L’ombra dell’oggetto perduto, noto concetto freudiano ripreso magistralmente da Christopher Bollas, ricade inevitabilmente su questo numero. Nel mese di ottobre 2019 abbiamo perso il nostro direttore storico del corso in Psicoterapia Psicoanalitica individuale dell’adulto (SPP) e direttore di questa rivista.
Alcuni colleghi, compreso il sottoscritto, hanno voluto dedicargli alcune parole che potete leggere nei “Ricordi di Guido Medri”.
Ma l’ombra del nostro maestro, Guido Medri, ricade in tutti gli articoli che caratterizzano questo numero.
La sottolineatura del suo taglio teorico-clinico è la presenza voluta di due casi clinici, uno del collega Rosso, ex allievo SPP di Torino, che sta ultimando anche il training presso la SPI, un altro di una ex allieva della SPP di Milano che si è diplomata avendo come relatore Guido Medri.
Proprio l’anima di questa Rivista è stata, e lo è ancora, “discutere” di casi clinici, rendere ai lettori come la professione di psicoanalista sia un mestiere dell’artigiano, fare vedere autenticamente come lo psicoterapeuta lavora con i suoi pazienti, quali dilemmi si pone, quali scelte deve fare per il bene del suo paziente, come rende protagonista l’analizzando rispetto alla propria analisi e alla propria vita. Il taglio della rivista è collegato profondamente alla cultura di base del corso quadriennale in Psicoterapia Psicoanalitica individuale dell’adulto (SPP), di cui attualmente ha assunto la direzione scientifica il sottoscritto, volta a mantenere saldi i parametri specifici della psicoanalisi come l’esistenza dell’inconscio, considerare centrale il lavoro transfert-controtransfert, il ruolo della psicosessualità, il lavoro sul sogno e sulle libere associazioni, il lavoro sulle difese, senza cadere eccessivamente nella deriva relazionale (anche se vanno presi in considerazione con cautela alcuni assunti relazionali – intersoggettivi) di alcune correnti psicoanalitiche. Naturalmente rimane un punto fermo conoscere e approfondire le varianti teorico-tecniche dell’orientamento psicoanalitico nella cura dei casi gravi (disturbi di personalità, casi limite, disturbi psicotici).
Nei due casi clinici emergono questioni fondanti rispetto alla psicoanalisi, sia come teoria metapsicologica sul funzionamento psichico, sia come trattamento psicoterapeutico di affezioni nevrotiche. Ad esempio ecco alcune questioni che caratterizzano la pratica psicoterapeutica: è l’analista che influenza troppo con le sue teorie metapsicologiche il paziente o è quest’ultimo che molto abilmente riesce a pervertire i parametri scientifici dell’analista che ha dedicato parecchi anni della sua vita a studiarli e a convalidarli, come mantenere lucidità rispetto alle dinamiche inconsce transferali e controtransferali, come il terapeuta si può risvegliare dall’identificazione proiettiva con il paziente? È giusto un atteggiamento di accoglimento incondizionato del paziente o bisogna essere più neutrali e ricorrere all’interpretazione per mettere il paziente di fronte a sé stesso?
Come vive e come continua a svilupparsi l’arte psicoanalitica dell’artigiano rimane un punto centrale della rivista in cui è presente la figura di Guido Medri: l’analista non vuole cedere alle seduzioni dei prodotti terapeutici più immediati e più illusoriamente efficaci, desidera produrre tessuti di alta/buona qualità ma con tempi medio/lunghi e con percorsi in cui bisogna tollerare momenti di incertezza e momenti in cui ci si espone sempre in prima persona.
Questa rivista cerca di rispondere a questi quesiti mettendo sempre in primo piano lo sviluppo del paziente e il confronto leale e autentico tra coloro che praticano il lavoro clinico, a partire dai terapeuti che onestamente e coraggiosamente si espongono con il caso clinico per migliorare il nostro stato dell’arte.
Un altro articolo interessante di questo numero è la sintesi, da parte dell’allievo Visocchi, di due lectiones magistrales tenute presso la SPP adulto Milano da Antonello Correale sul tema della solitudine (ricollegandola in primis all’elaborazione del lutto, tema che sta impegnando emotivamente tutta la redazione) e del suo rapporto con il sognare, argomenti che ogni psicoanalista desidera approfondire. Solitudine come tema esistenziale dell’uomo che può assumere valenze positive – saper stare creativamente solo in compagnia di sé stesso, segno di buona salute psichica – o valenze negative – stati di isolamento patologico, stati di onnipotenza solipsistica, stati di vuoto e caduta di cui l’essere umano può soffrire intensamente a livello mentale –. Già l’attività onirica attesta una buona capacità creativa di stare da soli in buona compagnia di sé stessi, in quanto si è raggiunta una buona separatezza tra sé e l’oggetto e una buona capacità di simbolizzazione.
Questo numero viene poi completato da due articoli sulla società e sull’attualità.
Giorgio Meneguz propone, in un’ottica psicoanalitica, una visione storico-politica del complesso tema che riguarda la mentalità fascista. È un articolo che, con la profondità che caratterizza l’autore, è di grande attualità, in quanto ultimamente, sia in Italia sia in Europa, sembrano riaffiorare pericolosamente frange che, a volte senza dichiarare esplicitamente di ispirarsi all’ideologia nazista o fascista, si nascondono dietro la facciata di “democrazia fascistoide”.
Roberto Carnevali commenta con piglio e acume critico la scarsa audience ad una fiction televisiva – Oltre la Soglia – sul disagio psichico, in cui una neuropsichiatra affetta da schizofrenia esercita in un reparto, dimostrando, attraverso alcune sue peculiarità, una capacità empatica a volte risolutiva nel lavoro terapeutico; questa combinazione di elementi sembra avere disorientato e spaventato molti spettatori. Il tema del confine, a volte labile, nel disagio mentale tra chi cura e chi sta male è un tabù che crea fantasmi e paure spesso non nominabili.
Rispetto a questi due articoli ho espresso le mie considerazioni pensando a come Guido li avrebbe commentati, a partire dall’audacia dei temi trattati.
A questo punto buona lettura, ricordando Guido Medri.