Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 22
1 - 2020 mese di Giugno
IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
COVID-19
di Giorgio Meneguz

I miei pazienti esprimono reazioni realistiche all’emergenza coronavirus. Le ansie sono adeguate alla situazione. Noto che gli aspetti salienti della loro nevrosi sono passati in secondo piano, in alcuni le fobie e le ipocondrie sono scomparse. In due pazienti ho trovato spunti nevrotici nella simpatia verso fantasie complottiste e provocazioni polemiche degli esponenti dell’opposizione al governo del nostro paese, mai proporzionate ai dati di fatto. L’amico Antonello Armando mi ha scritto ricordando Svevo, «che asserì di essere stato curato dallo scoppio della Grande guerra. Le catastrofi curano, anche se c’è da capire perché, che cosa fanno vedere di quanto non visto o dimenticato».

Con i pazienti sono ancorato a un, quanto mai opportuno, fermo richiamo alla realtà. Premetto che non mi trovo bene con la tecnica c hsi basa sulla realtà dei racconti del paziente, biografici e relazionali. Preferisco distinguere la realtà storica da quella psichica e “insegnare” ai miei pazienti un metodo per conoscersi cercando di evitare insight (per esempio con interpretazioni di transfert precoci) che impediscano loro di interrogarsi e di pensare. Di norma mi sembra più utile al paziente considerare la realtà delle sue fantasie, con interventi sempre vicini alla superficie del materiale, anche in base alle informazioni transferali nell’espressione dei desideri e dei conflitti nel rapporto con me. Tuttavia, oggi, rispetto a ciò che concerne la situazione di emergenza, il mio lavoro non è incentrato sulle fantasie e sulle ansie nevrotiche. Si limita invece a un semplice richiamo alla nuda e inquietante realtà attuale, alla nostra fragilità e all’ovvia imperfezione di chi ci guida. Affrontare la realtà è anche un modo per lavorare sulle difese nevrotiche per smascherarle al fine di favorire l’adeguamento dei comportamenti difensivi/protettivi a quelli consigliati dagli esperti ufficiali. 

Il 9 marzo ho ricevuto da Cosimo Schinaia una breve e interessante riflessione sulla psicoanalisi all’epoca del coronavirus. Il testo è stato pubblicato prima in inglese sul sito IPA e, in seguito, in italiano sul sito SPI (in forma modificata è uscito su Il Secolo XIXdel 19 marzo 2020, p. 12). Schinaia elenca alcune difese in gioco nelle reazioni dei cittadini, di panico o indifferenza, catastrofismo e scetticismo, di fronte alla drammatica situazione attuale: «la scissione, l'intellettualizzazione, la rimozione, il dislocamento, la repressione, il diniego, la banalizzazione». Tra le risposte di gratitudine, riporto in breve il commento di Luca Mercalli: «L’analisi è molto utile per orientarci, con affinità alle riflessioni che hai già fatto sul problema ecologico. Se non si riesce a ottenere un comportamento compatto e rispettoso delle regole nemmeno con questa percepibilissima emergenza, figuriamoci le azioni a più lungo termine che servono a clima e ambiente!»

Schinaia ci ricorda che in un altro momento storico, alle prese con un pericolo differente, Freud aveva scritto così: «Presi nel vortice di questo tempo di guerra, privi di informazioni obiettive, senza la possibilità di considerare con distacco i grandi mutamenti che si sono compiuti o che si stanno compiendo, o di prevedere l’avvenire che si sta maturando, noi stessi non riusciamo a renderci conto del vero significato delle impressioni che urgono su di noi, e del valore dei giudizi che siamo indotti a pronunciare. Ci sembra che mai un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato. Anche la scienza ha perduto la sua imparzialità; […] Può darsi però che avvertiamo con intensità sproporzionata le sciagure di questo nostro tempo, e che non sia giusto confrontarle  con le sciagure di altri tempi che non abbiamo conosciuto» (1915a, p. 123). Pensieri che, davvero «sembrano calzare a pennello con i nostri vissuti all’epoca del coronavirus, fatti di perplessità, di confusione, di difficoltà ad esprimere giudizi fortemente assertivi» (Schinaia, cit.). Pur nella perplessità e nella confusione, la stragrande maggioranza di cittadini ha riscoperto il piacere di attenersi alle regole, al rispetto reciproco e alla cooperazione per la comunità. In un’intervista a La Repubblicadel 21 marzo 2020 Gustavo Zabrebelsky disse: «Non c’è bisogno di chissà quale perspicacia per capire la differenza dal coprifuoco a Santiago del Cile imposto da Pinochet e le limitazioni alla circolazione per motivi di salute pubblica. Nei regimi antidemocratici si trattava di una misura poliziesca subita come un violento sopruso; qui invece, già a prima vista, è un’altra cosa. Addirittura sarebbe superfluo se ciascuno di noi spontaneamente, liberamente, si rendesse conto di una necessità a favore della nostra salute».

In generale, all’interno della reazione realistica e del senso civico, nei cittadini si può notare anche la tendenza a regredire verso una posizione di dipendenza infantile verso figure genitoriali salvifiche. Nei secoli passati le paure per i pericoli reali, come le calamità naturali, e per i paricoli immaginari, come i mostri della fantasia popolare, furono sfruttate dalla Chiesa per indurre le masse all’obbedienza e alla rassegnazione. Quando ci troviamo di fronte a un pericolo invisibile (un conflitto interno suscitato da una fantasia inconscia; un’epidemia o anche solo una malattia fisica idiopatica) siamo portati a regredire. Scivoliamo verso rassicurazioni antiche come l’oralità, la passività dello spettatore, le più arcaiche difese contro la perdita dell’identità, ma anche verso mondi fantastici in cui l’immaginazione è al servizio del controllo illusorio, e quando anche questa difesa secondaria fallisce emergono ansia, angoscia, panico. Non tutti abbiamo la qualità bioniana della “capacità negativa” (di «perseverare nelle incertezze attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a un’agitata ricerca di fatti e ragioni» − Bion, 1970, pagina 169), per questo la fede aiuta. C’è oggi, durante la pandemia, chi invoca l’aiuto divino; chi cerca la verità nei numeri ritualmente sciorinati dagli esperti; chi cerca la verità in fantasie paranoidi. Il papa e i suoi seguaci invocano l’aiuto divino. Alcuni si soffermano sul potere magico dei numeri dei contagiati dei morti e dei guariti, altri mettono in dubbio il conteggio e assieme ad esso l’autorità del governo. Si propagano sui social le fantasie complottiste. Le quali, peraltro non mancano di fascino clinico, per la loro ingenuità infantile, per la valenza onirica e per il nucleo psicotico che vi sta alla base. Sono moltissime, possiamo vederne alcune.

 

1)  Gli Stati uniti di Trump hanno portato il virus in Cina per fermare la straordinaria avanzata economica del paese.

2)  Gli Stati uniti hanno portato in Italia numerosi carri armati per evitare che il nostro governo concluda il patto con la Cina sulla cosiddetta “via della seta”;

3)  hanno diffuso il virus per colpire l’Iran;

4)  hanno circondato l’Italia con un numerosissimo contingente militare per proteggerla dalla Russia.

5)  I servizi segreti russi stanno preparando un colpo di stato nel nostro paese.

6)  Bill Gates ha comprato il virus, nato come arma batteriologica, e il vaccino; ha diffuso il virus per vendere il vaccino e guadagnare miliardi di dollari. E molte altre ancora.

 

Esempi più vividi di diniego e scissione/proiezione si evidenziano nelle posizioni di alcuni governi. Meritano però una riflessione le reazioni di due autorità, come il primo ministro del Regno Unito e il presidente della repubblica francese. Rispolverando eugenetica e maltusianismo Boris Johnson (e in altro modo Donald Trump) ha esposto una linea che era in sostanza una dichiarazione di guerra ai deboli, coerente con il pensiero di Margaret Thatcher (la società non esiste, solo il libero mercato). Il 17 marzo alle 20 Emmanuel Macron, che non aveva rinunciato alle elezioni municipali, dichiarò: «Tutti a casa, siamo in guerra». E certo, le calamità e le guerre uniscono un popolo (ma non le dittature, le guerriglie o il terrorismo: eventi che provocano processi scissionali all’interno della comunità). Dei rigurgiti nazisti evidenti nelle dichiarazioni del primo ministro della democrazia britannica è sufficiente prendere nota. Siamo soliti dire che il virus è l’attuale nemico invisibile. Pur dubitando che la metafora bellica sia la più indicata, gioverebbe, quando sarà il momento, riflettere sulle motivazioni della natura, se è vero che essa con un suo elemento velenoso (vīrus=veleno) ci ha dichiarato guerra. Da questa prospettiva, le catastrofi e le epidemie sarebbero una vendetta della natura contro gli effetti disastrosi del delirio di onnipotenza economico e religioso che ha portato gli esseri umani a illudersi di poter dominare e sfruttare all’infinito le limitate risorse del pianeta e il mondo degli animali considerati inferiori. Non è forse scontato che dalle ferite che il vorace capitalismo e l’avidità umana provocano all’ambiente − dalle distruzioni di interi ecosistemi, dall’urbanizzazione folle che congestiona le metropoli circondate da periferie fuori controllo, dall’intricatissima rete di rotte commerciali con mezzi di trasporto straordinariamente veloci, da tutto quel mondo fatto anche di guerre e migrazioni, dal commercio di animali vivi, che in alcuni paesi, è commercio illegale di fauna selvatica, dagli allevamenti intensivi che sono veri e propri campi di sterminio per animali − prima o poi ne venga fuori qualcosa di tremendo? Non è un caso, infatti, che il report annuale del Global Preparedness Monitoring Board di settembre 2019, in cui gli esperti prevedevano la minaccia di una pandemia globale catastrofica a causa di un virus respiratorio che avrebbe potuto uccidere milioni di persone cancellando almeno il 5% dell'economia mondiale,indicava significativamente che siccome il mondo non sarebbe preparato ad affrontarla a causa del definanziamento dei servizi sanitari nazionali e delle strutture di protezione civile, e della concezione ospedalocentrica della sanità, la pandemia prevista potrebbe creare caos, instabilità economica e insicurezza nella popolazione.

Il ruolo delle epidemie nella storia degli uomini non va sottovalutato. Nella conquista del Nuovo Mondo, Cortés sconfisse gli aztechi e Pizarro gli inca grazie anche alla diffusione del vaiolo. Le coperte con cui erano stati avvolti gli ammalati di vaiolo che i bianchi americani regalavano ai pellerossa rappresentarono un espediente per la vittoria, forse più micidiale delle armi da fuoco. D’altro canto, malaria, febbre gialla e altre malattie tropicali ostacolarono la conquista delle aree dell’Africa sub sahariana, dell’India, del Sudest asiatico e della Nuova Guinea (Diamond J., Armi acciaio e malattie, 1997). Le mutazioni di virus che colpivano gli animali sono un bell’esempio di selezione naturale e di adattamento dei germi a nuovi ospiti e vettori, e hanno svolto un ruolo di primo piano nelle vicende politiche: in ultima analisi hanno promosso riforme sociali (come la fine della schiavitù in Haiti favorita dall’epidemia di febbre gialla) oppure virate autoritarie (vedi le attuale reazioni alla pandemia da parte di Viktor Orbán in Ungheria, di Benjamin Netanyahu in Israele e di Janez Janša in Slovenia). 

Con i miei pazienti mi chiedo se sarà vero, dopo la pandemia, che “tutto il male viene per nuocere”; se la socialità, lo spirito comunitario e il rispetto civile miglioreranno, oppure si esacerberanno i nazionalismi, l’onnipotenza del libero mercato e della speculazione finanziaria, gli egoismi e l’individualismo. Se ognuno farà tesoro del valore delle piccole cose, della lentezza, della riflessione, dell’intimità, dei limiti, delle persone imperfette e dei rapporti carenti, oppure no. Ma sono riflessioni retoriche. Perché non è da oggi che gli esperti segnalano la necessità di ripensare il modello di sviluppo. Si può ben dubitare, però, che dalla storia delle catastrofi climatiche e delle epidemie di questi ultimi anni impareremo che la ricostruzione deve prevedere il cambiamento di questa struttura economica, in cui si violenta l’ambiente in nome del profitto economico. Di fatto, però, la natura continuerà ad esistere anche quando la nostra specie si sarà autodistrutta, perché la specie umana non è che una minuzia fortuita nell’evoluzione dell’universo.

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