1- Com'è che uno psicoanalista è finito a scrivere gialli?
Nel mio caso, la domanda corretta sarebbe: a scrivere romanzi. Prima di laurearmi in psicologia (la scelta della professione fu una folgorazione sulla via di Damasco) mi sono laureato in lettere moderne; un corso di studi appassionante e impegnativo, concluso con una tesi con Edoardo Sanguineti su La cognizione del dolore di Gadda. Ne trassi un articolo pubblicato su una rivista specializzata e forse avevo qualche possibilità di restare all’università. Poi un incontro fortuito mi ha messo sulla strada della psicologia clinica e della psicoterapia, ma l’amore per la letteratura è rimasto. Così, conclusa la Scuola di specializzazione alla SPP, ho collaborato con l’ASP sul tema della critica letteraria di ispirazione psicoanalitica. Nel corso della mia seconda analisi ho avvertito l’impulso di scrivere e ho scelto il romanzo giallo per due ragioni: perché amavo la letteratura di genere e perché ero convinto che avrei avuto più chances di essere pubblicato. In realtà tra i miei romanzi (fin qui tredici) i gialli sono soltanto due; gli altri sono prevalentemente noir, ovvero indagini il cui nucleo narrativo si impernia non sulla domanda: chi è l’assassino?, ma piuttosto su quella, ben più complessa, perché il crimine? Credo comunque che il romanzo di indagine sia nelle mie corde e mi consenta di esplorare scenari sociali, relazionali, psicologici secondo un procedimento che mi è profondamente congeniale.
Degno di nota è il fatto che il mio primo romanzo non ha trovato un editore se non dopo cinque anni, ma dopo avere finito di scriverlo ho subito cominciato a lavorare a un secondo.
2- La tua formazione e la tua pratica clinica in che modo sono entrate nelle tue costruzioni narrative?
Nel corso della mia carriera professionale mi sono imbattuto in una moltitudine di “storie di vita” Costellazioni familiari, traumi, lutti, vicende e miti che hanno attraversato le generazioni e segnato il destino dei pazienti che giungevano alla mia osservazione. La letteratura è una forma particolare di conoscenza – mitopoietica appunto – che consente di vivere “dall’interno”epoche storiche, ambienti e situazioni, guardandole con gli occhi di chi ne è protagonista. La letteratura esplora contesti, relazioni e vicende umane assumendo il punto di vista soggettivo degli attori. Inoltre, nel romanzo di indagine, il protagonista-detective è un attore che incontra altri attori e ricostruisce motivazioni e connessioni utilizzando l’intuito, cioè la propria reazione istintiva, empatica (qualcosa di prossimo al controtransfert psicoanalitico).
Infine, se fonte di ispirazione d’un romanzo sono la letteratura (conoscenza dei codici linguistici e stilistici e dei grandi archetipi narrativi) e l’esperienza di vita del narratore, quanta parte di quest’ultima è costituita dal proprio lavoro! Con ciò non voglio dire che il lavoro esaurisca l’esperienza di vita: gli stati d’animo, la condizione esistenziale, le gioie e i dolori della nostra quotidianità influenzano profondamente la scrittura, che è per gran parte frutto d’una attività preconscia.
3- Il giallo e la cronaca nera cosa ci possono insegnare a riguardo dell'uomo, della società e della psicopatologia?
Personalmente non amo il thriller, dove lo schema della caccia al serial killer offre poco spazio a una seria esplorazione delle motivazioni del crimine. Il serial killer uccide a causa di traumi infantili la cui indagine in letteratura è in genere approssimativa, superficiale e infarcita di cliché. Il noir e la cronaca nera possono fare molto meglio quando – come accade con autori quali Caine, Simenon e Manchette –raccontano “chirurgicamente” il percorso che conduce un individuo “normale” a precipitare nel vortice del crimine. La lettura di questi scrittori ci insegna che il crimine non è una faccenda individuale, ma è determinato da un concorso di eventi nei quali la società ha un ruolo centrale. Bisogni, crisi, lutti, relazioni, credenze e pregiudizi culturali che coinvolgono simultaneamente contesti sociali complessi stanno alla base del “grande salto”. È questa la ragione per cui non amo particolarmente la cronaca nera: essa infatti non può indagare a fondo la verità senza incorrere nelle reprimende giudiziarie, non solo quelle legate al segreto istruttorio, ma anche alla violazione della privacy delle persone reali coinvolte. Si pensi alla rischiosità di operazioni come A sangue freddo di Truman Capote. Molto più credibili le ricostruzioni della fiction dove l’enunciazione di verità indicibili è tutelata dalla premessa: “Ogni riferimento a vicende e persone reali è puramente casuale”.
Infine, una considerazione generale: lo scrittore svizzero Frederich Dürrenmatt ha messo in guardia sulle verità “oggettive” delle indagini di polizia, considerati la complessità e il caos dei dati che la realtà propone a chi indaga. In questo senso il romanzo poliziesco, se vuole essere verosimile, deve attribuire una parte importante nella risoluzione degli enigmi al caso e ridimensionare il potere salvifico della ratio degli investigatori. Qualcosa di analogo non è successo anche in psicoanalisi?
4- Come spieghi il successo e l'espansione, e di quali dimensioni, del giallo?
A costo di passare per radical chic, lo spiego con il fatto che l’accesso alla letteratura è diventato un fatto di massa. E come si sa un testo si fruisce a più livelli: quello più elementare è la trama, e il giallo è anzitutto plot, intreccio. Quello che tiene incollato il lettore alla pagina è il ritmo narrativo e la curiosità di scoprire chi è l’assassino. Ciò nonostante molti autori di polizieschi e noir (che i francesi chiamano policier e polar e gli anglosassoni crime story) hanno scritto grandi romanzi fruibili a più livelli, incluso il piacere della scrittura (le plaisirdu texte di Roland Barthes). Il grande noirista Jean-Patrick Manchette negli anni Ottanta irrideva i supponenti critici sostenitori del mainstream letterario, ricordandogli che il poliziesco ha prodotto i romanzi più significativi del Novecento e che esso ha rappresentato l’ultima forma di letteratura morale del secolo. Senza contare che i grandi miti dell’età industriale e post-industriale sono figli della letteratura di genere.
5- Come giallista e come psicoanalista, quali riflessioni ti sembra di poter fare sui cambiamenti del costume e della società? In particolare colpisce il dilagare della criminalità organizzata. È tutto riconducibile a fattori socio-economici o ci sono di mezzo anche fattori antropologico-culturali e di ordine psicologico?
Fattori socio-economici e mutamenti cultural-antropologici si intrecciano. Credo che alla base ci siano tre fenomeni epocali: la globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia e l’entrata sulla scena della rete. La crisi irreversibile degli stati-nazione (a cui il sovranismo politico non supplisce affatto, ma rappresenta una risposta reazionaria e mistificatoria, perché meramente propagandistica, oltre che minata da pulsioni autoritarie e francamente razziste) ha determinato un progressivo senso di insicurezza del ceto medio dell’Occidente, che costituisce l’ossatura sociale del sistema democratico. Oggi premendo un bottone si possono spostare in tempo reale masse enormi di capitale da un angolo all’altro del mondo. La ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi e la forbice tra ricchi e poveri si è spaventosamente ampliata.In un’economia di questo tipo il confine tra legalità e illegalità è diventato aleatorio: nello stesso fondo pensioni ci sono i risparmi d’una vita dell’operaio e i capitali ricavati dalla vendita di armi e droga della mafia. In questo contesto si registra, anche per via della rete, una progressiva crisi degli organi di intermediazione sociale e culturale (scuola, partiti, giornali). È la società liquida descritta da Bauman, che genera volatilità e incertezza. Non stupisce la fortuna di teorizzazioni che propugnano forme di democrazia autoritaria (modello Russia) o peggio. Il senso di insicurezza è una brutta bestia. Il romanzo giallo, da questo punto di vista, costituisce un ottimo placebo: è consolatorio e rassicurante, perché alla fine il bene vince sempre. Altro discorso per il noir, che invece non cura le ferite se non in misura molto limitata.
6- Tra “buonisti” e “cattivisti” come si pone un giallista-psicoanalista?
Questa storia di buonisti e cattivisti mi convince poco. Diciamo che dopo la crisi delle grandi ideologie del secolo scorso, si tratta di recuperare un’etica anche minimalista che ci permetta di dare un senso alla nostra vita. Se il giallo classico anglosassone si preoccupava di ricucire gli strappi determinati dal crimine nel tessuto sociale, a partire dall’hard-boiled americano fino a Simenon, Scerbanenco, Vázquez Montalbán e agli scrittori del noi mediterraneo, l’interesse fondamentale si è spostato sulle persone in carne e ossa: si riscopre il valore della vita umana e si cerca di riscattare la memoria delle vittime (e talvolta degli assassini) attribuendo un senso agli eventi e trasformando il caos in fato, destino. Questa è la “verità” nel noir. Dunque, chiacchieriamo fin che ci pare sul colonialismo, il franco CFA, le grandi problematiche legate all’emigrazione da guerre, siccità, miseria e crisi climatiche. Alla politica il compito di affrontare questi temi (e certo non si risolveranno chiudendosi ciascuno nei confini angusti del proprio paese). Ma quando c’è un uomo che affoga, la decisione da prendere è semplice: lo lasciamo morire, girandoci dall’altra parte, o gli lanciamo una corda per salvarlo?