Impensabile parlare di invidia senza scomodare, seppur brevemente, frammenti riferibili a teorizzazioni inerenti a strutture di personalità narcisistiche e/o tratti ad esse legate.
Per fare questo ho scelto di estrapolare, da un prezioso e articolato scritto di Paolo Migone, (Dalle Rubriche di Paolo Migone pubblicate sulla rivista Il Ruolo Terapeutico del 1987) alcuni passaggi legati al pensiero di Kohut e Kernberg, i due maggiori psicoanalisti che si interessarono al concetto di narcisismo.
Heinz Kohut nel [1971, cit.] incominciò col notare due particolari tipi di transfert nei pazienti narcisistici, che chiamò transfert “speculare” e transfert “idealizzante”. Nel primo il paziente esprimerebbe il bisogno di essere ammirato e “rispecchiato” dal terapeuta, mentre nel secondo esprimerebbe il bisogno complementare di idealizzare e ammirare il terapeuta stesso. Egli poi postulò che il compito del terapeuta non è quello di frustrare questi bisogni, magari interpretandoli come difese, ma quello di accettarli in quanto tali e di corrispondere empaticamente ad essi per permettere al Sé di svilupparsi. Infatti secondo Kohut la genesi dei disturbi narcisistici va ricercata in un atteggiamento “poco empatico” da parte dei genitori che ha provocato l'arresto dello sviluppo a un “Sé grandioso arcaico”, del quale appunto i due tipi di transfert prima menzionati sarebbero la riattivazione nel transfert. È solo quindi permettendo al paziente di ripercorrere queste tappe evolutive attraverso un rapporto empatico col terapeuta, il quale ammira il paziente e permette a sua volta di farsi ammirare da lui, che il paziente riesce gradualmente a mitigare o modificare il suo Sé grandioso attraverso quelle che Kohut chiama “internalizzazioni trasmutanti”.
Kernberg nonostante sia d’accordo nel ritenere che la patologia si incentri attorno a un disturbo della regolazione dell'autostima e alla persistenza di un Sé grandioso, non ritiene che questo sia la riattivazione di una fase dello sviluppo infantile normale, ma patologico. Infatti, dove Kohut parla di “Sé grandioso arcaico”, Kernberg non a caso parla di “Sé grandioso patologico”, per cui ne consegue che in terapia esso non deve essere favorito o lasciato crescere, ma deve essere interpretato nelle difese caratteriali narcisistiche. Per fare un esempio, una eccessiva idealizzazione del terapeuta potrebbe non essere, come vuole Kohut, un sentimento “normale”, ma la difesa da una aggressività contro di lui e/o dalla proiezione di questa che genera poi una paura di lui (risultante quindi da una conflittualità intrapsichica). Per Kernberg (il quale tra l'altro, non si dimentichi, seguendo Hartmann [1950, cit.] concepisce il Sé come “rappresentazione del Sé”, cioè come una funzione dell'Io, e non come una entità sovraordinata e autonoma) il futuro narcisista, attorno ai 3-5 anni, invece di integrare realisticamente le immagini buone e cattive del Sé e dell'oggetto in rappresentazioni coerenti e stabili, mette insieme le rappresentazioni positive ed idealizzate (sia del Sé che dell'oggetto) formando conseguentemente un Sé grandioso patologico, cioè un'idea irrealistica e idealizzata di sé, la quale ovviamente è fragilmente mantenuta per cui il paziente ha sempre bisogno di rinforzi esterni per la sua autostima ed è soggetto a continue disillusioni. Quello che favorisce (ma non determina, come vorrebbe Kohut) la formazione di questo Sé grandioso patologico è l'atteggiamento di genitori freddi, distaccati, ma nel contempo pieni di esagerate ammirazioni e aspettative dal bambino. La vera possibile causa della formazione di questo Sé grandioso patologico è, secondo Kernberg, una eccessiva pulsione aggressiva, che impedirebbe alle rappresentazioni positive di integrarsi normalmente con quelle negative, portando così alla formazione di immagini scisse, eccessivamente idealizzate e grandiose, o eccessivamente negative.
Unisco a tali teorizzazioni alcune riflessioni sollecitate anche dalla lettura di un articolo di Davide Rosso comparso sul numero di dicembre della Rivista Pratica Psicoterapeutica “Trump e Renzi: l’invidia in politica”.
Genitori distaccati e freddi, relazioni emotive distorte nell’affettività sembrano essere alcuni elementi emotivi responsabili di un avviamento intrapsichico caratterizzato dall’instaurarsi di rabbie, consequenziali sensi di colpa e angosce. Sensi di colpa che diventeranno terreno di coltura dal quale fiorirà quel sentimento ormai entrato di diritto a far parte del linguaggio sociale, seppur spesso impropriamente usato, definito invidia. Invidia nei confronti di qualcosa che per infinite motivazioni relazionali è risultato mancante a livello relazionale determinando circuiti, più o meno frustranti, di rabbie, sensi di colpa e angosce.
Sensi di colpa nei confronti di antiche e brucianti rabbie scaturite da mal-tolti affettivi, ferite narcisistiche che partoriranno sentimenti di invidia che “useranno” la quotidiana esistenza quale scenario entro cui costantemente ricercare e sperimentare le scottanti frustrazioni ricevute e primariamente subite.
Una sofferenza invidiosa legata a profondi e appesantiti vissuti colposi che M. Klein imputerebbe a quella parte di seno “cattivo” introiettato e rimasto incastrato e “colposo” tra le pieghe psichiche di uno psichismo in evoluzione.
Un invidia, dunque, che nelle migliori posizioni psichiche si andrà manifestando attraverso fastidiosi e consapevoli pensieri nei confronti di qualcuno e/o qualcosa, oppure in presenza di intense ferite narcisistiche si rappresenterà attraverso inconsapevoli comportamenti e atteggiamenti eccessivi nelle esagerazioni oppure eccessivi nelle inibizioni.
Una pesantezza affettivo-relazionale che impedirà o renderà faticosa l’evoluzione di un’identità psichica creando confuse irrequietezze costantemente in viaggio verso la ricerca di un “tesoro” perduto senza forma e nome. Rabbie invidiose che, all’interno di relazioni intrapsichiche e/o interpersonali, diventeranno “sagome” destinate a narrare le eccessive o inibite possibilità relazionali nei confronti della desiderabilità, del possesso, del controllo, dell’uso delle emozioni e capacità cognitive.
Legami che potremmo definire “non-legami”, relazioni caratterizzate da impossibilità o conflittualità emotive che determineranno costanti inciampi all’interno di quello scambio affettivo “dare-avere” caratterizzante ogni tipologia relazionale.
Assisteremo ad atteggiamenti e comportamenti caratterizzati dalla difficoltà o dall’inibizione di “usarsi/lasciarsi usare” oppure, al contrario, atteggiamenti e comportamenti eccessivi nella suddetta possibilità.
In entrambe le posizioni psichiche di inibizione ed eccesso sarà presente un dinamismo emotivo rispecchiante i vorticosi sensi di colpa legati all’antica rabbia narcisistica scaturita dalle indebite sottrazioni affettive sperimentate.
Invidie create in quel passato contrassegnato da dinamiche relazionali “invadenti” impossibili da arginare e decodificare, invasioni determinanti l’innalzamento di barriere difensive, primariamente indistinte e grezze. Barriere difensive erette a baluardi più o meno invalicabili che, se da una parte avrebbero dovuto difendere un Sé in erba, dall’altra impedivano allo stesso l’evolvere evolutivo rispetto alle emozioni in circolo. Un Sé, dunque, stropicciato e affaticato nell’evolvere affettivo, un mal-tolto affettivo che riaffiorerà all’interno delle innumerevoli forme di quotidiani vissuti invidiosi, più o meno consapevoli, nei confronti di evolute possibilità altrui.
Un Sé in erba non ancora del tutto annebbiato, distorto o separato dal sentire, ma già alle prese con modalità relazionali incoerenti e confuse che a cascata si accomoderanno sulla giovane e sottile “pelle” psichica creando mortificanti ferite primarie.
Una pelle psichica segnata da quelle iniziali ferite relazionali, “neo-formazioni” più o meno pronunciate e dolorose, macchie orticanti che, infastidendo il formarsi del Sé, verranno in esso inglobate come parti dello stesso.
Tatuaggi psichici del Sé ereditati attraverso un patrimonio affettivo relazionale non genetico, ma costituito da dinamiche affettive trans-generazionali trasmesse attraverso un’infinita gamma di atteggiamenti eccessivi o inibiti respirati all’interno delle relazioni: ferite narcisistiche costantemente alla ricerca di decodifica affettiva.
Eccessi o inibizioni che verranno riprodotti attraverso un fare o un non-fare, godere o non-godere, divertirsi o non-riuscire a divertirsi, posizioni psichiche che racconteranno le carestie/distorsioni relazionali sperimentate, povertà e confusioni affettive all’interno delle quali le devianze comportamentali eccessive o inibenti il godimento “della casa al mare di un amico” andranno a rappresentare, dal canto mio, l’inconsapevole colpa nei confronti di narcisistiche rabbie informi, confuse e pericolose. Comportamenti che rappresenteranno quel profondo dolore narcisistico/senso di colpa in altro modo non sentibile, non prendibile. L’impotenza percepita nel non riuscire a fare o nel fare eccessivo e reiterato, l’inibizione e/o difficoltà nei confronti di aspetti vitali possiamo osservarli come capacità psichiche rispecchianti le distorsioni relazionali “invalidanti” l’evoluzione del Sé.
Nominare, riconoscere e significare la presenza di profonde rabbie e i legami con i consequenziali sensi di colpa, a parer mio, darà il via ad una ri-alfabetizzazione significativa nell’intrapsichico del paziente determinando, nelle situazioni maggiormente integrate, trasformazioni intrapsichiche dove la “casa al mare dell’amico” potrà divenire un’esperienza maggiormente godibile o al contrario non essere interessante, ma pur sempre all’interno di un clima emotivo per nulla colposo e maggiormente separato. Il paziente potrà accedere ad insight caratterizzati da una migliore sintonia tra il proprio sentire e l’agire; un clima emotivo all’interno del quale i circuiti invidiosi saranno sufficientemente annullati o alleggeriti.
Alleggerimenti maggiori quanto le possibilità intrapsichiche del paziente di riconoscere e, attraverso tempistiche intrapsichiche, sperimentare emotivamente i propri mal-tolti affettivi, le relative rabbie e i consequenziali sensi di colpa responsabili delle rappresentazioni “punitive” calate su comportamenti e/o atteggiamenti eccessivi o inibiti.
Penso che prima di pensare ad una riabilitazione psichica ci si debba calare nella posizione psichica di riconoscere e osservare il paziente come un sopravvissuto che, scampato a ipotetici e peggiori disastri psichici, abbisogni di sperimentare il riconoscimento di quanto le difese create dal proprio psichismo, seppur poco o per nulla in equilibrio, siano rimaste in contatto con un dolore in qualche modo comunicabile.
Troveremo sofferenze narcisistiche negli atteggiamenti di annientamento, annichilimento, stordimento, controllo, possesso, maniacalità, ecc tutte forme di esistenze psichiche inciampate in relazioni confondenti con nulla o rara possibilità di consapevolizzare tali confusioni e distorsioni. Sofferenze bisognose di un ascolto terapeutico capace di sentire e interpretare gli antichi inciampi non primariamente come cedimenti da riabilitare, bensì manifestazioni rappresentative di sommerse capacità strutturali “congelate o sotto-usate” rivolte a far sopravvivere antiche porzioni di un Sé macchiato e affaticato.
Comportamenti eccessivi spacciati come vitalità, feroci annichilimenti, granitiche immobilità psichiche, fallimenti intellettuali, saranno alcune tra le molteplici e contrapposte rappresentazioni di quella medaglia narcisistica costituta da rabbia narcisistica e sensi di colpa. Una commistione emotiva capace di partorire emozioni, più o meno consapevoli, di invidia, un doloroso vissuto marchiato a fuoco su quella pelle psichica diventata un carteggio rappresentativo delle colpevolizzanti perdite/ferite affettivo-relazionali accadute durante i primi anni di vita.
Rabbiose e colpose frustrazioni da cui scaturiranno sistemi difensivi volti ad allontanare, annullare, trasformare la sofferenza di quei primari “tuffi/avvicinamenti” relazionali risultati ustionanti e/o mortificanti, tuffi che avranno lasciato il Sé in balia di vissuti caratterizzati da angosce di frammentazione identitaria.
L’analista che si imbatte in scottanti mal-tolti e consequenziali stati di invidia, con tutta probabilità, scorgerà dal proprio vertice osservativo barricate e scogli incontrati dal paziente durante le estenuanti nuotate evolutive, nuotate che alle volte saranno rimaste carenti di riconoscimenti affettivi oppure il loro riconoscimento sarà stato incoerente e/o conflittuale.
L’impossibilità di “godere della casa al mare dell’amico” o i maldestri e poco educati tentativi di reiterare tali inviti potranno così essere letti come testimonianze emotive di “come si svolsero i fatti”.
Fatti relazionali primari inseriti all’interno di quella “brodaglia narcisistica” dalla quale prenderanno vita le infinite forme dell’invidia.