Raccolgo la sollecitazione di Alfredo Civita a riflettere sull’uso di Skype nel nostro lavoro per portare la mia esperienza sia in ambito clinico che comunicativo in senso più ampio.
Il computer è per me uno strumento di lavoro a tutto tondo, e non solo non mi crea difficoltà pensare di impiegarlo per ogni genere di pratica in cui può risultare rapido ed efficace, ma anche mi affascina e mi stimola l'dea di introdurlo in attività consuete sperimentando nuove forme di comunicazione. Chi mi conosce lo sa, e non mi sono dunque stupito quando, circa due anni fa, una collega e amica mi ha chiesto se ero disponibile per vedere una trentacinquenne italiana che viveva all'estero e che voleva iniziare con un terapeuta italiano una psicoterapia via Skype. La donna era in Italia per qualche giorno, e chiedeva un primo colloquio, pensando di proseguire, se ci fossimo accordati, per l’appunto via Skype dal paese in cui abitava.
Ci vedemmo qualche giorno dopo e concordammo l’inizio della terapia. Concordammo anche che di quando in quando avremmo fatto un colloquio di persona, in occasione delle visite che faceva al padre, in Italia, due-tre volte l'anno.
Sono pienamente d’accordo con Alfredo sul fatto che il “faccia a faccia” su Skype è qualcosa di molto particolare per intensità e coinvolgimento, e penso che chi ritiene che con Skype si crei una distanza che non può essere colmata potrebbe, se lo sperimentasse, accorgersi che è invece favorita una vicinanza inquietante, al limite, come peraltro sottolinea anche Alfredo, del vicendevole controllo onnipotente. Per di più, a differenza di quanto avvenuto secondo il tacito accordo fra Alfredo e il suo paziente, che li ha portati ad accorciare la durata della seduta, mi sono trovato, all’inizio della terapia, a proporre alla paziente sedute di un'ora, visto che non ci si poteva vedere più di una volta la settimana e lei chiedeva un lavoro di profondità. Profondità che, devo dire, non è mancata. La principale modalità difensiva della paziente era la razionalizzazione, in particolare quando cercava di parlare dei propri sentimenti, e più volte ci siamo trovati a guardarci intensamente con un’intesa che poteva non necessitare di ulteriori parole. Per quella che è la mia esperienza, dunque, guardarsi e parlarsi attraverso Skype non attenua il contatto con le proprie emozioni, ma per certi versi lo amplifica. Visto che comunque ero stato io a proporre la durata di un’ora, la mantenni senza rimetterla in discussione, anche se mi resi conto che era decisamente eccessiva per l’intensità delle emozioni in gioco e soprattutto per la continuità del controllo vicendevole.
C’è poi il fatto di essere ciascuno a casa propria con l’occhio che vede l’altro nella sua. C’è un’intimità che reciprocamente viene violata; oltretutto ci si vede solo a mezzobusto, e dunque: chissà come è vestito l'interlocutore nella parte di corpo che è fuori dalla visuale! Si ha da un lato la possibilità di concedersi qualche libertà in più, per esempio nell’abbigliamento che rimane fuori dalla visuale, e al tempo stesso, dall’altro, uno stimolo a fantasticare sulle eventuali libertà che potrebbe concedersi l'interlocutore nello stesso senso.
Penso che si possano sviluppare molte ulteriori riflessioni, e che ciascuno, trovandosi a voler sperimentare una nuova modalità di relazionarsi in un rapporto, debba fare i conti, prima di tutto, con l’importanza di questo rapporto nella sua vita, e la motivazione a mantenerlo vivo e continuativo. Se dunque nessuno oggi ritiene bizzarro o fuori luogo che un figlio che lavora o studia all’estero mantenga i rapporti con i genitori via Skype, e che questi rapporti possano rimanere saldi e duraturi e comportare uno scambio di affetti veri, non vedo perché questo non possa avvenire avendo una sua legittimità e fondatezza anche in un rapporto terapeutico. Si tratterà di trovare una modalità che salvaguardi alcuni elementi di fondo (quali ad esempio l’esclusività, la riservatezza, il rispetto del tempo, per citarne qualcuno) e nella quale si sviluppi una consapevolezza di ciò che accade e del significato di alcune varianti del setting che necessariamente in questa modalità vengono introdotte.
Un aspetto che non va sottovalutato riguarda la continuità anche dal punto di vista dello strumento tecnologico. La stabilità del collegamento è fondamentale, e se si vuole instaurare e mantenere un rapporto terapeutico via Skype bisogna accertarsi di avere una buona linea in internet (ADSL o, meglio, fibra ottica) e un’alternativa wireless da poter attivare istantaneamente. Una linea che cade nel bel mezzo di un dialogo di una seduta di psicoterapia, e l’attivazione di procedure per il ripristino della linea, sono elementi di disturbo che spezzano in modo estremamente rilevante la continuità, inducendo una frustrazione che può vanificare l'efficacia della comunicazione disperdendone i contenuti a causa dell'alterazione del clima emotivo che si viene a creare.
A un’altra paziente, che viene con discontinuità perché per motivi di lavoro si trasferisce anche per lunghi periodi in un’altra città relativamente lontana, ho dato l’opportunità di poter effettuare qualche seduta via Skype in questi periodi di lontananza; purtroppo la precarietà nella quale la paziente si trova quando è via (ospite di amici, spesso con soltanto una chiavetta wireless in zone con una linea instabile) ha reso così difficoltoso il collegamento da indurci a dover rinunciare a mantenere la continuità in questa modalità.
Skype può dunque a mio avviso rappresentare un’opportunità di contatto per un rapporto psicoterapeutico in situazioni di lontananza sia episodica che permanente (avendo la possibilità, in questo caso, di almeno un paio di incontri l’anno di persona) potendo comunque contare su una linea che funzioni e mantenga un contatto sufficientemente stabile da garantire la continuità di ciascuna seduta.
La stabilità della linea è poi l'unico requisito richiesto per l'utilizzo di Skype in un altro aspetto del nostro lavoro: le riunoni tra membri di un gruppo operativo o di studio abitanti in città diverse. Da tempo Skype prevede infatti i collegamenti multipli permettendo ai membri di un gruppo di lavoro di confrontarsi stando ciascuno nella propria sede, risparmiando il tempo e le spese di viaggio. Basta poco per accorgersi che il clima di gruppo si può instaurare anche via Skype con una partecipazione ricca e produttiva da parte dei membri, purché il veicolo comunicativo della rete non sia soggetto a frequenti interruzioni.
Credo che il punto fondamentale siano le resistenze che molti di coloro che operano nel campo delle scienze umane hanno nei confronti di tutto ciò che è tecnologico, operando un’arbitraria omologazione della tecnologia a una disumanizzazione che non è per nulla scontata. A volte, e il “faccia a faccia” intenso e continuativo di cui s’è detto ne è una testimonianza, succede al contrario che attraverso la tecnologia possano emergere aspetti dei rapporti umani sui quali è opportuno e fecondo riflettere, e rispetto ai quali superare la paura del nuovo intraprendendo strade non ancora percorse può rappresentare un arricchimento che apre nuove strade anche in un campo come quello della psicoterapia.
Provare per credere...