BASI EPISTEMOLOGICHE
Dovendo riassumere il senso del “Costruttivismo[1], Ernst von Glasersfeld affermava che “nella tradizione filosofica, l’oggetto che va sotto il nome di conoscenza, che sia basata su informazioni che i sensi convogliano piuttosto che dall’illuminazione di una ragione intuitiva, è sempre stato ritenuto come la rappresentazione di una realtà esterna, in modo analogo alla rappresentazione che una fotografia si suppone esprima di quanto essa fotografa…”. A questa concezione contrapponeva la teoria costruttivista della conoscenza che invece “rompe con questa tradizione e postula una relazione differente tra la conoscenza e il mondo reale. L’attività del conoscere è vista piuttosto come un fiume che traccia il proprio corso attraverso i vincoli che il paesaggio pone. Il fiume non “scopre” com’è il paesaggio, ma attraverso tentativi ed errori adatta il proprio corso. La via che il fiume intraprende è determinata da una parte dai vincoli del paesaggio e dall’altra parte dai vincoli impliciti alla “logica” dell’acqua, che impediscono al fiume di fluire all’insù. Dal punto di vista costruttivista, allora, la conoscenza non riguarda ciò che può o non può esistere, ma si concentra (come il punto di vista pragmatico) su quanto si è dimostrato utile”[2].
In questo modo E. von G. inscriveva il costruttivismo nell’ambito filosofico che si occupa della teoria della conoscenza, la gnoseologia, e introduceva attraverso la metafora del fiume, il concetto di “viabilità”.
È possibile identificare alcuni passaggi fondamentali nella costruzione delle basi epistemologiche del costruttivismo radicale attraverso alcuni esponenti del panorama scientifico antico (Protagora, Zenone e i Sofisti, Platone e gli Scettici, et al.) moderno (E. Kant, D. Hume, B. Russel, K. Popper et al.) e contemporaneo (J. Piaget, G. Kelly, P. Wazlawick, F. Varela, H. Maturana et al.). Su alcuni di questi ultimi in particolari prende spunto Ernst von Glasersfeld nella formulazione del suo paradigma.
Jean Piaget affermava che “la mente organizza il mondo organizzando se stessa”[3] e dava origine all’epistemologia genetica. Secondo Piaget le rappresentazioni del bambino non sono il risultato di una lettura immediata di una realtà esterna, bensì il prodotto di una progressiva coordinazione di dati o attività più elementari, cioè l’esito di un processo di “costruzione”. In questo processo è fondamentale il mondo sociale di cui il soggetto fa parte, poiché gli fornisce le “mappe” che egli userà per costruire anche la propria identità personale (e la cosiddetta realtà). Il concetto di “assimilazione” di nuovi elementi a strutture già presenti, che si modificano per “accomodamento” qualora avvengono processi perturbativi, cioè aventi risultati non attesi, è fondamentale per la teorizzazione di una nuova psicologia dello sviluppo. Secondo Piaget il processo descritto si realizza inizialmente assimilando nuovi elementi attraverso i riflessi innati e modificando nel corso dello sviluppo le rappresentazioni e le aspettative, in un processo continuo di feedback. L’apprendimento e la conoscenza sarebbero quindi esplicitamente concepiti come strumentali.
Nel 1955 lo psicologo George Kelly concettualizza la “Teoria dei costrutti personali”[4], in cui afferma che l’individuo elabora continue ipotesi, chiamate da Kelly “costrutti”, su ciò che accadrà in specifiche situazioni; il comportamento si configura come il modo che l’individuo ha a disposizione per verificare queste ipotesi. Si tratta quindi di un sistema articolato di previsioni e aspettative, che hanno carattere soggettivoe che quindi possono avere interpretazioni differenti.
Negli anni ’70 e ’80 von Glasersfeld, Varela, H. von Foerster, K. Pribram e altri pensatori ampliano il tema del costruttivismo ad un approccio ancor più generale che coinvolga le più moderne scoperte ed i recenti dubbi metodologici sul paradigma scientifico, rigidamente determinista, a favore di una realtà varia, intricata e complessa (teoria della complessità), a cui approcciarsi con sguardo nuovo. L’osservatore è considerato parte del sistema osservato; ciò rinforza ulteriormente il già citato concetto di “viabilità”.
La moderna fisica delle particelle (fisica teorica) e l’astrofisica negli anni più recenti hanno evidenziato come un fenomeno dipenda dall’osservatore (in quanto ad esso connesso), facendo vacillare profondamente di fatto le basi empiriche dell’oggettività.
IL MODELLO
L’aggettivo “radicale” viene applicato al sostantivo “costruttivismo” per rimarcare una contrapposizione netta con la tradizione filosofica che concepiva il confronto tra la realtà esterna e la rappresentazione di essa nella mente dell’individuo attraverso le strutture cognitive: tale confronto non è possibile, perché l’individuo non ha alternativa se non quella di costruire ciò che sa sulla base della propria medesima esperienza interiore, in un processo ricorsivo ontologicamente irrisolvibile. Il soggetto non può trascendere i limiti dell’esperienza individuale[5]. Il costruttivismo radicale, in buona sostanza, si configura come un approccio non convenzionale al problema della conoscenza[6], poiché ritiene che tutti i tipi di esperienza siano essenzialmente soggettivi e che noi non possiamo condividere la nostra esperienza con altre persone, solo raccontarla attraverso le parole che noi stessi scegliamo di usare per farlo.
Il costruttivismo radicale non è una teoria, bensì un approccio, uno strumento concettuale che dimostra il suo valore soltanto attraverso il proprio utilizzo, e non in termini di assolutezza o “verità”; questo principio collima perfettamente con la critica di K. Popper allo strumentalismo del filosofo J. Dewey: “usiamo una teoria come un qualsiasi strumento, fino a che non ci serve più perché non si dimostra più utile”[7], cioè “viabile”.
Secondo tale modello, le azioni umane sono dirette verso uno scopo, perseguito sulla base dell’assunto che dovrebbero esistere delle regolarità e che il mondo esperienziale sia ordinato in maniera riconoscibile. Un tipo di conoscenza individuale possibile è quindi quella basata sul presupposto che ciò che ha funzionato in passato ci si aspetta funzionerà anche in futuro. “Un sistema vivente, a causa della sua organizzazione circolare, è un sistema induttivo e funziona sempre in maniera predittiva: ciò che accade una volta ricorrerà. La sua organizzazione è conservativa e ripete solo ciò che serve[8]”.
La conoscenza che l’individuo ha non costituisce un’immagine fedele del mondo perché essa è costituita da schemi di azione e pensieri, di cui alcuni considerati vantaggiosi e altri no. La conoscenza e i significatiche l’individuo attribuisce alle esperienze sono personalie coincidono con i modi che il soggetto ha sviluppato peradattarsial mondo come egli lo esperisce. Così come ciascuno costruisce un personale modello del mondo, allo stesso modo costruisce un modello dell’entità che chiamiamo “Sé”[9].
PRASSI TERAPEUTICA
Tutte queste premesse conducono lo psicoterapeuta che si definisce “costruttivista radicale”, cioè che desideri utilizzarle come un modello “viabile” alla pratica psicoterapeutica, ad assumere una postura specifica, operando alcuni distintivi atti di natura relazionale strutturati, intenzionali e teoricamente fondati, nei confronti del paziente, con lo scopo di svolgere un atto di cura, cioè terapeutico. Tale postura è assimilabile primariamente alla messa in atto di alcune fondamentali abilità relazionali (connotandosi pertanto fortemente come una psicoterapia a matrice relazionale): esercitare curiosità, empatia, disponibilità, unitamente ad un atteggiamento aperto e non giudicante, in grado di promuovere massimamente le risorse del cliente ed aiutarlo sin da subito a recuperare autostima, fiducia in se stesso e maggiore lucidità mentale, destrutturando i meccanismi difensivi. Il terapeuta cercherà quindi di gestire prima di tutto la relazione con il cliente stimolando un piano relazionale collaborativo, e solo successivamente interverrà sul contenuto delle comunicazioni narrate dal cliente. Successivamente il terapeuta agirà su di un livello semantico, attraverso l’educazione attiva ad un linguaggio (e quindi ai significati) più funzionale, in quanto generatore di rappresentazioni maggiormente “viabili”; ciò si realizza ad esempio attraverso l’uso di riformulazioni empatiche e la negoziazione di nuovi significati condivisi. Si può intervenire quindi su un piano più squisitamente cognitivo, secondo modalità e tecniche (alla stregua di frecce disponibili all’interno della faretra terapeutica) che richiamano analoghi di tradizione cognitivista, parallelamente intervenendo con prescrizioni comportamentali e/o con modificazioni del setting, seguendo ispirazione di matrice sistemico-relazionale: prescrizione paradossale del sintomo[10], allargamento del settingalla famiglia. Sul versante cognitivo - ove si concentra una parte fondamentale del lavoro terapeutico - si procede con un’identificazione delle rappresentazioni, delle narrative disfunzionali e dei temi di vita in cui il cliente si sta identificando e che stanno producendo in lui sofferenza; si procede spesso con la discriminazione ed identificazione degli stati fisiologici, che vengono etichettati (o ri-etichettati) come “emozioni”; successivamente si decostruiscono e ricostruiscono dialogicamente attraverso nuove attribuzioni di significato le rappresentazioni e le narrative attraverso l’uso degli strumenti che nella situazione specifica vengono valutati come più funzionali: domande circolari, disputing, ABC cognitivo, uso di abilità metacognitive, anche secondo una logica di decondizionamento strategicamente proposta attraverso esercizi di consapevolezza sul momento presente (Mindfulness-Oriented) o ausilio di macchinari di auto-ricondizionamento (Bio e Neurofeedback). Infine, si condivideranno frequentemente con il cliente le cosiddette “mappe”, cioè delle teorie del funzionamento mentale/relazionale, che abbiano lo scopo a partire dalla seduta in corso di rendere più complessa e articolata la “lettura” della realtà del cliente, fornendo nuovi strumenti operativi per gestire le situazioni di vita problematiche.
APPLICAZIONE DEL MODELLO IN CONTESTI ISTITUZIONALI
Il paradigma costruttivista radicale può rivelarsi particolarmente utile all’interno della pratica clinica con i cosiddetti “pazienti difficili” (disturbi di personalità) e con le persone che fanno esperienze di tipo psicotico, soprattutto per l’attenzione che esso rivolge alla sottrazione delle etichette diagnostiche al fine di abbattere la stigmatizzazione socialedell’individuo, ma anche alla rinuncia – consapevole e teoricamente motivata - ad un trattamento in qualsiasi forma “correttivo” a vantaggio di uno di tipo “abilitativo” e “ri-abilitativo”, disincentivando il conformismo ad una “norma” sociale a favore di una libera autodeterminazione ed espressione autentica di sé.
Alla luce di tali specificità il modello costruttivista radicale troverebbe ampia applicazione all’interno dei contesti istituzionali (comunità terapeutiche e riabilitative-assistenziali, centri psico-sociali, centri diurni, ecc), particolarmente investiti in questi ultimi anni dal dovere di adeguarsi al cosiddetto principio di “recovery”, ampiamente raccomandato nelle linee guida professionali e focusesplicito nelle politiche internazionali sulla salute mentale[11]. Nella dichiarazione di Helsinki del 2005, infatti, si asserisce che “politiche e pratiche di salute mentale dovrebbero essere focalizzate a promuovere il benessere, contrastare la discriminazione e l’emarginazione sociale, prevenire, fornire servizi efficaci e adeguati, favorire il reinserimento in società delle persone che sperimentano dei disturbi”[12].
Il modello costruttivista radicale, portavoce naturale di tale mission, può essere applicato quindi nei contesti istituzionali in un clima di reciproca collaborazione in cui vengano individuati e ridefiniti con il cosiddetto “paziente” degli obiettivi di vita specifici, valutate insieme le risorse possedute e le strategie alternative a quelle problematiche sino ad ora già utilizzate, rendendo possibile la costruzione di un personale e desiderabile progetto di vita. Il processo terapeutico consiste essenzialmente nel promuovere il potenziale umano di ognuno, affinché gestisca autonomamente e in maniera socialmente accettabile la propria esistenza, vero e proprio scopo ultimo. “L’individuo è stimolato ad affrancarsi da noicosiddetti “esperti del vivere”, dai nostri farmaci, dalle nostre terapie, divenire autonomo dal dovere di recitare la parte del malato e del confuso per garantirsi cura e sussistenza”[13].
Prima di tutto quindi occorre condividere e avere ben chiari gli obiettivi, poi seguendo i princìpi della “Teoria della Narrativa” è necessario costruire un modello semantico in cui l’autonomiapersonale e l’integrazionesociale siano viste dall’individuo quali mete desiderabili ed effettivamente raggiungibili, dove il “sintomo” appaia come ostacolo invece che come l’unico mezzo per conseguire i propri scopi esistenziali. Entrando nello specifico del metodo, il terapeuta lavora sul modo in cui un problema viene descritto, con l’idea che i problemi irrisolvibili esistano soltanto in descrizioni proprio per questo inutili[14]. Il modo in cui viene descritto un problema o una situazione da gestire può configurarsi già di per sé come una soluzione, oppure può sfociare in ulteriori problemi (ad esempio quando si utilizzano espressioni quali “Seischizofrenico” oppure “Haiun disturbo del pensiero”). Una narrativa può rendere più limpida una situazione, evidenziando possibilità e risorsepossedute, o può mistificare e impedire sviluppi; può incoraggiare un agire autonomo o portare a rassegnazione, dipendenza e non assunzione di responsabilità[15].
Inizialmente è opportuno accettare il carattere di funzionalità (viabilità) del comportamento inadeguato che risulta necessario alla persona che lo esprime, ma il messaggio che gradualmente deve essere comunicato è che il comportamento “pazzo” non è più funzionale, dal momento che l’obiettivo è l’autonomia e l’integrazione sociale. Spesso un comportamento sintomaticoriflette la percezione soggettiva di una difficoltà insormontabile all’interno della propria vita, oppure la paura di compiere una scelta sbagliata o di non essere in grado di risolvere i propri problemi.
Il processo di decostruzione e ricostruzione di narrative disfunzionali deve essere supportato anche attraverso il contesto ed il comportamento. In questo modo si rinforza il comportamento alternativo socialmente adeguato non solo con incoraggiamenti verbali ma anche con l’aspettativa di determinati comportamenti e modalità di conversazione (ad es. interrompendo il dialogo di fronte a modalità inadeguate quali “delirio”), così come con l’esigenza di interazioni sociali e di identità[16].
Il clima emotivo che si cerca di promuovere, fondato sui princìpi di accettazionee non giudizio, solitamente aiuta le persone a riflettere sulle conseguenze dei propri comportamenti sulle altre persone (trainingmetacognitivo), soprattutto quelle significative, a cui gradualmente si può iniziare ad esplicitare i propri desideri e le proprie paure. In questo scenario risulta quindi d’importanza fondamentale coinvolgere attivamente le famiglieall’interno del trattamento; è anche utile, infatti, condividere come il comportamento problematico non sia sintomo di una malattia, bensì una mera strategia di sopravvivenza. È opportuno a questo punto decostruire la logica deterministica di un’attribuzione causale lineare, deresponsabilizzante, quale: “l’evento (biologico/psicologico/sociale) ha generato il comportamento-problema”, a favore di una logica circolare e complessa. Tutti noi infatti abbiamo la possibilità di scegliere come reagire di fronte agli ostacoli della vita, i quali producono uno stress utile a fare reagire la persona (ad es. con la reazione di attacco-fuga); l’evento di per sé quindi non determina in alcun modo la scelta di una strategia, ma crea la pressione sull’organismo che poi agisce un comportamento.
Analogamente si rende necessario, durante il percorso di aiuto strutturato, eliminare gradualmente i vantaggi secondariderivanti dalla condizione di “malato mentale” (orbitare nella rete psichiatrica, essere etichettato e protetto, supportato, perdonato, ecc.).
In definitiva, descrizioni più funzionali dovrebbero contribuire a darci forza e potere sufficienti per affrontare gli ostacoli che la vita ci oppone, anziché invischiarci in un vortice di dipendenza, sofferenza e, nei casi più estremi, alienazione. In questo processo di “recovery”, il modello costruttivista radicale si configura quindi come una risorsa utile al perseguimento di tale scopo, nel massimo rispetto della persona attraverso un’autentica lotta all’emarginazione ed una massimizzazione delle possibilità del recupero di un progetto di vita desiderabile e perseguibile, realmente rispondente alle esigenze personali di ciascuno.
Bibliografia
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· Watzlawick P. et al., La realtà della realtà. Confusione, disinformazione, comunicazione, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1978.
[1]Per la definizione del concetto v. AA VV, The Concise Corsini Encyclopedia of Psychology and Behavioral Science, John Wiley & Sons, 2004.
[2]von Glasersfeld E., “Il costruttivismo radicale”, Quaderni di Methodologia n. 6, Tre S, Roma, 1998.
[3]Piaget J., La rappresentazione del mondo nel fanciullo, Boringhieri, Torino, 1966.
[4]Kelly G. A., La psicologia dei costrutti personali, Raffaello Cortina, Milano, 2004.
[5]Smock C., von Glasersfled E., “Epistemology and Education: the Implication of Radical Constructivism on Knowledge Acquisition”,Follow Through Publications, Athens GA, 1974.
[6]v.von Glasersfeld E., “Il costruttivismo radicale”, cit.
[7]Popper K. R., Scienza e filosofia, Einaudi, Milano, 1993.
[8]Maturana H. R. (1970), Biology of Cognition; Reprinted in:Autopoiesis and Cognition: The Realization of the Living Dordecht: D. Reidel Publishing Co., 1980, pp. 5-58.
[9]Piaget J., La rappresentazione del mondo nel fanciullo, cit.
[10]Selvini Palazzoli M., Boscolo L., et al., Paradosso e controparadosso, Raffaello Cortina, Milano, 2003 (1ª ed. Feltrinelli 1975).
[11]Slade, Adams & O’Hagan, “Recovery: past progress and future challenges”, Int. Rev. Psychiatry, 2012.
[12]Organizzazione Mondiale della Sanità, Dichiarazione sulla salute mentale per l’Europa: affrontare le sfide, creare le soluzioni, Helsinki, Finlandia, 2005.
[13]Meier C., Rezzonico G., “L’esperienza del Centro al Dragonato”, 2009.
[14]Watzlawick P. et al., Change: la formazione e la soluzione dei problemi, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1978.
[15]Meier C., Rezzonico G., cit.
[16]Meier C., Rezzonico G., cit.