NUOVE FORME DI ELABORAZIONE DEL LUTTO
di Roberto Carnevali
L’esperienza della morte, e del lutto che ne consegue, ha assunto, in quest’epoca di pandemia, un significato che ha preso nuove forme, e probabilmente alcune trasformazioni nel modo di percepire la realtà ci accompagneranno per molto tempo, forse per sempre.
Se noi adulti, e soprattutto noi anziani, che abbiamo vissuto lutti ripetuti e in epoche diverse, possiamo confrontare nei vari momenti storici e sociali cosa il lutto ha rappresentato nella nostra vita (e quelli più anziani di me, che sono nato nei primi anni ’50, hanno anche il periodo della seconda guerra mondiale come riferimento per i vissuti connessi al lutto), chi si affaccia oggi al mondo, o ci si è affacciato da pochi anni, vive una realtà particolare come quella attuale come “la” realtà, e il modo in cui avvengono oggi le morti degli anziani, e tutte le procedure che li accompagnano nella loro dipartita, tracciano nei bambini un percorso di vissuti che noi adulti e anziani “sopravvissuti” non avremmo mai immaginato potesse essere inscritto nella loro quotidianità.
Se in un passato anche recente aiutare un bambino a entrare in contatto con la morte di un anziano a lui caro poteva comportare l’elaborazione di una strategia comunicativa tesa a non recare troppo dolore e al tempo stesso consentire la conoscenza della verità, la frequenza e la dimestichezza che la pandemia ha portato nei confronti della morte ci obbliga a rivedere certi parametri di riferimento, e a interrogarci su come possiamo offrire ai nostri bambini un accesso all’esperienza della morte, e del lutto che ne consegue, che permetta loro di fare esperienza degli eventi che la vita comporta senza perdere la fiducia di poterla affrontare senza esserne sopraffatti.
In questo momento storico così particolare, i bambini si trovano a vivere esperienze di morte alle quali non sono preparati, come è giusto che sia per i bambini in ogni epoca storica, avendo peraltro un mondo degli adulti altrettanto impreparato, perché eventi storici inusuali, imprevisti e imprevedibili, hanno trascinato l’umanità in una dimensione anomala, nella quale tutti quanti, con fatica, cercano di raccapezzarsi. La proverbiale saggezza degli anziani ha ceduto il passo alla loro fragilità, e gli anziani, anziché fungere da riferimento per la generazione successiva, che deve affrontare operativamente ciò che questa saggezza in altre epoche avrebbe saputo guidare, sono diventati la parte fragile che va protetta, essendo la più esposta alla possibilità di essere colpita dalla malattia e dalla morte, non avendo, come in altre epoche accadeva, un’esperienza di riferimento alla quale appellarsi.
In questo clima così confuso e carico di tensioni, dove le certezze sono scomparse, e anche la Scienza cerca di porsi domande senza pretendere di avere risposte esaustive, in una visione “approssimativa” in senso etimologico, che cerca cioè di approssimarsi a una verità che si traduca in rimedi efficaci contro la malattia e la morte; in questo clima, dicevo, è importante che gli adulti sappiano fermarsi a riflettere e cerchino di offrire, in modo particolare a chi è nato o sta per nascere in quest’ultimo decennio, un’opportunità per guardare al futuro scongiurando e sapendo affrontare, senza esorcizzarla, l’esperienza di morte e del lutto che ne consegue.
Veronica Tresoldi affronta il tema con una favola densa di significato di cui Michela Morgana ci parla diffusamente nella rubrica Abbiamo letto..., portando le proprie riflessioni sull’argomento, e in questo numero della rivista abbiamo voluto aprire uno spazio dedicato che ci auguriamo possa arricchirsi di ulteriori contributi.