Il rischio è l’apologia, lo so, e di essere ipocritici... e io sarò certamente ipocritica, lo ammetto, ma a mia discolpa dirò che, per poter apprezzare una persona, la mia priorità è che abbia coscienza di malattia e non necessariamente che sia anche perfettamente sana! Quindi, mi assolvo e “assolvo”, si parva licet, anche Guido.
L’antefatto:
Una ex allieva SPP adulto, di sensibilità non comune, la dottoressa Elisa Ceravolo, mi ha detto che Guido l’anno scorso le aveva telefonato, poco dopo la sessione di tesi d’aprile, solo per ringraziarla molto di una poesia che lei aveva messo nell’incipit del suo elaborato; lì per lì ne fu onorata, ma quando in ottobre ha saputo della malattia e della morte di Guido, ha capito appieno la profondità umana di quella gratitudine.
La moglie di Guido, Annarita, mi diceva che era diventata quasi un mantra per Guido, per cui lei stessa e i familiari, ora, la sanno a memoria.
Prima di leggervela, due parole.
Tutto l’episodio, direi, ci offre una istantanea di come fosse Guido:
- dal saper cogliere la poesia in uno dei momenti più drammatici della sua vita,
- ai ringraziamenti fatti con spontaneità
- al contenuto del testo,
tutto fotografa lui, troviamo la sua voglia di imparare sempre, la curiosità autentica, la freschezza, la libertà di uscire dagli schemi e dai ruoli, di ringraziare e di riconoscere l’importanza dell’altro; e ci parla della peculiarità di Guido che, forte di sé, (al di là dei giochi e del piacere di provocare con paradossi e poi anche, però, di riderci su), come sanno fare solo i grandi, profondamente avesse appunto coscienza, per quanto li sfidasse, della verità dei limiti e conoscesse con entusiasmo la gratitudine.
Un’altra ex allieva, particolarmente capace di riconoscere e usare l’ironia, Valentina Trespi, mi ha scritto ricordando la sua originalità di guizzo :
“Ieri con una collega in studio ricordavamo certe cose che ci aveva detto e ridevamo entrambe con gli occhi pieni di lacrime. Che giusto è uno che riesce a fare una battuta geniale e insegnare anche qualcosa di profondissimo che rimane nel cuore?”
Ed ora, ecco la poesia; non la commento: il suo contenuto è lapidario, sacralmente intimo e mi sembra ci permetta di star con lui davvero, vicino all’UOMO Guido, a condividere quel che sentiva fuori dai giochi, a carte scoperte, nella verità di quel che reggeva dentro e ha retto, medico lucido, indomito e stremato assieme, per anni.
Lì c’è una verità, c’è la coraggiosa epica coscienza e conoscenza, di chi ci ha, solo di un poco, preceduti in questa terra estrema del vivere nel con-fine.
Ne ero certa.
Sarei annegata.
Troppo alte le onde
troppo piccola la nave
troppo lontana la costa
troppo spaventata la mente.
C’era un odore di fine
ed era estraniante il sollievo.
Finalmente smettere di lottare
di disperare
di soffrire.
Ma qualcosa dentro
si dimenava in agonia
e non riusciva a morire.
Era la speranza.
La speranza
è un dolore che non si arrende.
© Maria Letizia Del Zompo
Dal libro: “Passi. Versi di un incontro” (Nulla die 2017)