Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 13
2 - 2015 mese di Dicembre
IL CONTESTO SOCIOCULTURALE
LO SVILUPPO DEGLI AFFETTI NEI TRANSFERT: LA SPECIFICITÀ PSICOANALITICA
di Simone Maschietto

Relazione portata al XX Congresso del Centro Psicoanalitico di Madrid tenutosi a GRANADA il 23 e 24 ottobre 2015

Prospettive diverse nella psicoanalisi contemporanea: Ricchezza e tensione nell’eterogeneità

 

Un ringraziamento sentito al Centro Psicoanalitico di Madrid, in particolare al Presidente, Dr. Miguel Angel, che mi hanno permesso di confrontarmi con colleghi a livello internazionale. Sono uno psicologo clinico che ha fatto il suo training psicoanalitico alla SPP (Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adulto) di Milano, dove poi sono diventato segretario scientifico e docente interno. Inoltre, sono membro del Direttivo dell’Associazione Studi Psicoanalitici di Milano, ASP, Socio IFPS.

 

Nella Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adulto SPP,  Milano, in cui insegno, si cerca di mantenere vivo il dialogo tra teoria psicoanalitica e pratica terapeutica.

La metapsicologia freudiana, la teoria delle relazioni oggettuali, la psicologia del Sé, con apertura verso la Psicologia dell’intersoggettivismo, rimangono i tre vertici a cui ci si ispira. La concezione, sia di un inconscio rimosso, sia di uno mai rimosso, perché mai rappresentato;  l’indagine psichica di ciò che disturba  il perturbante nascosto – il funzionamento psichico   dei pazienti, la psicosessualità, l’analisi dei transfert  e dei sogni, come “le vie regie per decifrare l’inconscio”, rimangono i focus del pensare e del praticare la clinica psicoanalitica.

Ne consegue che si incontra e si prende in carico il paziente per consentirgli la scoperta di sé e del proprio funzionamento mentale  profondo. Egli, infatti, non lo  conosce perché inconscio, e si tende a coinvolgerlo nel filo stimolante del “conosciuto ma non pensato” o del “mai conosciuto”.

Allo scopo di evitare che tale conoscenza diventi un sapere intellettualizzato, è necessario, e ciò costituisce il problema, raggiungere il cuore emotivo della scoperta di sé e di ciò che ha perturbato lo sviluppo del proprio Sé.

La relazione analitica, quindi, porta alla scoperta emotiva, coinvolgente, a volte dolorosa, a volte gioiosa, di ciò che si è stati nell’infanzia, nell’adolescenza,  di ciò che è accaduto nel contesto famigliare e dentro di sé, ed ancora: di ciò che ha ferito e non si è riusciti a comprendere ed a superare.

Ponendosi in tale dimensione si affianca l’Io del paziente, per aiutarlo ad elaborare le difese messe in atto per controllare e tentare di ridurre la propria sofferenza, espressa con i sintomi ed i comportamenti che li manifestano.

Lo scopo è quello di individuare le componenti transferali (affetti e pulsioni nei transfert: amore e odio, libido e destrudo) che il paziente attiva nei confronti dell’analista, il quale, non raramente, infatti, può essere catturato nella trama transferale del paziente.

Il campo bi-personale (analista e analizzando) che si crea nella stanza di analisi è quello inconscio, ricco di implicazioni emotive: un terreno che si deve attraversare in profondità e con intensità,  per giungere a conoscere il suo stato e la sua condizione di essere e di esistere.

È bi-personale perché la conoscenza di sè emotiva/inconscia che l’analizzando progressivamente riesce a raggiungere, si verifica nella relazione con l’analista (transfert e relazione reale con l’analista): in tale incontro i due si influenzano reciprocamente (come afferma Christopher Bollas ci può essere una trasformazione del paziente, se c’è una trasformazione dell’analista).

Quando si richiede un trattamento psicoanalitico, il proprio mondo interno è un terreno impervio, franato, a volte inquinato, a volte inaridito, a volte troppo calpestato.

Soprattutto nell’attualità in cui i disturbi gravi di personalità (registro borderline versus psicosi) sono aumentati (v. contesto della Lombardia, Italia), spesso, a livello terapeutico, non si tratta di risanare, come nelle nevrosi, una parte del terreno, sapendo che l’altra  è sana e vitale: si tratta proprio di ripiantare, prima in vitro e poi in vivo, un nuovo terreno. Spesso, per ricostituire in tali pazienti una capacità affettiva, l’analista deve, nel transfert e nel controtransfert, dapprima contenere, tollerare, e poi interpretare i loro  affetti aggressivi crudi e arcaici, evacuati come elementi Beta.

Tutto ciò a livello clinico può apparire molto interessante, stimolante e profondo, ma, nel panorama psichiatrico e sanitario lombardo (italiano), tale lavoro sembra venire percepito come eccessivamente lungo, troppo interconnesso alla soggettività e/o capacità dell’analista, o a variabili poco controllabili empiricamente.

Nell’attualità la Psicoanalisi viene criticata perché alla fine è ritenuta poco incisiva sui funzionamenti mentali gravemente nevrotici o borderline e quasi impotente rispetto ai registri psicotici o perversi.

La Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica SPP e l’Associazione di Studi Psicoanalitici ASP in Milano, che raccoglie per una formazione continua in particolare  i terapeuti formati in SPP, hanno avuto come fondatori Johannes Cremerius e Gaetano Benedetti, grandi studiosi rispettivamente della patologia nevrotica e di quella psicotica.

Le due Istituzioni, infatti, sono intessute dall’attività teorica e clinica dei loro due fondatori. Il panorama socio-politico-culturale, allora, era completamente diverso: la psicoanalisi era quasi divinizzata ed il comprendere la follia era culturalmente fonte di stimolo e di riflessione.

Oggi gli allievi si trovano in grande difficoltà perché il panorama contestuale è diametralmente cambiato: a livello culturale la ricerca di profondità non interessa più, il valore del sacrificio, dell’attesa, del legame affettivo, sembra essere svalutato, e viene preferito il “tutto subito”: massimo guadagno con minimo sforzo.

Tutto ciò è anche dovuto all’era digitale, dove tutto sembra fruibile nell’immediato.

Infatti, un altro intenso dibattito negli Istituti Psicoanalitici è quello riguardante la psicoterapia, svolta attraverso il mezzo digitale (es. Skype): c’è chi la sostiene, ritenendo che si debba modernizzare il metodo per non rimanere draghi preistorici, e chi, invece, la contesta apertamente, affermando (e dimostrando) che una relazione virtuale non può sostituire una relazione reale: la situazione virtuale, infatti, non consente il dispiegarsi del transfert che, naturalmente, si sviluppanella stanza dell’analisi.

Per quanto riguarda i limiti e i pregi della tecnica psicoanalitica, scrivere e pubblicare,  sia  i risultati positivi raggiunti, sia i fallimenti, potrebbe, forse, costituire una adeguata risposta  a tali critiche.

Però, riflettendoci,  non si può non affermare che la virtualità può ritenersi l’antitesi della realtà: in fisica, infatti, il lemma ‘virtuale’ è contrapposto a ‘reale, effettivo’.

Esso, infatti, significa che è potenziale, ma non è in atto: si tratta sostanzialmente di fenomeni che si presentano in modo non corrispondente alla realtà.

Che poi, come comprensibilmente sostiene ed afferma Zygmunt Bauman, ormai si è instaurata anche una dipendenza dall’informatica e dal virtuale; ciò potrebbe costituire il presupposto per un intervento terapeutico e giammai la sostituzione di un rapporto interpersonale, di per sé non solo reale, cioè concreto, ma intriso di spunti e componenti emotive, affettive, relazionali, condivisioni, contrapposizioni, in un percorso che, come il filo di Arianna, può assumere un valore salvifico, nel caso di una relazione analitica, per entrambe le parti.

Inoltre va tenuto presente che, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi Europei, per non uscire dal contesto sanitario psichiatrico nazionale, si sono cercati modelli psicoanalitici per la psicoterapia breve, con un numero di sedute limitate, con ricerca di un focus da mantenere per quel numero di sedute, con lettera di sintesi/dimissione, per cui, ad esempio, non si lavora direttamente nei transfert (anche se lo psicoterapeuta li coglie). Il mio parere, però, è che-si scusi l’affermazione “forte” – certamente non si tratta di psicoanalisi: questa diatriba sembra infervorare tensioni e conflitti anche nelle nostre due Istituzioni milanesi (SPP ed ASP).

L’analista, nella stanza d’analisi, si lascia trasportare come dalle onde del mare, dai due inconsci, il proprio e quello del paziente.

Egli sa  di avere la strumentazione interna adeguata (setting interno), che lo rende capace di stare a galla, scendere nei fondali più profondi, lasciarsi travolgere senza affogare, aggrapparsi, bruciarsi con le meduse, nuotare liberi, giocosi e forti come delfini, farsi sedurre dalle sirene per poi, come Ulisse, non cedere al loro fascino, essendo in grado anche di incontrare mostri marini terrificanti. 

Per compiere tale immersione non si può avere la scadenza prima di tuffarsi, non si deve subito trovare, in poche bracciate di nuoto, il polo della rotta che si deve navigare, altrimenti c’è il rischio di diventare troppo cognitivi e deduttivi (pericolo di cognitivizzare la Psicoanalisi, come se fosse a galla su un natante).

Il metodo psicoanalitico, invece,  è, di per sé,  intuitivo ed euristico.

Saper tollerare – per esempio di non comprendere subito –, sapere attendere, riuscire a non saturare la consapevolezza che sta emergendo, dare lo spazio e gli strumenti al paziente affinché sia egli stesso a fare la propria analisi e non essere direttivi, costituiscono conquiste faticose, raggiunte, nel tempo, anche per l’analista.

Ad esempio: spesso non solo si attende il sogno del paziente, ma l’analista rimane in attesa, durante la notte, dei propri sogni di controtransfert, che possono svelare le identificazioni proiettive istituitesi tra paziente e terapeuta: egli  può diventare, in tal modo, ciò che il paziente gli “mette dentro”.

Il sogno di notte, quindi, può rappresentare all’analista tale meccanismo, e ciò origina, se colto, un notevole insight.

Ci risiamo: la Psicoanalisi è arte o scienza?

Io penso che sia arte, perché segue l’intuizione, intesa come attività preconscia (v. Davide Lopez), sia scienza, perché ha propri parametri che nascono dalle teorie derivate dallo studio e dalla cura dell’apparato psichico, del quale giungono a conoscere le regole: il regno della soggettività, a cui si cerca di dare significato.

Al riguardo MatteBlanco ha definito una logica dell’inconscio, da non confondere con la logica cartesiana del conscio.

Nel tuffarsi con il paziente ci si lascia trasportare dai suoi transfert (dai suoi oggetti, dalle relazioni dei suoi oggetti, dagli stati affettivi/relazionali dei suoi oggetti) e, quando si è nelle  onde, si aspetta l’emersione dell’intuizione che faccia cogliere in quale posizione sia stato messo l’analista.

Poi si tenta  di accompagnare il paziente alla conoscenza di ciò, aspettando i tempi giusti, rispettando sia il movimento che il transfert emerso rende palese, sia la disponibilità dello stesso  di accogliere l’interpretazione dell’analista.

Ad esempio, se per un paziente si svolge la funzione di oggetto Sé, che nel transfert si è rappresentata, si può continuare a navigare in questa  corrente affinché il suo Sé si sia coeso maggiormente. Solo dopo può avvenire la conoscenza conscia di ciò che è accaduto, giungendo ad  interpretare le difese con  cui il paziente tenta di resistere alla nuova esperienza dell’oggetto Sé che il terapeuta rappresenta, secondo la coazione a ripetere una esperienza traumatica dell’infanzia.

Rispetto ad un paziente si può subito avere capito tanto dall’inizio, ma bisogna portare lui a capire, e sovente ciò necessita di un tempo molto più lungo, che naturalmente non corrisponde al nostro; oppure può succedere esattamente l’incontrario, è possibile che un paziente si riesca veramente a capirlo a trattamento inoltrato, o quasi alla fine del trattamento, molti psicoanalisti affermano che la vera diagnosi si riesce a farla solo alla fine del trattamento.

Per stabilire un contatto profondo con un paziente, dallo stesso mai avuto da bambino, o, se l’ha avuto, è stato parziale e frustrante,quale è l’accesso al mondo interno della madre (fantasie, sentimenti, emozioni, paure, fragilità, desideri), a partire dall’esperienza corporea con la stessa, nella diade madre – figlio, possono trascorrere anni di terapia in cui la coppia analista- analizzando devono tollerare passaggi molto frustranti per entrambi.

Quindi aiutareil paziente a mettersi in contatto con l’impotenza patita nell’infanzia, dovuta  alla mancanza di contatto tra il suo sé emotivo - corporeo e quello della madre, richiede cura, tatto, timing, fiducia, capacità, tutte caratteristichead alto livello.

La Psicoanalisi, quindi, richiede la riflessione, l’elaborazione, l’interpretazione e la comprensione.

Appaiono palesemente incongrue le multiple questioni teoriche-tecniche che mettono in atto e utilizzano i terapeuti cognitivi che in uno o in due anni capiscono tutto e risolvono terapeuticamente la sofferenza psichica del paziente, sono molto più bravi di noi!

Sicuramente essi sono adatti alla rapidità che caratterizza il web.

Si pensi ad un paziente adulto con depressione narcisistica in quanto non riesce più a perseguire gli alti obiettivi che si è posto, inoltre è attanagliato da un SuperIo luciferino (v. Davide Lopez), che lo fa sentire maledettamente in colpa perché non è più fedele al suo rigido senso del dovere e sacrificio, e ripropone all’analista come un disco ininterrotto la cantilena: - tanto non cambierà alcunchè e neppure la sua psicanalisi può fare qualcosa: in fondo la vostra attività è un puro marketing della parola: nella terapia a  livello intrapsichico si deve incidere sia sull’Ideale grandioso, sia sul SuperIo ipertrofico che lo perseguitano.

Per quanto riguarda le relazioni oggettuali, poi, si deve incidere su rappresentazioni ciniche, aride dell’altro, percepito come sfruttatore, egoista, inaffidabile e traditore.

Secondo la Psicologia del Sé si deve incidere su un Sé narcisistico che difende il Sé vulnerabile nascosto, scisso e proiettato nell’altro con movimenti di attacco e svalutazione. La depressione narcisistica attuale, infatti, probabilmente nasconde “molto sotto” una depressione risalente all’infanzia per le intense carenze degli oggetti Sé.

Insintesi, il mestiere dell’analista è il lavoro di un artigiano che nella sua bottega con scalpello, tenacia, passione deve scolpire la struttura pre-esistente, e creare contemporaneamente nuove forme. Trasformare impronte malate di una struttura psichica adulta è un lavoro intenso, profondamente emotivo, e inevitabilmente mediamente lungo. Naturalmente non tutti i disagi psicologici adulti, ad esempio per situazioni traumatiche nel corso della vita in soggetti con un registro mentale sufficientemente sano, dove non è necessario andare a cambiare le impronte malate incise nella  struttura profonda di base (le cui radici risalgono alla vita affettiva pulsionale infantile), abbisognano di un intervento psicoanalitico intenso a tre sedute alla settimana, o a meno sedute (per motivi tecnici), ma comunque mediamente lungo. La tipologia e l’invasività della psicopatologia, le condizioni del contesto socio-economico-culturale, l’assetto famigliare, del soggetto morbosamente affetto, la possibilità di creare una alleanza terapeutica sufficiente,  giocano un ruolo fondamentale nello stabilire la necessità di un trattamento psicoanalitico.

La modalità di lavoro terapeutico specificatamente  psicoanalitica sovente non può stare nel tempo dell’istituzioni, assediate da problemi burocratici, amministrativi/economici, o dell’emergenza dell’acuta sintomatologia psichiatrica.

E allora che fare? Un tempo a Milano si trovavano Maestri di Psicoanalisi che erano riusciti a creare in reparto SPDC o in Padiglioni Psichiatrici Universitari il sistema per lavorare il più possibile in maniera analitica, ricorrendo all’aiuto di una farmacologia ben calibrata, secondo un’acuta osservazione fenomenologica della psicopatologia presente; ciò permetteva una proficua collaborazione tra questi poli psichiatrici universitari con le Scuole di PsicoterapiaPsicoanalitica al cui interno, spesso, sorgevano poliambulatori per la cura dei disturbi psichici gravi.Durante il trattamento psicoanalitico di un paziente psicotico (affetto da schizofrenia) è necessario poter fare affidamento su una rete di cura molto ben coordinata (psicoanalista,psichiatra, SPDC, Centro diurno, infermieri psichiatrici, educatori, ecc, ecc.).

Oggi in Lombardia, forse per la crisi sociopolitica attuale,  il livello si è molto appiattito, l’orientamento psicoanaliticosembra essere passato in secondo piano, e quindi questi contatti si sono molto ridotti o peggio completamente spenti. Di contro il ridurre, l’appiattire, il semplificare, il ricercare risposte più immediate, può servire  nella cura dei disturbi mentali?

Si potrebberoritenere utilissimi i tentativi, difficilissimi, di teorizzare e praticare trattamenti che, pur riferendosi a modelli psicodinamici, potrebbero però solo, dati i loro limiti temporali e tecnici, conseguire risultati parziali, da individuare  e definire chiaramente insieme al paziente rendendolo consapevole dei limiti di un lavoro a breve termine. Oppure, scelta che naturalmente prediligo, formulare degli accreditamenti tra strutture sanitarie e poliambulatori psicoanalitici presso gli Istituti di training psicoanalitico per la presa in carico di pazienti a medio, lungo trattamento con parcelle ridotte, grazie all’operato di specializzandi, mantenendo la tradizione psicoanalitica classica. 

Il ruolo  delle Associazioni Psicoanalitiche può essere determinante: si deve far comprendere, all’esterno dei nostri Istituti, che la complessità di un Disturbo psichico, quando ormai si è strutturato in profondità, necessita di un intervento sia di alta chirurgia (sapere tagliare, ricucire, a volte trapiantare, i tessuti psichici), sia di alta umanità (sapere contenere, sapere soffrire psichicamente, sapere amare, sapere odiare, essere incarnati in sé stessi perché si è conosciuta la propria carne, il timbro che ha), requisiti che si possono realizzare dopo un training altamente impegnativo (analisi personale a tre sedute alla settimana, supervisioni, formazione teorica durante il training, rapporto di formazione continua con il proprio Istituto di Psicoanalisi) e anni di pratica terapeutica. Qual è lo strumento per antonomasia per compiere questo mestiere di alta chirurgia e alta umanità? I transfert che l’analizzando sviluppa verso l’analista e che l’analista deve sapere cogliere, contenere e interpretare nel momento giusto, elaborando anche il senso ed i contenuti del proprio controtransfert.

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