Il fenomeno della omogenitorialità si caratterizza, come è noto, per l’accesso alla genitorialità da parte di coppie omosessuali attraverso il ricorso a forme anche surrogate di fecondazione (eterologa) che possano portare al concepimento da parte di una donna in coppia con un’altra donna,oppure nel caso di una coppia gay, anche attraverso una forma surrogata di maternità (si tratta di effettuare la fecondazione di una donna che accetti di portare avanti la gravidanza e di cederne il frutto alla coppia omosessuale). Il fenomeno è diventato una questione ampiamente dibattuta. In questa sede non intendo entrare nel merito, come ho fatto altrove, delle questione psicologiche, psicodinamiche, antropologiche e cliniche implicate nel fenomeno. Mi limito invece a riflettere su un aspetto specifico, che è quello dell’eventuale “danno” che i figli delle cosiddette famiglie arcobaleno potrebbero subire dalla particolare condizione che caratterizza il loro concepimento, la loro nascita e poi la loro collocazione in una famiglia con genitori dello stesso sesso. Gli studiosi che concentrano l’attenzione e il discorso esclusivamente sugli effetti di eventuale danno, ritengono, evidentemente, che la questione non possa essere posta se non in questi termini e quindi considerano irrilevanti discorsi, analisi e riflessioni che inevitabilmente si pongono anche in un’ottica psicologico-culturale, con i conseguenti condizionamenti ideologici. Il fatto è, come vedremo,che la ricerca stessa risente di tali condizionamenti e quand’anche ritenga di poter produrre riprove a favore o a sfavore, la valutazione stessa di tale riprove è motivo di contrapposizione ideologica .In particolare la letteratura omosessuale e di orientamento favorevole alla omogenitorialità tende non solo a screditare pregiudizialmente le ricerche cge dichiarano di avere accertato il “danno”,ma arrivano persino a non citarle, nemmeno in bibliografia. Scrive M.Fornaro in una sua recensione:”alla fine dei vari capitoli sono indicati taluni limiti delle ricerche considerate. Nessun cenno-anche solo per confutarli- è invece fatto a quelli studi, pochi ma di risonanza, che hanno mostrato significativi disagi nelle famiglie omogenitoriali” (Fornaro 2017).
Sono numerose le ricerche che attesterebbero l’assenza di significative differenze in termini di problematicità o di psicopatologia tra figli arcobaleno e figli di genitori eterosessuali.
“La maggior parte di queste ricerche è stata oggetto di due tipi di critiche. Una, di ordine metodologico sottolinea la dimensione ristretta e la mancanza di rappresentatività dei campioni. Infatti il reclutamento della popolazione all’interno di associazioni militanti rischia di introdurre un pregiudizio nella ricerca. L’altra, più di carattere ideologico, ha accusato gli ambienti scientifici di parzialità in favore dei diritti dei gay” (D’amore 2014). La sociologa Loren Marks ha pubblicato nel 2012 un lavoro di lettura critica evidenziando i rilevanti vizi metodologici delle 59 ricerche riguardanti gli studi empirici specificatamente relativi ai genitori gay/lesbiche e ai loro bambini. La maggioranza degli studi si basa su campioni piccoli, non rappresentativi (…). Molti dei partecipanti alle ricerche sono infatti affiliati a organizzazioni e associazioni in difesa dei diritti dei gay e delle lesbiche. (…) Inoltre nella maggioranza dei casi gli studi hanno preso in considerazione prevalentemente bambini in età pre-puberale. E’ perciò legittima una domanda:cosa sappiamo di questi figli nel “lungo termine”? “ (Tagliagambe 2014).
Un riferimento abituale relativamente alle ricerche circa la salute mentale e il benessere psicologico dei bambini cresciuti da genitori omosessuali, è costituito dal volume “Lesbian and Gay Parenting”, pubblicato nel 2005 dalla “American Psychological Association”, in cui gli autori, come in altre ricerche, concludono che non esistono differenze significativi tra i bambini allevati da coppie omosessuali e quelli cresciuti in famiglie eterosessuali, E tuttavia ci sono anche studi discordanti:
“nel 2010 Rosenfeld ha esaminato su oltre 700.000 mila casi il tasso di bocciatura scolastica dei ragazzi a seconda del nucleo famigliare di appartenenza. I dati mostrano che i figli di coppie eterosessuali hanno una minore possibilità di essere bocciati (6,8%) rispetto ai figli di coppie lesbiche (9,5%) e di coppie di padri gay (9,7%). (…) Da una ulteriore disamina del medesimo database (Sullins 2016) è emerso che i figli di coppie omosessuali mostrano maggiore rischio di sviluppare sintomatologia depressiva (…) Lo stesso autore aveva pubblicato altri articoli (Sullins 2015) in cui emergono dati problematici. Da uno studio condotto su un campione rappresentativo della popolazione americana composto da 207.000 è emerso che nei figli di coppie omosessuali (512) i problemi emotivi e il disturbo da deficit dell’attenzione risultano essere più del doppio (2.4), rispetto ai bambini cresciuti in famiglie composte d genitori eterosessuali (…). Per i figli di coppie omosessuali è anche più probabile il ricorso alla assistenza medica e psicologica. Altrettanto critici i risultati della nota ricerca di M.Regnerus del 2012” (Canzi, 2017).
Peraltro anche le ricerche da cui emergerebbe l’attestazione del danno sono state oggetto di critiche metodologiche e culturali da parte dei fautori della causa omogenitoriale. E tuttavia, personalmente, mi sembra difficile credere che una situazione di nascita e di crescita così particolare e diversa da quella che da decine di migliaia di anni ha accompagnato la vita dell’uomo e dei suoi figli, non comporti problematicità e, forse, alterazioni strutturali dello psichismo.
Un testo che recentemente ha ripreso in esame criticamente il fenomeno della omogenitorialità in relazione anche alle ricerche sul possibile “danno” ha visto impegnata l’equipe del Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano. Fortemente connotata in senso cattolico, l’equipe ha però cercato di sviluppare una riflessione critica compatibile con un’ottica laica di ricerca. Il punto di partenza del lavoro è rappresentato da un modello definito”relazionale-simbolico”, che si inscrive nell’orientamento psicodinamico. Esso sottolinea il lavoro fondativo, per la mente e per la psiche, da un lato dei processi di simbolizzazione profonda che organizzano l’inconscio, dall’altro lato il valore ugualmente fondativo della dimensione relazionale, che permea l’intera vita psichica e l’attività mentale del soggetto umano. In questa ottica gli autori si pongono criticamente nei confronti del fenomeno dell’omogenitorialità e sottolineano i risultati emersi dalle ricerche che attesterebbero il “danno” come rischio più elevato nelle famiglie omosessuali rispetto quelle eterosessuali, naturalmente a parità di caratteristiche di campioni. L’aspetto relazionale-simbolico accompagnerebbe la vita dell’uomo fin dal concepimento e contribuirebbe a creare vere e proprie “strutture” della mente. Gli autori sottolineano anche gli aspetti di mercificazione che caratterizzano accompagnano le pratiche della cosiddetta della maternità surrogata, dell’utero in affitto e della cessione del bambino così concepito e così generato alla coppia omosessuale attraverso un vero e proprio contratto con tanto di garanzie perché non ci siano in futuro rivendicazioni di proprietà da parte della consenziente “madre biologica”. Stigmatizzano anche la vera e propria retorica del “dono” che accompagna tale pratiche e ne nasconde l’aspetto di compravendita. Sono critiche che chi scrive, pur laico e agnostico, condivide pienamente. La questione rimane comunque aperta.
BIBLIOGRAFIA
Canzi E., Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un’analisi critica delle ricerche, Vita e Pensiero, 2017, pagg 21-26
D’amore S. (a cura di), le nuove famiglie. Teoria, ricerca e interventi clinici, Franco Angeli, 2014, pag 136.
Fornaro M, in “Psicoterapia e scienze umane”, 2017, n° 4 pag 65
Giacobbi S, Omogenitorialità e dintorni. Tra ricerca e ideologia, in “Setting”, 2016, n° 2
Scabini E,Rossi G, La natura dell’umana generazione, in Studi interdisciplinari sulla famiglia, 2017, n° 29
Tagliagambe F,” Esistono i maestri di virtù?” in Quaderni de “gli argonauti” n° unico su “Omogenitorialità:l differenza tra gli uguali”, 2014 pagg 103,104.