Da alcuni mesi sto vedendo, ed è proprio il caso di impiegare questo verbo, un paziente, giovane adulto, due volte la settimana, lo sto vedendo via Skype. Prima ci incontravamo regolarmente in studio, sul lettino, in seguito ha vinto una borsa di studio per una capitale europea dove si è trasferito e vi rimarrà fino al prossimo settembre.
La domanda che pongo e che porgo ai lettori, in particolare a quanti hanno o hanno avuto questa per me del tutto inedita modalità di lavoro clinico, è la seguente: una psicoterapia di indirizzo analitico condotta tramite Skype è come ogni altra psicoterapia, per quanto riguarda la sostanza dell’ attività terapeutica, oppure presenta delle peculiarità negative o magari inaspettatamente positive?
La mia opinione è che tanto per il terapeuta quanto per il paziente in una terapia Skype emergano differenze negative, questo è indubbio, ma emergono anche e soprattutto tratti rilevanti e imprevisti di positività psicoanalitica.
Ma procediamo con ordine. Il primo punto da mettere in rilievo è che la terapia via Skype è per me e anche, ne sono certo, per il mio paziente, estremamente faticosa, estenuante - e non so se ciò dipenda dal fatto che questa è la mia prima esperienza, come lo è del resto naturalmente anche per il mio paziente.
La comunicazione via Skype ci mette uno di fronte all’altro, e questa frase va letta in senso strettamente letterale, in maniera inesorabile: non sussistono vie di fuga o strategie di rilassamento: non posso sbadigliare guardare altrove, fatico a dare un’occhiata all’orologio, il suo viso, il suo sguardo, i suoi occhi sono costantemente puntati su di me. E ovviamente questo vale anche per lui. Anche se lui può concedersi il lusso quanto mai rilassante di prepararsi con cartina e tabacco una sigaretta, che si fuma beatamente, questo almeno è il mio vissuto invidioso, anche se in verità non fumo da anni.
Tutto ciò è chiaramente sfiancante, tant’è vero che, quasi per un comune e tacito accordo, terminiamo la seduta dopo 35 al massimo 40 minuti. Nulla di confrontabile con una tipica terapia vis à vis. Qui, nella terapia Skype, l’essere uno di fronte all’altro ha qualcosa di assoluto, che non lascia requie.
Solo questa mia recente esperienza mi ha fatto capire a fondo quanto Freud affermava circa il suo bisogno di stendere i pazienti sul lettino: era insopportabile sentirsi guardato per ore e ore ogni giorno. Nel mio caso non si tratta di ore e ore, solo poco più di una mezz’ora, ma com Skype il guardare e il sentirsi guardato ha un carattere assoluto, sotto il profilo filosofico, ed estenuante dal punto di vista empirico.
Ma allora in che senso si può parlare, come ho fatto io stesso all’inizio di questo breve lavoro, di un’inaspettata peculiarità positiva di una terapia con Skype?
La risposta è al tempo stesso tanto semplice quanto ardua da comprendere per i colleghi che non abbiano sperimentato questo tipo virtuale di terapia.
A volte, di certo non sempre, ma sicuramente nei momenti drammatici della terapia, come in occasione di una delusione d’amore o di un grave conflitto tra i genitori, la vicinanza visiva, seppur virtuale, diviene in pieno una vicinanza affettiva, una reale e profonda condivisione di affetti. Questa vicinanza dischiude uno spazio psicoanalitico aperto a ogni possibile e favorevole sviluppo.