Ormai da anni sui giornali compaiono frequenti notizie di episodi e situazioni di pedofilia con protagonisti preti e prelati, anche di rango elevato all’interno della Chiesa Cattolica. Ciò che rende il triste fenomeno tema di particolare interessere psicologico e psicoanalitico è che la sua incidenza sembra separare di molto, in termini percentuali, l’incidenza del fenomeno nella popolazione statistica globale. Cioè, in parole più semplici, la percentuale di preti pedofili sembrerebbe molto più elevata della percentuale di cittadini comuni affetti da pedofilia. Perchè?
Colpito dal fenomeno e dalla sua estrema gravità ho cercato di darmi una possibile spiegazione, che propongo all’attenzione dei colleghi e dei lettori.
Per quanto la formazione dei futuri sacerdoti sia stata oggetto, negli ultimi decenni, di cambiamenti e innovazioni, nella sostanza è ancora il Seminario la grande istituzione destinata sin dai tempi della Controriforma, a formare e forgiare i nuovi sacerdoti; e nonostante le vocazioni tardive siano più comuni che in passato, molti adolescenti e giovani adulti passano diversi anni della loro vita in Seminario, insieme agli altri aspiranti sacerdoti di varie età, e insieme ai loro docenti, essi stessi perlopiù già sacerdoti. Ci troviamo quindi di fronte ad una Istituzione totale, che, per quanto rammodernata, mantiene le caratteristiche di un ambiente chiuso ed esclusivo. Ciò che caratterizza tale istituzione, tra l’altro, il suo essere abitata da soli maschi e da maschi che il celibato destina a non avere donne nella loro vita personale. Una mia prima ipotesi, così, è che, tra i vari fattori e le diverse motivazioni che possono indurre un ragazzo a voler diventare prete, ci può anche essere (e personalmente credo sia così in molti casi) una sottile fascinazione, di ordine inconsapevolmente omofilico, nei confronti del Seminario, in quanto mondo interamente al Maschile, dal quale sono bandite. In un simile mondo il seminarista entra in relazione con figure di maschi adulti che esercitano, nei suoi confronti, una funzione di doppia superiorità: sono infatti i suoi docenti, ma anche, al tempo stesso sono sacerdoti. Di qui una doppia fascinazione e, per i ragazzi più fragili, una doppia sottomissione, che può rappresentare la base per situazioni di abuso. Tali esperienze di abuso potranno anche perpetuarsi, per una sorta di contagio psichico, laddove la vittima stessa dell’abuso, avendo poi accesso al sacerdozio, potrà a sua volta, nella terribile forma del rovesciamento dal “passivo” in “attivo”, purtroppo frequente in questi casi, diventare abusanti ai danni di ragazzi con cui avranno frequentazione di ambiente.
In una prospettiva psicodinamica dobbiamo però chiederci se stia tutto qui o se non ci siano fattori e forze che agiscono su altri piani. Ad esempio: sembrerebbe che il fenomeno della pedofilia caratterizzi i sacerdoti cattolici più di quanto non accada nelle altre confessioni cristiane. Perché?
A parte il seminario e a parte il celibato ecclesiastico ci può essere qualcosa di intrinseco ad alcuni aspetti profondi del cattolicesimo?
La psicoanalisi ha riservato, sin dalle sue origini, grande attenzione alla mitologia e alla storia delle religioni, intese come grandi costruzioni della mente umana per fronteggiare le angosce della vita e della morte e per fornire risposte all’inesausto interrogarsi dell’uomo sul mondo, sull’universo, sulle sue origini e sul senso di tutto ciò che l’uomo stesso viveva e vedeva intorno a sé.
Un contributo originale e affascinante in questa direzione è stato fornito da Franco Fornari, con la sua “Teoria dei Codici Affettivi di Base”. Il modello fornariano postula l’esistenza nella mente profonda, organizzata a livello filogenetico, di strutture fondative che starebbero alla base di questi comportamenti socio-affettivi, che dall’accudimento dei cuccioli umani alla tutela del gruppo famigliare, garantiscono la sopravvivenza della specie.
Mi sono soffermato in altre sedi su tale teoria, che però, al di là della vita famigliare, ha una ricaduta interessante anche sulla teoria culturale e religiosa della specie. Fornari ipotizza infatti che i Codici Affettivi tendano a proiettarsi anche oltre la vita della famiglia e trasferiscano le loro dinamiche sulla stessa vita sociale e religiosa. Così, nelle varie religioni monoteistiche, in quanto religioni del Padre e della Famiglia, la vita dei Codici tenderebbe a declinarsi, trovando in ciascuna di esse espressioni diverse. Così l’ebraismo potrebbe apparire una religione in cui il Codice paterno esprime il suo predominio, l’islamismo potrebbe apparire una religione in cui predomina il Codice Maschile. Il cristianesimo vede comparire sulla scena il Codice del Figlio, in una relazione drammaticamente dialettica con il Codice del Padre. Nel cattolicesimo poi, a differenza che nelle confessioni protestanti, compare sulla scena il Codice Materno, nella figura della Madonna. Ebbene, è interessante notare come la religiosità cattolica, sia a livello teologico e dogmatico sia a livello di devozione popolare, mette in primissimo piano, anche nelle stesse rappresentazioni dell’arte sacra, la figura del Figlio e della Madre, di contro ad una quasi totale assenza, o comunque marginalità, della figura di Dio Padre, sostanzialmente regredito, secondo la formula degli storici delle religioni, a “deus otiosus”. Se traduciamo tutto ciò in una sorta di rappresentazione onirica della famiglia e delle sue dinamiche, è come se la “famiglia divina” , caratteristica del cattolicesimo, si fondasse su di un accoppiamento Madre-Figlio, che esclude il Padre. Si tratterebbe così di una famiglia “interna” squilibrata e potenzialmente patogena. Anche qui, come nella famiglia di Edipo, troviamo un Padre distruttivo (che, nel mito greco, condanna Edipo all’abbandono e alla morte e che, nel credo cristiano, destina Gesù al sacrificio della Croce) e un legame incestuoso tra Figlio e Madre.
Il predomino del Codice Materno nel cattolicesimo sembra dunque caratterizzarsi in una fissazione incestuale del Figlio sulla figura materna, con conseguente compromissione della capacità del figlio di uscire dall’accoppiamento endogamico e di dirigere il proprio amore oggettuale e genitale verso una figura che non sia la madre. Il figlio, cioè, anziché sostituirsi edipicamente al padre, anziché “ essere come il padre”, in accoppiamento con la madre, potrà “fare come il padre” cioè orientarsi verso una figura femminile esogamica. D’altra parte la debolezza del Dio-Padre cattolico indebolisce la capacità del figlio di sviluppare una adeguata identificazione maschile e paterna , e quindi può favorire l’introflessione della libido e dell’investimento oggettuale verso un oggetto narcisistico maschile e infantile con il quale riprodurre anche la relazione incestuale con la Madre.
Se tale lettura ha plausibilità, possiamo così dire che la cultura psichica del cattolicesimo potrebbe predisporre nell’ambito ecclesiastico alla devianza ed alla patologia sessuale, più delle altre confessioni cristiane, nelle quali, infatti, il fenomeno della pedofilia del clero sembra essere molto meno diffuso.