Passare dal Trump in se stesso al Trump in me è intrigante, ma anche disgustoso.
Ma proviamoci!
Questo lavoro nasce dalla curiosità di chiederci e riflettere su cosa può spingere un analista americano a votare per Trump. Prende spunto da quella bellissima frase di Giorgio Gaber “quel che mi preoccupa non è il Berlusconi in sé quanto quello in me!” e dal fatto che c'erano analisti torinesi che si vantavano di votare per Berlusconi...
Il mio intervento è diviso in due parti:
1 Trump in se stesso: il
peso dell’invidia in politica
2 Trump in me stesso: presento materiale clinico e mie reazioni controtransferali
Prima parte – Trump in se stesso: il peso dell’invidia in politica
Perché così tanta gente, anche intelligente e colta, ha votato Trump? E perché la parte riformista non è riuscita a sostenere il referendum in modo compatto?
Proverò a trovare un minimo comune multiplo che nasce dalla mia esperienza clinica.
Sappiamo come la comunicazione politica faccia leva sempre sulle emozioni, per cui tendenzialmente anche le persone più informate votano con la pancia e non con la testa...
È evidente che le posizioni di Trump su: immigrazione, donne, armi e giustizia (per non parlare della volgarità del suo linguaggio) siano enormemente più vicine a quelle di Grillo, di Salvini, di Berlusconi, Gasparri, Meloni, etc che, come noto, sono tutti contro la “riforma costituzionale”.
Ma la “riforma costituzionale” è saltata non solo per le opposizioni unite ma soprattutto per la parte progressista\riformista stessa che si è scissa e, a mio modo di vedere, auto sabotata.
Questa componente auto sabotatrice/masochista della parte riformista che non ci sta alla democrazia interna, cioè a discutere, decidere e poi andare avanti anche se non è d’accordo e si oppone a seguire la maggioranza, cosa fa? si divide, si parcellizza (usanza tipica anche delle istituzioni psicoanalitiche).
La parte conservatrice ha di buono che una volta che ha trovato un leader lo rispetta.
Vi propongo di pensare che, inconsciamente, il principale sentimento su cui hanno fatto leva entrambi questi eventi, che provano a spiegare questa irrazionalità, sia, in buona dose, l'invidia.
L'invidia, come sappiamo tutti, è molto difficile da riconoscere, non tanto negli altri, ma soprattutto in se stessi.
L'invidia è quel sentimento che ti impedisce di accettare l'invito del tuo amico nella sua bella casa al mare, solo perché tu non c'è l'hai... per cui, sostanzialmente, ti privi di un'esperienza buona e perdi l'occasione di farti un bel bagno, che invece tanto desidereresti!
Questo lo vediamo benissimo anche in molti pazienti: essi non riescono a sostenere le proprie parti che cercano di cambiare, che vorrebbero farsi un bel bagno caldo, ne avrebbero la possibilità ma si auto sabotano. È, per così dire, una questione di invidia interna, che Melanie Klein cinquant'anni fa aveva messo in evidenza per la prima volta. Ma lo vedremo nella seconda parte.
"Sono una donna in USA e non voto Hilary perché è famosa, è una carrierista ed è riuscita ad arrivare fin là!" "Io invece no, allora, piuttosto voto per Trump che mi fa credere che i miei insuccessi e le mie frustrazioni siano dovute ai Latinos, ai neri, o alla politica ambientalista! Così mi illudo di non avere responsabilità nelle mie scelte".
"Sono un elettore progressista ma non voto la riforma costituzionale proposta da Renzi perché sono talmente invidioso di lui, perché giovane e intraprendente, invidioso del fatto che è riuscito a fare delle proposte nuove, a portarle avanti fino ad arrivare ad un referendum, un lavoro enorme e preferisco vedere solo le sue mancanze, assumere una posizione ipercritica e non prendere quello che c'era di buono di questa riforma costituzionale e mandare tutto alle ortiche… perché? perché si doveva fare meglio!"
Si poteva fare meglio? Certo che sì, è vero! ma sappiamo bene che dire così, è una tipica trappola per non fare passi in avanti, per cui il meglio diventa nemico del buono....
Allora la domanda diventa: quale antidoto all'invidia? Come fare a diminuirne l'intensità e la distruttività?
Guardiamo alla storia, la storia che ristudio a 45 con mia figlia di 8 anni, e l'altra, tredicenne, mi ha aiutato a vedere bene due cose:
1 l'uomo sta sulla terra da davvero poco tempo per aspettarsi più cambiamenti positivi di quanti c'è ne siano già stati.
Sappiamo che il DNA non funziona più per migliorare, è troppo lento e serve la cultura per salvarci dalla autodistruttività dell'uomo conquistador. Su questo l'aveva vista lunga Freud quando diceva che “la civiltà nasce da un trauma”, così come l’Europa nasce da un trauma collettivo: l’olocausto. Ma questa civilizzazione così veloce degli ultimi 100 anni fatta sulla base del consumo di energia fossile non rinnovabile rischia di auto-distruggerci… Due guerre mondiali. L’olocausto, dove l’uomo ha dato il peggio di se!!!
In questo modo ci autosabotiamo, come le personalità narcisiste\maniacali: consumano una enorme quantità di energie per sentirsi vive e non affrontare gli aspetti depressi... il cui risultato è che fanno tabula rasa dentro di sé e attorno a loro.
2 la storia sappiamo bene si ripete, come il transfert, come nelle dinamiche transgenerazionali, per cui dittature e progresso si alterano; si cerca di fare la rivoluzione poi gli stessi rivoluzionari, sostenuti e votati dal popolo, diventano dittatori: Germania, Francia, Russia, Cuba, Italia.
3 le parti che vincono le guerre, affamano e impoveriscono quelle vinte, colonizzano gli stati deboli (sfruttando le colonie abbiamo costruito quelle bellezze che tanto ammiriamo: di Parigi, Londra, Roma, NY) , schiavizzano, e sfruttano e spremono le parti più deboli; questo crea rabbia, odio, persecuzione, desiderio di rivoluzione, tanto non hai nulla da perdere, salgono i totalitaristi, la parte che vince invece si arricchisce e consuma oltremodo, da cui altre guerre altre disgrazie… Questa dinamica esiste nel mondo esterno ma anche in quello interno… (come è successo tra parte che ha vinto e parte che ha perso dopo la prima guerra mondiale)
Vedo la psicoanalisi come una lunga e lenta capacità di resistere (resilienza), giorno per giorno, per contrastare queste parti della nostra personalità e di quella del paziente (e quindi di ogni essere umano):
Una chiamiamola “sadica” che invidia ciò che gli altri hanno e tende a voler vincere su altre, a consumare energie per tenersi su, a colonizzare, e quindi a sentirsi quella forte e onnipotente.
L'altra chiamiamola “masochista”: che tende a non assumersi le responsabilità della propria vita, a togliere significato agli sforzi per cambiare, a rompere sempre i legami, per poi compiacersi del fatto che non c'è nulla da fare, in modo da poter imprecare ancora una volta che il mondo va sempre peggio, e togliersi così la responsabilità del desiderio.
Che fare allora?
Nella mia esperienza clinica tutto questo si declina in due opposte direzioni:
una: un mio tendere verso un fiducioso sostegno delle parti sane; una seconda si sforza di provare una tenerezza verso quelle sadomasochiste e distruttive (che hanno tenuto in piedi il paziente a lungo) sostenendo la possibilità di stare in aree più depresse, con la fiducia sulla possibilità di venirne fuori con idee nuove, come è successo a me.
L'invidia è una brutta bestia perché non ci fa sentire il desiderio di quel bagno al mare che tanto vorremo, ma ha, come contropartita, il fatto di non farti sentire desideroso e quindi fragile, piccolo ed incompleto. Come ogni essere umano è!
Seconda parte – Trump in me stesso: presento materiale clinico e mie reazioni controtransferali
Il Trump in me: quando penso al Trump in me, penso ai miei cattivi sentimenti verso il mio vicino di casa (ah! i vicini di casa! ognuno di noi ne ha uno), gradasso, spocchioso, che non si cura delle parti comuni della casa, fascista; ecco a volte sento di odiarlo, e immagino di uccidere il suo cane che abbaia tanto da non farci dormire...
Ora, come gestire questa mia parte?
Costruendo muri? Non salutandolo, non avendoci a che fare? Alzando un muro di piante di confine?
Attaccando? Dando del veleno al suo amato cane rompiballe? Mandando lettera dall'avvocato o rigandogli l'auto quando parcheggia nel mio posto, come ha fatto lui davanti a me, quando un altro aveva parcheggiato sul suo terreno?
Questo mi ricorda troppo Trump!!
Ora vediamo il mio Trump nella mia pratica Clinica: con questa vignetta clinica con una paziente masochista, una vignetta di lavoro clinico con pazienti in cui la pulsione di morte è molto forte: i pazienti masochisti che si autosabotano continuamente.
Il sogno del masochista è quello di liberarsi della sua stessa libertà. Perché? Qual è il suo guadagno?
Perché lo libera dalla responsabilità! Erich Fromm lo ha dimostrato: la libertà è angosciante. Cosa voglio? Cosa desidero? Se lo desidero e l’altro ce l’ha, sento invidia! E allora, come dicevamo, mi sento deficitario, incompleto, fragile, piccolo… ma posso ottenerlo! Allora devo impegnarmi! Ma devo affrontare l’idea che possa fallire, e mettere in conto di incontrare il mio il limite, il possibile fallimento. Mentre se è solo colpa dei latinos o si poteva fare meglio, io voto contro, godo nel farlo crollare, così non sento invidia, ma nemmeno più il desiderio: in pratica mi sono auto sabotato.
Sappiamo bene che si invidiano anche le possibilità maggiori che hanno i figli, rispetto a noi!! Sono più giovani, hanno una vita davanti, e più in discesa rispetto a noi, allora facciamogli un bello sgambetto!!!
I perversi di questo tipo invocano il bastone severo del potere, il muso duro, per liberarsi dalle insicurezze della possibilità che il proprio desiderio sia frustrato!
(Il caso clinico è visibile a sé da parte degli aventi diritto accedendo all’area protetta)
Conclusione
Il grande inquisitore nei fratelli Karamazov, diceva che l'uomo ha sempre cercato e voluto: magia, mistero e autorità!
E nel corso della storia i guaritori hanno sempre nascosto le loro pratiche dietro a un manto di segretezza. Questo vale anche per la psicoanalisi che ha sfruttato la suggestione sin dal suo esordio: avere tanti attestati appesi in studio o tante statuette, il camice bianco, una sfilza di qualifiche e titoli sotto la firma nella mail, fanno colpo sul paziente, e ci proteggono dalle nostre reali inefficienze e difficoltà, e impediscono un contatto autentico!
Autenticità invece implica lasciare il potere dato da magia, mistero e autorità. Quanto siamo disposti a metterci in gioco come persone nel nostro lavoro terapeutico? Quanto siamo disponibili a dire al paziente: anch'io ho passato, e magari passo, simili angosce nella mia vita? Quanto siamo disponibili ad ammettere: anch'io ho una parte TRUMP?