Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 18
1 - 2018 mese di Giugno
IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
ANCORA SULLA PSICOANALISI A DISTANZA
di Luca Mazzotta

Vorrei riprendere brevemente la questione relativa alla possibilità di fare psicoanalisi “on line”, ad esempio via Skype, trattata nel secondo numero del 2015 di questa rivista. Allora mi chiedevo se si possa fare psicoanalisi via Skype e la mia risposta era una ulteriore domanda: “Perché no?”. Nel senso che pensavo che la risposta potesse essere cercata proprio riflettendo sui motivi che impedirebbero il dispiegarsi del processo analitico on line. In qualche modo cercavo di verificare se non si trattasse di “resistenze” nei confronti del nuovo.

Nel frattempo ho avuto modo di leggere qualcosa, ed in particolare un libro di Gillian Isaac Russel, “Psicoanalisi attraverso lo schermo” e devo ammettere che alcune motivazioni del “Perché no?” mi sono apparse piuttosto convincenti, di sicuro stimolanti. Proverò a sintetizzarle, così come le ho potute comprendere io.

La terapia psicoanalitica si muove all’interno delle fantasie riguardanti le relazioni oggettuali interiorizzate del paziente. Un elemento importantissimo nella costruzione di una relazione oggettuale è la capacità di considerare l’oggetto come qualcosa di separato da sé e non sottoposto al proprio controllo onnipotente: la madre è dotata di vita propria e non è un’estensione di sé. Ciò avviene grazie alla possibilità di distruggere l’oggetto e verificare che, nonostante ciò, l’oggetto sopravvive. È quanto ogni analista sperimenta nella stanza d’analisi quando con le sue interpretazioni mostra di essere sopravvissuto agli attacchi del paziente. Si tratta di un esame di realtà messo a disposizione del paziente, il quale può percepire l’analista/oggetto come intero, separato ed esterno. E grazie all’assenza di rappresaglie da parte dell’analista il paziente può vivere la sua distruttività anche come vitalità, come la prova dell’essere vivo. Per Winnicott “senza l’esperienza di distruttività spinta al massimo il soggetto non arriva mai a collocare fuori l’analista e pertanto non può mai fare altro che vivere una sorta di autoanalisi, usando l’analista come proiezione di una parte di sé”.

In un rapporto mediato da uno schermo che nega la distanza, che ha come elemento distintivo l’indisponibilità fisica, il paziente non può mai verificare se l’analista è realmente in grado di sopravvivere ai suoi attacchi: lo schermo è una specie di simulazione che di fatto esclude la potenzialità concreta dell’atto distruttivo. Un attacco distruttivo è tale se, almeno potenzialmente, ha la concreta possibilità di distruggere materialmente l’oggetto.

Nello studio reale dell’analista, a differenza dello schermo che rimanda una simulazione (la simulazione di una presenza fisica), il rischio non è solo una fantasia (aggressiva, erotica o altro): la possibilità di contatto fisico è reale, e ciò muta completamente la situazione intrapsichica e relazionale. Le conseguenze e i significati di una - anche solo potenziale - possibilità di contatto fisico, sono a loro volta molto reali. Lo schermo impedisce al paziente di fare l’esperienza (reale) di autentica sicurezza in presenza dell’analista oppure di sperimentare angosce profonde di pericolo, le quali a loro volta potranno manifestarsi in modo diretto o, più spesso, con derivati difensivi. Via Skype le fantasie erotiche e quelle aggressive semplicemente non possono diventare reali, e ciò fa la differenza: grazie allo schermo non c’è più nessuna reale vulnerabilità. Quando si è in presenza dell’altro, anche se la fantasia non è messa in atto, c’è sempre la possibilità di un contatto fisico (aggressivo o erotico). Skype di fatto impedisce al terapeuta di essere scorretto mentre il paziente ha bisogno di sperimentare che il terapeuta sceglie di essere corretto, ponendo limiti fisici fa sé e il paziente. Non solo: il fatto che l’analista decida di sottrarsi al contatto è un esame di realtà fondamentale per il paziente. Esame di realtà che potrebbe essere eluso in caso di comunicazione a distanza: “se non fosse per il fatto di essere lontani potremmo toccarci”.

Le violazioni del setting sono uno dei pericoli (reali e non così rari) della psicoterapia, come ha evidenziato Gabbard in un suo libro. Sono cose che possono accadere, anche se non dovrebbero accadere. Ma è proprio questo che rende la psicoterapia realmente efficace: è un reale incontro tra due persone, protette solo dalle regole cui decidono di sottostare. Ed il garante di tutto ciò è l’analista, non il fatto che di mezzo ci siamo magari mille chilometri ed una simulazione. La situazione reale è strutturante, come l’Edipo: l’Edipo è strutturante poiché vi è la reale, concreta possibilità dell’incesto.

Altra questione: alcuni terapeuti favorevoli alle terapie via Skype sostengono che una terapia a distanza favorirebbe l’emergere di fantasie che, in presenza dell’analista, sarebbe difficile far emergere. Penso che questa argomentazione sia legata ad un modo di fare psicoanalisi più vecchio di Freud, visto che egli stesso abbandonò presto la prima topica. Non è tanto importante che alcune fantasie emergano, diventino coscienti e infine si raccontino all’analista: in fondo cosa ce ne facciamo? Quello che è importante, invece, è come l’apparato psichico tratti quelle fantasie inconsce (che un analista preparato dovrebbe saper individuare e riconoscere prevalentemente nelle associazioni del paziente), come se ne difenda, con quali derivati psichici e con quali modalità relazionali. Se vediamo le fantasie, ma non le difese, come curiamo la patologia? Dire che un vantaggio di Skype è quello di rendere più agevole l’emergere di fantasie “proibite” significa essere legato ad un modello di psicopatologia piuttosto superato. Ovvio che ciò significa saper lavorare più che altro con le difese e non solo o prevalentemente con i contenuti. E poi: un conto è raccontare le proprie fantasie erotiche o aggressive in presenza dell’analista, un altro è farlo davanti allo schermo. Come l’aggressività o la sessualità di tanta gente, così libera sui social, così inibita nella realtà.

Io personalmente continuo ad usare Skype in alcune limitate situazioni. E lo trovo molto utile. Però sento molto forte il bisogno di continuare ad individuare quelli che sono i limiti e le possibilità di un una terapia psicoanalitica a distanza. Forse saremo in grado di capire, ad esempio, che una nevrosi isterica o una nevrosi legata ad inibizioni delle componenti aggressive difficilmente potranno essere trattate con lo stesso successo via Skype, per i motivi sopra esposti.

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