EDITORIALE
di Simone Maschietto (Segretario di Redazione)
Nel momento storico-sociale di oggi si assiste alla tragicità del Covid-19 che obbliga il mondo (sia bambini, sia adulti) a confrontarsi con la vulnerabilità, la solitudine, la malattia e la morte. Come ha sostenuto Freud nel lutto ciò che è così difficile da affrontare è appunto la realtà della perdita, che però, se viene elaborata porta alla separatezza e differenziazione tra Sé e l’oggetto. Questa conquista evolutiva permette a livello mentale la formazione dei simboli, cioè l’acquisizione della capacità astrattiva (posizione depressiva).
Questo numero della Rivista è attraversato dal filo rosso del dolore depressivo, che sta avvolgendo la nostra società, confrontandola con il lavoro del lutto. L’infettivologo Angelo Pan, intervistato da Secondo Giacobbi, descrive in maniera dettagliata i costi (depressivi) che il Covid fa pagare all’umanità da diverse angolature: medica, socio-economica, psicologica.
Roberto Carnevali approfondisce in quest’epoca di pandemia le nuove forme di elaborazione della morte e riflette su come si può offrire ai bambini un accesso al lavoro psicologico del lutto senza perdere fiducia nella vita. Veronica Tresoldi affronta il tema della morte/perdita per i bambini attraverso una favola densa di significato; Michela Morgana la commenta, portando le proprie riflessioni (questi tre lavori compaiono in fondo alla rivista, prendendo le mosse dalla lettura della favola nella rubrica “Abbiamo letto...”).
Emanuele Visocchi giocando su un aforisma di Karen Blixen, “non dal volto si conosce l'uomo, ma dalla maschera”, propone il ruolo dello sguardo che in questo momento di pandemia, che ci obbliga all’uso della mascherina, diviene la forma di contatto più utilizzata. Però avverte che nel mondo delle psicoterapie on line, così tanto pubblicizzate, “...questo tipo di sguardo, quello mediato da uno schermo, mi sembra poter supplire temporaneamente quello di presenza; ma, se si protrae a lungo, rischia di diventare uno sguardo da basilisco o di Medusa, che pietrifica il lavoro terapeutico.”
Elisabetta Romanò sottolinea come il problema della temporalità è un aspetto importante del processo analitico, inserito esso stesso nel tempo lineare della storia, ma fedele a un tempo interno, circolare, caratterizzato da continui ritorni e passaggi all’indietro. Specifica che durante il percorso psicoterapeutico gli eventi vissuti vengono elaborati in una successione temporale e il tempo ricomincia a fluire, il paziente smette di vivere in un eterno tempo del trauma. E nell’epidemia-trauma anche all’umanità il tempo sembra immobile, e le persone si sognano irrigidite all’interno di una teca appesa al muro.
Ma la capacità creativa di simbolizzare, tipica della posizione depressiva – è nella mancanza naturale del seno che il bambino inizia a rappresentarlo – , diviene l’ossigeno per la mente umana nel tollerare ed elaborare la perdita.
Nei due casi clinici presentati diviene evidente come i terapeuti sono impegnati ad aiutare i loro pazienti, piccoli e grandi, a ritrovare la capacità simbolica/emotiva del loro pensiero per significare ciò che rimaneva nell’ignoto del loro inconscio.
Davide Rosso lotta con il suo paziente, che secondo il sottoscritto, si isola nel suo rifugio per non affrontare sia angosce primarie indicibili, sia il dolore depressivo della maturazione. Inoltre, il collega desidera significare la complessità del training formativo dove lo psicoterapeuta si deve confrontare con sé stesso attraverso la propria analisi, i pazienti e i supervisori.
Il sottoscritto nel commento al caso accenna il punto di vista di Johannes Cremerius (fondatore internazionale della Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica SPP Milano) sulla formazione degli analisti, che non devono rimanere imbrigliati nell’indottrinamento fondato su parametri standardizzati ma invece cercare sempre di comprendere il bisogno del paziente.
Simona Daneo nella psicoterapia di due bambini descrive la capacità negativa dell’analista nel sostare nell’incertezza, nell’impasse del lavoro analitico, per fare riaffiorare dal preconscio, attraverso il gioco-sogno, l’intuizione creativa per rimettere la coppia paziente-psicoterapeuta in stato vitale di elaborazione emotiva condivisa.
Secondo Giacobbi commenta questo articolo specificando bene che ricorrere da psicoterapeuta all’intuizione non deve essere confuso con l’idealizzazione dell’improvvisazione e dell’impulsività istintiva.
Pietro Stefanini, sollecitato dal commento di Giacobbi, desidera fornire il suo punto di vista teorico-clinico riproponendo e specificando la rigorosità del modello del campo analitico: - E certamente esercitare per lunghi periodi una capacità negativa è proprio il contrario di un agire nell’immediatezza istintiva -.
L’intuizione psicoanalitica, secondo il sottoscritto, in realtà richiede una “fisiologica digestione” di sensorialità primitiva e grezza che origina dall’interfaccia tra soma e reale che diviene trasformata in mappe cognitive (si procede dal procedurale corporeo alla massima astrazione).
Secondo Giacobbi intervista Ben Pastor, scrittrice inglese sull’esplosione del giallo e della letteratura investigativa. Una delle ipotesi presentate nell’articolo è come i lettori sublimino in queste letture i bisogni aggressivi e di violenza del soggetto umano.
Cari lettori osservo con piacere che la posizione depressiva, conseguente alla tragicità della pandemia, ha determinato per questo numero di dicembre una produzione di articoli molto creativa e articolata, segno di fiducia e vitalità: gli inconsci degli autori hanno “continuato a parlarsi”.
Buon Natale e un sentito augurio di un sereno anno nuovo.