I BAMBINI E IL LUTTO
di Veronica Tresoldi
La lucertola che perse la coda (Veronica Tresoldi, Psiche Libri, 2020) è un racconto illustrato nel quale una lucertola, dopo aver vissuto appieno la sofferenza data dall'essere stata privata di una parte importante di sé, ritorna pian piano a vivere, riscoprendo di poter assaporare nuove esperienze di piacere. Così come descritto nell'introduzione del racconto, questo testo aiuta il bambino a metabolizzare il fatto che “tutti noi, nella vita, ci troviamo a dover affrontare momenti difficili che ci gettano nello sconforto e ci portano a credere che nulla sarà più come prima. La perdita di una persona cara, l’allontanamento di coloro ai quali vogliamo bene o la rottura dei vecchi equilibri personali o famigliari determinano, dopo una prima fase di disorientamento, una forte sensazione di dolore e di angoscia che ci induce a focalizzare la nostra attenzione su “ciò che è stato e non potrà più essere”. In questa fase spesso ci si sente sprofondare in uno stato di totale desolazione, ma è proprio l'accogliere ed il rispettare questo dolore che consente all'angoscia di trasformarsi in un ricordo che ci permette di incominciare a ripensare al nostro futuro accettando di cogliere e di fare nostra l'eredità spirituale di chi ci ha lasciati. Grazie a questo complesso processo di rielaborazione la nostra vita torna ad avere un significato, la disperazione può trasformarsi in resilienza consentendoci di riorganizzare le nostre priorità e di godere appieno di ciò che davvero risulta essere importante. In tutto questo permane il ricordo di chi ci ha lasciati e di ciò che ci è stato donato, e appare evidente, nella connessione con il passato, lo slancio verso il futuro e verso la realizzazione di sé”.
La morte di una persona cara è da sempre considerata come l'evento dal più alto potenziale stressogeno e il lutto ad essa conseguente, che si manifesta attraverso un profondo dolore per la scomparsa di qualcosa o qualcuno al quale si era legati in modo particolare, costituisce una delle modalità psichiche con la quale l’individuo si trasforma dopo aver subito una perdita.
Dal momento che la morte è un evento universale, così come gli adulti anche i bambini, prima o poi, si trovano a dover fare i conti con questo aspetto della realtà, ed è bene che siano preparati ad affrontarlo grazie alla guida di un adulto che li aiuti, in primo luogo, a familiarizzare con l'evento che deve essere percepito come parte della vita stessa, in secondo luogo ad accoglierne le emozioni, e in terza battuta ad integrare il passato nel futuro, consentendo al bambino di mantenere il suo naturale slancio vitale.
Quando si vive una perdita è normale provare un fortissimo dolore e credere che la propria vita abbia completamente perso di senso; è altrettanto naturale cercare di distanziarsi da quanto accaduto, provando a concentrarsi su qualcosa di diverso che sia in grado di far sentire la persona sollevata sperimentando cose nuove, apprezzando nuovi piaceri e nuove esperienze. Nelle prime fasi di elaborazione del lutto le persone oscillano frequentemente tra questi due poli che si alternano più volte anche nel corso della stessa giornata. In seguito dolore e sollievo si intrecciano; la persona continua a provare una sensazione di angoscia, ma inizia a tollerare e a vivere con meno dolore la separazione, accettando di poter sperimentare contemporaneamente sensazioni molto differenti, quasi ambivalenti come, ad esempio, la sofferenza legata alla perdita mentre si organizza qualcosa di piacevole. Infine il ricordo del defunto cessa di procurare disperazione e inizia a suscitare nostalgia; la persona riconosce che colui che è venuto a mancare ha lasciato qualcosa di bello, una sorta di eredità spirituale da fare propria, ma anche una serie di ricordi poco piacevoli che vengono riconosciuti e integrati in una visione più ampia e veritiera dell'altro. Nel corso del processo di elaborazione del lutto si passa dal concentrare la propria attenzione e le proprie energie su “ciò che è stato e non potrà più essere” a rivolgerle a “ciò che avrebbe potuto essere, ma non sarà” fino ad arrivare a pensare a “ciò che potrà essere”. Da uno stato di profondo dolore si passa dunque alla memoria di un ricordo dopo essere stati a contatto con la disperazione e aver pienamente attraversato la nostalgia.
Ogni esperienza di perdita porta con sé una serie di emozioni dirompenti che il bambino deve essere messo nella condizione di poter esprimere, percependosi accolto e contenuto dall'adulto che deve essere in grado di riconoscerlo e accettarlo appieno anche nelle sue fatiche, senza chiedergli, almeno in un primo momento, di farsi forza e superare il momento di difficoltà. Il bambino necessita infatti di percepirsi innanzitutto compreso nel suo dolore e di beneficiare di un adulto che abbia il coraggio di rimanere a contatto con le sue emozioni, prima di fornirgli rassicurazioni o strategie di risoluzione del problema che, altrimenti, non riuscirebbe nemmeno a cogliere e comprendere o vivrebbe come inappropriate ed intrusive. Tutto questo, per l'adulto, può non essere facile; sarebbe più semplice cercare di sedare l'emozione del bambino fornendogli subito rassicurazioni o soluzioni concrete, ma è estremamente importante non accelerare i tempi e permettere al bambino di “far sentire” quanto è triste o quanto è arrabbiato, affiancandolo nel contatto con tutte le sue esperienze emotive. “Una mamma come il vento”, uno tra i tanti libri consigliati nel testo “La lucertola che perse la coda: manuale d'uso”, racconta di quanto sia difficile trovare le parole per consolare chi soffre, e ricorda quanto sia importante riuscire a far sentire all'altro la nostra presenza silenziosa, senza pretendere di consolare, ma semplicemente dimostrando “di esserci”.
Garantita questa presenza è importante che il bambino possa narrare quanto accaduto focalizzando il racconto, in un primo momento, sui fatti obiettivi e, in seguito, sulle sensazioni corporee e i pensieri, per concentrarsi infine sulle proprie emozioni. La narrazione può avvenire attraverso il canale verbale, ma non necessariamente; il bambino può essere stimolato a utilizzare altre forme di comunicazione espressiva quali l'arte, il disegno o la pittura, la musica, il canto e il ballo, piuttosto che le attività di natura corporea o motoria. Il bambino deve essere aiutato a rielaborare quanto accaduto integrando il dolore, dato dal vissuto di malattia o di morte, con la gratitudine data dall'aver condiviso una parte di vita con la persona che lo ha lasciato consapevole del fatto che, così come ci insegna “Coco”, i defunti possono continuare a “vivere” nell'aldilà fino a quando, nel mondo dei vivi, verranno ricordati, e coloro che rimangono possono continuare a lasciarsi coinvolgere dalla vita conservando, nei loro cuori, ciò che la persona ha loro insegnato e il ricordo delle esperienze vissute insieme.
Per la psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross questo tipo di consapevolezza rappresenta il risultato ottimale e atteso nell'articolato processo di elaborazione del lutto al termine del quale, con la fase “di accettazione e di riadattamento”, il bambino ricorda la persona defunta e le esperienze vissute insieme. Spesso cerca di sentirla vicina mediante l'invenzione e la successiva attuazione di alcuni rituali (come l'andare al cimitero, il cogliere dei fiori...) e incomincia a credere che, nonostante la persona amata non ci sia più e non potrà mai più ritornare, sia possibile riadattarsi all'ambiente accettando ciò che è cambiato e consentendosi di riorganizzare la sua vita investendo su nuove persone e nuove esperienze, accettando di poter provare ancora sentimenti di gioia e di soddisfazione pur continuando a mantenere una connessione con il defunto.
Prima di raggiungere questo tipo di consapevolezza il bambino deve attraversare una serie di fasi successive. La prima reazione alla morte di una persona cara può essere definita “di negazione”; il bambino fatica a credere a quanto accaduto, cerca di provare a se stesso che il decesso non è avvenuto e in alcune occasioni si comporta come se sentisse e sperasse che il defunto possa ritornare. Se dovessimo individuare una frase che riassuma lo stato d'animo del bambino in questo momento questa potrebbe essere “Non è possibile, non posso aver perso una cosa così importante per me, ci deve essere stato un errore, forse è solo un brutto sogno dal quale mi sveglierò presto...”.
Una volta che la negazione e lo shock iniziano a svanire e il bambino torna alla sua vita reale, le sensazioni che erano state messe a tacere iniziano a venire a galla; spesso emerge una fortissima rabbia che può essere direzionata verso bersagli differenti come le persone care o i medici, ma anche Dio piuttosto che se stessi. In questa fase l'interrogativo principale è “Perchè proprio a me”, e la successiva considerazione è che “La vita è ingiusta”. La rabbia, che in questi frangenti risulta essere molto forte, rappresenta una fase necessaria al processo di elaborazione del lutto e, proprio per questo, deve essere percepita, riconosciuta ed espressa poiché solo se condivisa potrà, pian piano, dissiparsi. La rabbia, inoltre, in una situazione nella quale sembra che la vita sia andata in frantumi, rappresenta spesso l'unico elemento di ancoraggio alla realtà e un passo in avanti verso la naturale elaborazione della perdita.
In seguito, nella fase che viene definita “di patteggiamento”, il bambino incomincia a riconoscere la mancanza e a realizzare quanto è accaduto, anche se continuano a permanere alcune “false speranze”. Esse lo inducono a credere che la separazione definitiva possa essere evitata attraverso una sorta di contrattazione che lo porta a desiderare di riportare la propria vita a com'era prima dell'evento traumatico, compiendo rinunce o cambiamenti importanti nella propria routine. In questa fase, infatti, emerge spesso un forte senso di colpa che induce la persona a credere che se si fosse comportata differentemente avrebbe potuto scongiurare la perdita (“Se non lo avessi fatto arrabbiare non si sarebbe agitato e non sarebbe morto” piuttosto che “Se non fossimo usciti tardi per colpa mia la macchina non lo avrebbe investito”) e a modificare alcune delle proprie abitudini con la speranza di “poter tornare indietro” e “riparare le proprie [presunte] colpe”.
La fase successiva viene definita “ del dolore e della depressione”. Essa induce il bambino a sperimentare una sensazione di vuoto che lo può portare a ritirarsi dalla vita, talvolta a non gradire la presenza degli altri, poiché in questi frangenti spesso non si ha alcuna voglia di parlare e di condividere i propri sentimenti di disperazione. Il bambino deve essere messo nella condizione di poter esprimere il proprio dolore, anche se non deve essere forzato a farlo; può piangere, ed è giusto e importante che lo faccia senza sentirsi per questo infantile o poco coraggioso, può disperarsi, e deve essere riconosciuto, accolto e accettato nella sua sofferenza senza che si percepisca troppo stimolato a lasciarla alle spalle, ma senta di poterla condividere con un adulto di riferimento capace di rimanere in contatto con i suoi vissuti di angoscia senza lasciarsi da questi sopraffare.
È solo grazie alla presenza di un adulto emotivamente competente, al termine di questo processo che difficilmente segue un andamento lineare e perfettamente prevedibile, che il bambino accetta di riassaporare la vita, investendo sulla propria persona e sul proprio futuro.