce un aspetto che ci ha unito quando discutevamo su pazienti, su colleghi e su temi scientifici inerenti alla psicoanalisi: la capacità intuitiva. Entrambi consideravamo la psicoanalisi una scienza basata su un metodo intuitivo (e non deduttivo), entrambi consideravamo l’intuizione una profonda capacità preconscia che può permettere di percepire la verità di noi stessi e degli altri con cui si entra in rapporto.