Da una decina d’anni a questa parte è comparsa sempre più frequentemente nella letteratura della psicologia clinica la nuova espressione “giovane adulto” o giovanadulto”. Tale espressione si riferisce ad una nuova figura sociologica e psicosociale,che ha acquisito negli anni una sua caratterizzazione specifica, che la distingue sia dall’adolescente sia dal “vero e proprio” adulto. Sociologi e psicologi si sono sostanzialmente accordati nello stabilire requisiti standard del cosiddetto giovaneadulto decidendo di considerare tale chi abbia concluso la scuola Media Superiore e/o abbia una età compresa tra i 20 e i 30 anni (ma alcuni autori ritengono che il limite anagrafico andrebbe spinto sino ai 35 anni) e la cui condizione di vita si caratterizzi per i seguenti requisiti: 1) vive ancora con i genitori 2) non ha un lavoro stabile o un percorso regolare o concluso di studio.
La psicologia clinica si è occupata e si occupa del paziente giovanadulto cercando anche di delineare un dispositivo terapeutico ed un approccio teorico-metodologico che tengano conto della specificità del paziente. Così come è già da tempo accaduto con la terapia dell’adolescente, molti clinici, anche di orientamento psicoanalitico, hanno ritenuto pertinente e fecondo arricchire e ampliare il proprio approccio ricorrendo a modelli proposti dalla psicologia evolutiva. Si tratta di un approccio, questo, che ritiene che lo sviluppo del soggetto umano passi attraverso tappe evolutive, ciascuna delle quali lo pone di fronte ad uno specifico “compito evolutivo”, la risoluzione (o non risoluzione) del quale consentirà, o meno, di procedere oltre nel suo sviluppo di soggetto e persona.
Ho individuato, con largo consenso di clinici, questi 4 compiti evolutivi:
1) Mentalizzazione della sessualità genitale. Essa si caratterizza per il passaggio dell’obbiettivo amoroso tipico della adolescenza, che prevede e comanda il rispecchiamento narcisistico, all’obbiettivo adulto dell’amore genitale, che riconosce la diversità dell’Altro, come condizione di completamento e di fecondità (biologica, affettiva, mentale)
2) Separazione dai genitori reali(e abbandono della casa paterna) che presuppone la separazione dai genitori infantili interni.
3) “Soggettazione”, cioè a dire compimento del compito evolutivo adolescenziale della “individuazione” attraverso la acquisizione della capacità di sentirsi soggetto e responsabile delle proprie azioni e scelte.
4) Generatività sociale(che implica, in particolare, il compimento del percorso di studi e l’avviamento di un conseguente e soddisfacente processo di professionalizzazione.
La pratica clinica di questi ultimi 10 anni mi ha messo in contatto con un sempre crescente numero di giovani adulti bisognosi di aiuto e in condizioni di malessere anche grave. In particolare, assieme ad altri clinici con cui mi confronto costantemente, ho assistito alla crescita esponenziale e con caratteri quasi epidemici, di un’area particolare di disagio psicosociale e di sofferenza psichica. Si tratta di giovani-adulti che sostano senza fine in una condizione di blocco psico-sociale, che sembra precludere l’accesso all’adultità. Sono giovani quasi interamente maschi (io e i colleghi concordiamo su 8/10), che vivono con i genitori, nei casi più gravi né studiano né lavorano; nei casi più frequenti trascinano gli studi universitari, talora senza più dare esami da anni, magari accompagnandoli con brevi o limitate attività lavorative; oppure lavorano, ma in una situazione di estrema precarietà. Sono giovani profondamente incerti sul loro futuro, ma non solo e non tanto perché condannati ad una precarietà sociale che li accomuna a tanti loro coetanei, quanto perché privi di progetti possibili, non in grado di sapere cosa potrebbero voler fare “da grandi”; oppure persi nella ideazione contemplativa di progetti impossibili o di cui non sono in grado di ipotizzare sequenze realizzative concrete e realistiche.
Attenzione, sgombriamo il campo da un possibile equivoco. La condizione crepuscolare di questi giovani non è certo addebitabile moralisticamente solo ad una loro incapacità o psicopatologia (benché, in molti casi, forme varie di psicopatologia siano in loro riscontrabili). Il contesto socio-economico, proprio dell’attuale fase storica, si caratterizza per una pesante precarizzazione del lavoro e per nuove forme, anche solo in un recente passato inimmaginabili, di sfruttamento, in particolare del lavoro giovanile. E tuttavia sarebbe, a sua volta, sociologistico e ideologico negare che in un contesto sociale pur così sfavorevole una frangia consistente, e crescente, di giovavi adulti si trova in una condizione di marginalizzazione sociale e psicologica che è anche riconducibile a cause individuali (ma anche famigliari, come vedremo) di natura psico-culturale e psicopatologica.
In un’ottica psicoevolutiva, che rappresenta un approccio assai utile nel trattamento di adolescenti e giovani-adulti, potremmo dire che tutti questi ragazzi presentano, specificamente, un blocco rispetto l compito evolutivo della cosiddetta “generatività sociale”.
Ma da cosa deriva la loro sterilità “generativa”? Il fatto che siano soprattutto maschi ci fa pensare che, al di là delle declinazioni delle strutture psicologiche e di psicopatologia, anche assi diverse, nei vari casi, ci sia di mezzo un fallimento o un impedimento nella piena maturazione sessuale genitale, che reclama sia un’identità maschile sufficientemente solida sia un atteggiamento mentale e affettivo di scambio generativo con l’Altro e con il mondo. Ma ciò presupporrebbe il superamento dell’adolescenziale organizzazione narcisistica della mente votata alla ricerca del rispecchiamento speculare e aliena dell’incontro-scontro con l’Altro diverso da Sé.
Presento solo descrittivamente alcuni casi, in cui l’analisi della situazione clinica risulta peraltro necessariamente compromessa e alterata dal travestimento imposto dall’obbligo di riservatezza e privacy.
I casi prescelti hanno comunque caratteristiche che li assimilano a tanti altri pazienti giovanadulti della popolazione clinica presa in considerazione.
Lucaè un ragazzo ormai trentenne che viene incoraggiato da genitori e conoscenti a venire da me per cercare un aiuto. Quando lo incontrai, 5 anni fa, si trovava in una situazione di ristagno negli studi universitari. Frequentava una facoltà umanistica, da lui scelta per un interesse culturale apparentemente molto convinto e partecipe nei confronti della facoltà prescelta. Da 3 anni aveva cominciato a rallentare nel suo corso di studi, sostenendo gli esami di facoltà a ritmo sempre più lento. Luca non manifestava sintomi né segnali di particolare sofferenza. Ad essere preoccupati erano soprattutto i suoi genitori, che lo vedevano sempre più svagato e disorientato di fronte al suo futuro. Per la verità Luca, ragazzo ben educato, intelligente, piacevolmente ironico, non sembrava preoccuparsi più che tanto, tutto intento a bearsi in fantasie in cui si immaginava professionalmente impegnato in vari ambiti della vita intellettuale e artistica. Tali fantasie non riuscivano a trasformarsi in progetti realistici e d’altronde gli stessi ipotetici e possibili progetti non esitavano in iniziative realizzative, concrete e adeguate da parte del sognatore.
Uno sviluppo drammatico si sviluppò quando Luca confessò, dopo oltre 1 anno di terapia al terapeuta che in realtà da due anni non sosteneva esami, all’insaputa dei genitori. Consapevole dei gravissimi rischi che una tale situazione comportava, imposi al paziente di informarne i genitori, pena l’interruzione unilaterale da parte mia della psicoterapia. L’incontro con i genitori, sollecitato da Luca, si rivelò penoso. I genitori erano di cultura elevata, con professioni nell’ambito culturale; una coppia genitoriale democratica e progressista, visibilmente subalterna ad una cultura del Politicamente Corretto,che escludeva qualsiasi forma di autorità e costrizione genitoriale. Ad un mia domanda in merito risposero che non avevano mai voluto controllare la carriera scolastica del figlio perché il fatto avrebbe avuto un carattere poliziesco e avrebbe implicato una “mancanza di fiducia”!
Giovanni viene da me a 27 anni, dopo che da diversi anni ha smesso di sostenere esami all’Università. E’ un ragazzo che affida ormai l’immagine di un Sé realizzato ed originale alle sue straordinarie doti di bricolage, di intervento ripartivo sugli oggetti, di piccole e curiose invenzioni tecniche. Viaggiatore solitario, è anche capace di organizzare viaggi alternativi per gruppi di amici che rappresentano per lui una platea ammirata e divertita. Capace di una socialità vivace, nella quale però si esprime coperto e protetto dalla maschera della originalità, nasconde dentro di sé una profonda insicurezza e disistima per la propria persona, di cui comincia a sospettare l’inautenticità e l’incompetenza di fronte alla vita ed ai suoi grandi appuntamenti, da lui rinviati od elusi, come traspare soprattutto nel rapporto con le ragazze e con la vita amorosa a cui guarda come ad una dimensione a lui preclusa. I genitori, colti e affettuosi, sono in attesa che la sua vita si sblocchi. Ormai cronicamente depresso, Giovanni avvierà una psicoterapia che gli consentirà un difficile incontro con gli aspetti più segreti e dolorosi del suo Sé e della sua storia.
Robertoarriva in psicoterapia alla soglia dei 30 anni. Ha un lavoro precario che non lo soddisfa e che, soprattutto, umilia la sua creatività e le sue ambizioni letterarie. Da sempre scrive, o meglio, scrive abbozzi di racconti possibili, che poi integra e immagina di completare nella fantasia. Ipotizza di riprendere gli studi universitari (abbandonati subito al 1° anno) magari orientandosi verso un facoltà più rispondente alle sue inclinazioni. Peraltro esita, perennemente incerto. I genitori lo aiutano (è fuori casa, ma fa molto riferimento ad essi). Roberto fa uso occasionale di droghe, quanto basta per alimentare una condizione esistenziale un po’ trasognata, senza cadere nel baratro della tossicodipendenza conclamata. I genitori hanno fatto in gioventù uso di droghe ed hanno trasmesso a Roberto un visione della vita incentrata sui valori della spontaneità, della liberalizzazione dei bisogni e dei diritti, della difesa e della accoglienza dei più deboli e bisognosi. La contrapposizione polemica di Roberto nei confronti di un cultura “borghese” che premi il carrierismo, il successo e il denaro, ne caratterizza l’approccio ideologico, al di sotto del quale però fa capolino il desiderio di essere ben altro da ciò che apparentemente vuole essere. Il padre è stato personalmente sopraffatto da un approccio ideologico analogo, che ha contribuito ad allontanarlo da prospettive di vita attiva. La madre, forte e dominante, ha un discreto lavoro ed è a sua volta orientata ad un’ attività di volontariato.
Italo arriva da me a 28 anni, ha smesso di dare esami all’Università ormai da anni; lavoricchia quanto basta per salvare al minimo l’immagine di sé. E’ totalmente assorbito nell’uso prevalentemente evasivo del computer, un po’ come tutti i ragazzi socialmente bloccati o no, più di tutti, tanto da aver quasi invertito il ritmo notte/giorno. I genitori assistono, disperati e impotenti, all’agonia del figlio. Alternano momenti rabbiosi ad una quasi rassegnata accettazione nell’attesa che un miracolo risolva la situazione. Italo ha peraltro scelto una facoltà conforme ai suoi interessi, ma la sua indolente inattività viene nutrita da dubbi sul suo futuro professionale, che lo atterrisce e lo immobilizza in un eterno presente. E’ un ragazzo intelligente, come gli altri di questo gruppo clinico, molto piacevole, intristito da una situazione che lo rende depresso e vergognoso di sé. I suoi genitori si sforzano di negoziare con lui termini di accordo da cui possa nascere un cambiamento, che sembra talora avviarsi per poi precipitare nell’ennesima delusione.
Riccardo, 26 anni, prossimo alla tesi triennale, in ritardo con gli esami, ma non del tutto fermo. Ragazzo colto, raffinato, tormentato, alla ricerca di un identità incerta, con una identità maschile fragile, pieno di dubbi, in attesa di un vocazione nella quale possa realizzare le sue ambizioni intellettuali. Tali ambizioni sono astratte e irrealistiche, come spesso in questi giovani di piccola e medi borghesia, anche se dissimulate ai suoi stessi occhi, dalla falsa modestia e d un forte senso autocritico. I suoi genitori sono professionisti, molto religiosi, molto impegnati nel sociale. Il padre, uomo schivo e un po’ debole; la madre attivissima e dominante.
Cosa accomuna questi casi, al di là delle diverse declinazioni individuali?
Se ci poniamo nella prospettiva teorica del modello tripartito, potremmo dire che il SuperIo in questi giovani adulti si caratterizza per aspetti di intransigente pretesa realizzativa. E’ un SuperIo in una relazione di conflitto non integrato con l’Io del soggetto e quindi incapace di fornire a questo spunti e strumenti adeguati per sviluppare efficaci capacità adattive e realizzative. Una simile istanza superegoica è interamente al servizio di un “Io ideale”, come direbbero gli psicoanalisti francesi, che reclama grandiosità e onnipotenza e quindi è incapace di costruire Ideali dell’Io realistici e funzionali all’Io.
Schiacciata dalle strutture superegoiche ed ego-ideali, l’istanza egoica, resa debole da un percorso evolutivo deficitario e carenziale (principalmente, come vedremo, per alcune caratteristiche del contesto familiare), non ha saputo sviluppare alcune competenze caratteristiche e fondamentali dell’Io: adeguato senso di realtà, autodisciplina, armoniosa integrazione tra talenti e ambizioni, capacità decisionali e motivazionali (KHOUT). Di conseguenza il Sé (inteso soprattutto come contenitore ed organizzatore delle autorappresentazioni del soggetto) appare leso, ferito, svalutato, povero di risorse energetiche .In questi giovani adulti, bloccati nel loro processo evolutivo, dominano vissuti di vergogna, così caratteristici anche e soprattutto di tanti nostri adolescenti. Scarsamente significativo, invece, il senso di colpa, non solo perché la giovane adultità condivide, con particolare sintonia, un tratto psicoculturale che domina la civiltà del narcisismo, e cioè il primato della vergogna narcisistica e il tramonto della colpa, ma anche perché il contesto familiare di tanti giovani evolutivamente bloccati sembra non favorire un’adeguata elaborazione della vicenda edipica, con conseguenti deficit identitari e di organizzazione strutturale della psiche. La netta connotazione narcisistica (e narcisisticamente lesa) dei nostri giovani bloccati si rivela anche nella difficoltà, e per alcuni nella impossibilità, di passare dalla cultura amorosa del rispecchiamento narcisistico caro all’adolescenza alla cultura amorosa centrata sul riconoscimento e sulla valorizzazione delle differenze ( di genere e di personalità) e sullo “scambio genitale” che ne consegue, generatore di piacere e di fecondità.
Ma c’è anche un importante fattore di ordine ambientale che sembra caratterizzare la situazione di vita e la condizione familiare di questi giovani. Tale fattore è rappresentato dai loro genitori, dalla “cultura affettiva” della loro famiglia e dal contesto ideologico-culturale che li circonda e che peraltro circonda tutti noi. Il contesto socio-culturale è quello caratterizzato dalla cosiddetta società del narcisismo, i cui valori fondamentali sono il culto dell’immagine, dell’emozione e della sentimentalità (di contro agli affetti profondi). La società narcisistica ha poi, negli ultimi anni, subito le trasformazioni indotte dalla diffusione epidemica dell’uso compulsivo delle nuove tecnologie della comunicazione, che hanno ulteriormente esasperato gli aspetti di impulsività e di superficialità relazionale già in essa così intrinseche.
La civiltà post-moderna ha poi alimentato l’illusione, pseudo democratica, della possibilità di chiunque di accedere a qualsiasi potenziale scenario di realizzazione del Sé. Di qui aspettative personali e sociali estremamente esigenti e irrealistiche, tanto più illusorie in quanto gli sviluppi economico- sociale degli ultimi anni hanno avuto come effetto una precarizzazione diffusa del lavoro ed un inaudito ampliarsi del ventaglio delle differenze economiche. Di contro si è diffusa una cultura filantropica e dei buoni sentimenti, che valorizza e incrementa gli interventi assistenziali e consegna qualsiasi prospettiva di giustizia sociale all’intervento benevolo di Fondazioni, volontariati vari, iniziative caritatevoli ecclesiastiche e laiche. Nella cultura narcisistica e post-moderna, alla centralità dell’Io, patetico Arlecchino di più padroni, si sostituisce la centralità del Sé, con le sue illusioni di spontaneità e autenticità.
Per “cultura affettiva” della famiglia un filone della psicoanalisi contemporanea (Fornari, psicoterapia della famiglia e della adolescenza) si intende una sorta di ideologia inconscia che organizza le relazioni in seno alla famiglia, concorre alla creazione di miti familiari, alla individuazione dei cosiddetti “pazienti designati” e così via.
La cultura affettiva familiare, in quanto inconscia, può anche contraddire i valori, ideali, credenze che caratterizzano le menti consce dei singoli componenti del gruppo familiare. Nelle famiglie di tanti nostri giovani adulti bloccati nel loro sviluppo, sembrano, ad esempio, coesistere due culture: un cultura ideologica cosciente, e talora conclamata, che svaluta il successo sociale, concepisce il lavoro come espressione di creatività, aborrisce ogni idea di “carriera”. (è una cultura, questa, che i genitori passano i figli e che i figli utilizzano, spesso, per legittimare il loro scarso impegno e l loro confusa progettualità). Su di un livello più profondo, però, trapela una cultura ben diversa, non confessata nemmeno a se stessi, dove carriera, successo e denaro sono riconosciuti come valori,ma impossibili da perseguire esplicitamente. Anche questo 2° livello viene passato ai figli, ma, non essendo integrato col primo, da cui è scisso, rimane silente e misconosciuto, a maggior ragione perché vissuto con profondi sensi di colpa. Il risultato sarà, ancor di più, in molti casi la incapacità di progettare realisticamente e di perseguire con sufficiente determinazione i propri progetti di vita. La scissione inoltre alimenta fantasie di onnipotenza e aspettative grandiose, che a loro volta impediscono una buon integrazione tra Io, SuperIo, Ideali dell’Io.
Un altro aspetto che caratterizza la fisionomia psicoculturale dei genitori di tanti nostri pazienti bloccati, è la presenza in loro, come già segnalato, di una rappresentazione del ruolo genitoriale che disconosce e rifiuta funzioni e interventi di tipo costrittivo, autoritativo e , se del caso, anche punitivo. Le funzioni genitoriali cui la cultura del Politicamente Corretto sembra chiamare questi genitori, prevede, oltre all’accudimento e al mantenimento, grande capacità di ascolto, approvazione incondizionata, sostegno, orizzontalità relazionale, esaltazione dei diritti dei figli, senza corrispettivi riconoscimenti dei doveri ecc. Si tratta di padri non assenti, ma anzi per lo più molto presenti, padri materializzati, e che non possono esprimere, e quindi passare ai figli, valori affettivi e mentali di ordine virile e paterno, che potrebbero aiutare molto la crescita, specie dei figli maschi. La debolezza del padre, inoltre, non consente un fuoriuscita del figlio dalla semi-simbiosi con la madre ed una adeguata elaborazione della vicenda edipica.
Queste constatazioni potrebbero aiutare a trovare una risposta al quesito che ci poniamo; perché la stragrande maggioranza di giovani adulti bloccati è di genere maschile?
Ci troviamo così, ancora una volta, di fronte al predominio, così in tante famiglie italiane, come nella “famiglia”sociale allargata, di quei valori a affettivi femminili e materni, che rappresentano un patrimonio fondamentale dello psichismo umano, ma che possono esprimere tutta la loro fecondità solo se temperati e dialetticamente integrati da valori maschili e paterni.
BIBLIOGRAFIA
-Argentieri S. (1999), Il padre materno da S. Giuseppe ai nuovi mammi, Meltemi, Roma.
-Fornari F. (1975), Genitalità e cultura, Feltrinelli, Milano.
-Fornari F. (1977), Il Minotauro. Psicoanalisi dell’ideologia, Rizzoli, Milano.
-Giacobbi S. (2009), Peter e Wendy. Psicoterapia psicoanalitica del paziente giovane adulto, Mimesis, Milano.
-Laplanche J., Pontalis J.B. (1967), Enciclopedia della psicanalisi, Laterza, Bari, 1968.
-Khout H. (1971), Narcisismo e analisi del Sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1977.