Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 17
2 - 2017 mese di Dicembre
IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
LA TRASMISSIONE E GLI SVILUPPI DEL SAPERE PSICOANALITICO - COMMENTO AL LAVORO DI ALFREDO CIVITA
di Roberto Carnevali

Di questo scritto di Alfredo Civita, inconsueto nello stile dell’autore, voglio cogliere due punti, che toccano argomenti a me particolarmente cari e che mi permettono di sottolineare alcuni elementi d’intesa con un amico scomparso improvvisamente ma sempre vivo nel mio cuore. Nella nostra più che trentennale amicizia (siamo coetanei e ci siamo conosciuti a metà degli anni ottanta) abbiamo avuto molti punti di convergenza ma anche di stimolante dissonanza, e ciò che prevalentemente caratterizzava il nostro dibattere ruotava intorno a una concezione un po’ più ortodossa di Alfredo rispetto a certi miei voli pindarici in cerca di “dissonanze” psicoanalitiche che lui spesso trovava stimolanti pur non condividendole quasi mai fino in fondo. Al tempo stesso, la sua capacità di affrontare temi culturali con un’ampiezza e una profondità rara, data dalla sua “sapienza” estesa a vasto raggio e ancorata a solide basi, dava spesso ai miei voli un contenimento fecondo che mi permetteva di rivedere e approfondire alcuni aspetti che una certa mia impulsività a volte mi aveva indotto a tralasciare o sottovalutare. Un ricco dibattito costruttivo, sempre e comunque.

Qui trovo non solo due punti di convergenza, ma anche una prospettiva che, restando per certi versi all’interno di una certa ortodossia, accoglie un pensiero “altro” integrandolo in modo fecondo.

 

Il primo punto riguarda il discorso relativo alla critica che Popper muove alla psicoanalisi, trovando nella sua non falsificabilità il motivo per non inscriverla nelle discipline scientifiche. Molto si è scritto intorno a questo tema, e qualche analista (non molti, a dir vero) ha raccolto la sfida di Popper cercando di argomentare, a volte in modo molto originale, sulla possibile falsificabilità dell’analisi, entrando nel discorso del metodo con rigore scientifico[1].

Alfredo non contesta Popper, e non cerca di sostenere la falsificabilità della psicoanalisi. Argomenta però da psicoanalista, segnalando che Freud, già vent’anni prima che Popper proponesse il criterio della falsificabilità, aveva messo in guardia gli psicoanalisti rispetto alla possibilità di utilizzare in termini difensivi l’interpretazione, potendo affermare una cosa e il suo contrario, e dunque potendosi sempre “dar ragione”. A una prima lettura questo argomentare potrebbe apparire semplificante: mettere in guardia su un possibile cattivo uso dell’interpretazione senza dare un criterio per evitarlo può significare restare in un labirinto senza trovarne la via d’uscita. Ma invece, seguendo la via che Alfredo traccia con il suo discorso, possiamo vedere che la concezione di scienza dall’epoca di Popper si è evoluta, e che il criterio dell’oggettività del dato, strettamente collegato con quello di falsificabilità di Popper, è stato messo in crisi dalla teoria dei Quanti e dal Principio di Indeterminazione di Heisenberg[2]. Il centro del discorso è che a livello infinitesimo la realtà non è descrivibile in termino oggettivi, ma solo “probabilistici”, e questo ha messo in crisi la definizione stessa delle cosiddette Scienze Esatte come categoria. Alfredo ci propone dunque un argomentare “umano” dall’interno di una Scienza Umana quale è la Psicoanalisi, mettendo ancora una volta in evidenza come Freud fosse “oltre” i suoi tempi, e abbia a volte saputo argomentare con criteri che apparivano contestabili o non validi ai suoi contemporanei, e invece sono risultati corrispondenti a una visione della realtà che in tempi successivi è risultata più “vera”.

 

Il secondo punto riguarda l’apertura che Alfredo ritiene non solo inevitabile, ma auspicabile e necessaria, alle discipline non psicoanalitiche, sia nel campo delle psicoterapie (Cognitivismo, Terapia Sistemica) sia in quello più esteso delle scienze che comunque si occupano della “cura”, come la Farmacologia e le Neuroscienze.

La figura dello Psicoanalista rinchiuso nel suo studio che legge il mondo e la realtà in chiave psicoanalitica al giorno d’oggi suona del tutto anacronistica. Collocandosi in una visione storica, e incentrando la sua attenzione sulla trasmissione del sapere psicoanalitico da una generazione all’altra, Alfredo accoglie questo “segno dei tempi” che rende feconda e ricca di sviluppi la collaborazione tra più discipline. Dal punto di vista di chi, come me, da quarant’anni lavora in un servizio psichiatrico, avendo conosciuto il vecchio manicomio e avendo seguito gli sviluppi della legge Basaglia nel corso di tutto questo tempo, questa constatazione, che diventa una proposta, da parte di chi, come Alfredo, ha saputo giustapporre armonicamente l’attività di Psicoanalista a quella di Docente Universitario che per molti anni si è occupato di Storia della Psichiatria, non può che testimoniare un felice incontro che sancisce non solo un’amicizia, ma anche una sottile comunione di intenti, sottesa al rapporto e viva senza la necessità di essere esplicitata.

 

Ho definito “inconsueto” questo scritto di Alfredo perché avevo più dimestichezza con certi suoi scritti brevi nei quali, con una puntualità essenziale e profonda, segnala qualche elemento caratterizzante un argomento, stimolando alla riflessione. Qui, senza fare un discorso esaustivo (l’umiltà nella sua connotazione più positiva era una della caratteristiche di Alfredo, che gli permetteva di essere una presenza sempre discreta e significativa), affronta un discorso ampio tracciando percorsi estesi e spaziando in varie direzioni, e riesce efficacemente a offrire argomenti compiuti e al tempo stesso a mantenerli aperti a ulteriori sviluppi. Non vorrei apparire scontato parlando di un “testamento spirituale”, ma trovo che ci sia qualcosa di singolare nell’aver ricevuto questo suo dono rivolto a uno spazio e a un gruppo di persone come Pratica Psicoterapeutica, che sicuramente ha rappresentato un pezzo significativo della sua vita, sul quale, dalla sua fondazione a oggi, non aveva mai smesso di investire.

 

Concludo dicendo che, avendo io anche il compito di raccogliere e portare alla diffusione, attraverso il sito, tutti gli articoli della Rivista, ho ricevuto alcuni commenti allo scritto di Alfredo da parte di altri membri della Redazione, prima di aver scritto il mio. Ho preferito scrivere queste righe senza aver ancora letto i commenti degli amici e colleghi, per potermi esprimere con immediatezza, senza le inevitabili influenze che la lettura degli scritti degli altri avrebbe generato. Il lettore non me ne voglia se troverà qui argomenti proposti da altri, con eventuali sovrapposizioni o ridondanze. Ciascuno di noi che abbiamo voluto scrivere qualcosa in questo momento e in questo contesto, ha voluto portare una testimonianza diretta, mettendosi in una comunicazione im-mediata col nostro amico. Siamo comunque un gruppo, e la nostra coesione può esprimersi anche in questo modo, articolato in tanti rivoli che si fondano comunque su un sentire condiviso.



[1] Ricordo che nei primi anni ’80 Gian Franco Majorino, un docente di Matematica che nella seconda metà della sua vita si è dedicato alla Psicologia e alla Psicoanalisi, tenne un seminario, nell’ambito delle attività dell’Associazione Psicoterapia Critica, fondata e animata per molti anni da Enzo Morpurgo, incentrato sul sostenere la scientificità della psicoanalisi applicando il criterio di falsificabilità di Popper e, da quel geniale matematico che era, aveva argomentato da scienziato proponendo una valida contestazione a Popper “dall’interno” della sua teoria.

[2] Per approfondire l’argomento v. ad es: Capra F. (1982), Il Tao della Fisica, Adelphi, Milano.

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