In occasione della giornata su Benedetti tenuta presso la sede della SPP ho rievocato alcuni tratti della personalità del professore e come egli interpretasse il ruolo di formatore. Si è trattato di un intervento orale all’interno di una discussione che coinvolgeva tutti i presenti. Alcuni colleghi che mancavano si sono detti dispiaciuti di non avermi ascoltato. Rispondo alle loro richieste con questo breve scritto riassuntivo.
Ho conosciuto Benedetti fin dalle sue prime venute a Milano e ho lavorato con lui fino alla fine. Prima veniva al centro di Psicoterapia e scienze umane del Galli, poi, quando ci siamo costituiti come gruppo e abbiamo aperto una nuova sede, ci ha seguito e ha continuato con noi quando abbiamo fondato la Scuola.
Ho lavorato con lui quindi per oltre vent’anni. Questo la dice lunga sul nostro rapporto, sulla fiducia fin quasi alla devozione che provavo per lui. Veniva una volta al mese, si faceva il gruppo di casistica e poi avevo una supervisione personale. Ho collaborato insieme ai colleghi e con lui al libro sulla terapia delle psicosi e ad un altro testo in tedesco, ho scritto un capitolo del testo che l’ASP gli ha dedicato, ho tenuto varie relazioni sulla sua figura di terapeuta e ricercatore (alla Casa della cultura, all’ABA ecc). Siamo andati insieme ai congressi di psicoterapia mondiale sulle psicosi, a Basilea, a Yale, a Torino, a Rio de Janeiro.
Credo che Benedetti mi desse molto credito, tranne forse quando lo portavo in macchina, cosa che accadeva abbastanza spesso, per via della mio stile di guida piuttosto arrembante. Sono sicuro d’altra parte di non averlo mai sentito fare della critiche a chicchessia. La terapia andava sempre bene, l’analista si era sempre mosso nella migliore delle maniere. Si vedeva chiaramente quando non era d’accordo, ma il dissenso si manifestava con delle proposte alternative, con dei consigli, mai in forme di svalutazione. In questo era diverso da Cremerius, l’altro nostro grande maestro che in vece non aveva proprio peli sulla lingua. L’ho sentito consigliare ad un collega di fare una seconda analisi e a un altro che forse era meglio cambiar mestiere. Benedetti invece era comunque rassicurante, si andava da lui con delle aspettative positive, quanto più si era in difficoltà con il paziente tanto più lui dava fiducia.
Ricordo un congresso a Basilea, quando mi sono trovato a sostenere una polemica con Racamier che non aveva gradito che io parlassi delle aree di morte che abitano lo psicotico. A suo parere invece il paziente era ben vivo e bisognava confrontarlo con la sua onnipotenza. Io ero proprio alle prime armi e, per giunta, parlo male il francese. Benedetti è subito intervenuto a difendere la mia posizione, e darmi l’aiuto di cui avevo bisogno.
Ho accennato prima a Cremerius e non è certo un caso. Erano i nostri due maestri e fra noi emergeva un continuo dibattito nel confronto fra le loro due posizioni. In effetti era difficile trovare due personaggi tanto diversi, fisicamente, caratterialmente, culturalmente. Cremerius l’analista delle nevrosi secondo i dettami della ortodossia, Benedetti il terapeuta delle psicosi, Cremerius l’uomo della tradizione, Benedetti della innovazione e della creatività; e ancora, Cremerius che intende il cambiamento in funzione della interpretazione, Benedetti come effetto della relazione. Si trattava di estremizzazioni, ovviamente, che ci servivano ad alimentare il dibattito che si svolgeva fra di noi. Tuttavia c’era del vero. Paolo Migone ci ha detto di una chiacchierata fatta anni e anni fa col professore a proposito delle differenze fra psicoterapia e psicoanalisi e del suo modo di intendere la psicoanalisi nei confronti dell’ermeneutica, un movimento che allora faceva discutere molto e Benedetti, messo alle strette, ammise di sentirsi più vicino alle posizioni ermeneutiche che a quelle freudiane ortodosse. Gli credo senz’altro. Benedetti non era per nulla interessato a questioni di carattere epistemologico. Nel corso di una discussione sull’approccio del professore a questioni di metodo Muraro mi rispondeva che, cito alla lettera, “Benedetti avrebbe curato anche un cavallo”. Ossia, di fronte alla sofferenza, avrebbe comunque trovato una risposta senza curarsi affatto di allinearla secondo un percorso teorico. Cremerius invece dedicava la massima attenzione alle questioni di metodo. Ritengo per inciso, che Migone sia l’autore italiano che più ha portato avanti, dibattuto e approfondito il confronto psicoanalisi psicoterapia, un tema, come ben sappiamo quanto mai attuale.
Un punto interessante del dialogo a distanza fra loro (che io sappia no si sono mai incontrati, eravamo noi che li mettevamo confronto) era il diverso modo di intendere l’istanza superegoica. Per Cremerius il superio era il nemico da analizzare e da battere. “Non c’è analisi senza l’analisi del superio”, mi diceva. Benedetti dava invece grande rilievo agli aspetti contenitivi e protettivi. Una volta in auto mi diceva che non avrebbe mai potuto fare una certa cosa perché il suo superio glielo proibiva. Obiettavo che si trattava di un superio severo; e lui rispondeva che forse era così, ma lo sentiva suo. Viene in mente San Agostino: mantieni le regole e le regole manterranno te.
Io ricordo con grande affetto Benedetti, soprattutto per la sua integrità ed affidabilità, al di là della sua straordinaria competenza. È rimasto nella mia mente come una presenza che mi è vicina nelle difficoltà del mio lavoro.