Questo lavoro è stato presentato come relazione al XVIII International Forum of Psychoanalysis 2014: Psychoanalysis, Trauma and Severe Mental Disorders, svoltosi a Kaunas (Lituania),
Trauma: sei lettere che mi rimandano ad un flusso di riflessioni, pensieri e associazioni rispetto alle innumerevoli situazioni che da sempre segnano il vivere quotidiano del mondo.
Evento traumatico o eventi traumatici di differente intensità emotiva, sofferenze che differiscono per gravità e drammaticità, stati emotivi che nel loro accadere incontreranno strutture di personalità già sufficientemente strutturate, in via di strutturazione fino a risalire a quelle fratture traumatiche poste all’incomincio della nostra esistenza.
Situazioni traumatiche che trasformeranno alfabeti emotivi già esistenti o in via di evoluzione lasciando impronte di sofferenze psichiche visibili ed invisibili.
Un ripetersi di traumi al quale il mondo appare abituato, un procedere esistenziale che sembra impossibile senza situazioni di sofferenze, come se l’uomo, inconsapevolmente, non potesse esistere totalmente separato dal dolore.
La sofferenza, dunque, come compagna di viaggio in grado di divenire quasi più indispensabile della stessa aria respirata; una rappresentazione di quanto paure subite e paure agite non siano che le due facce di quell’unica medaglia chiamata esistenza.
Una compagna di viaggio che può affacciarsi alla finestra della psiche proprio durante quei primari respiri sperimentati alla nascita, un clima relazionale affettivo che, se conflittuale o fortemente inadeguato, saprà determinare impronte di ferite traumatiche di intensità e gravità proporzionate alle conflittualità genitoriali.
Un Sé in evoluzione di fronte a fratture traumatiche emotivamente intolleranti potrà difendersi creando aree psichiche più o meno scisse dal nucleo primario del Sé; un processo che mette al riparo parte o parti del Sé che saranno come allontanate dalla situazione traumatica nel tentativo di mantenere una propria vita emotiva.
Sono qui, ma è come se parti di me non fossero qui.
È indubbio che risulterà uno psichismo profondamente compromesso e impossibilitato ad avere un funzionamento affettivo-emotivo integrato e coerente; la frequenza dell’esposizione traumatica unita alla sua gravità daranno indicazioni cliniche rispetto alla possibile riabilitazione affettiva di queste parti scisse. Mi piace immaginare la Psicoanalisi come una casa accogliente, spaziosa e libera di poter accogliere flussi di pensieri, fantasie e frammenti emotivi sfuocati e impalpabili che all’interno di una relazione analitica possano, nel tempo, prendere la loro forma primaria.
Frammenti emotivi legati a quelle antiche epoche che avviarono la tessitura della tela psichica, un incrocio di fili emotivi rappresentante il ricamo delle nostre esperienze, delle nostre emozioni, una trama e un ordito che attraverso l’oscillazione di partenze, arrivi e ritorni saprà anche come nascondere nodi e confusi intrecci.
Sarà lì, nei sotterranei della nostra straordinaria tela-psiche, che potremo rinvenire le trame e gli orditi della nostra esistenza, linee emotive che, alle volte, disegneranno nodosità e incoerenti intrecci scaturiti da eventi traumatici improvvisi o reiterati legati a relazioni affettive confuse, contraddittorie o gravemente traumatiche, pennellate di emozioni che sapranno creare possibili congelamenti affettivi di intensità e gravità differenti.
Parti congelate o raffreddate che, in alcune strutture psichiche, attraverso un lavoro terapeutico potranno lentamente dirigersi verso forme affettive maggiormente funzionali e integrate: un processo poco probabile qualora la presenza di situazioni traumatiche bloccanti e fortemente inibenti avrà saputo imprimere solchi profondi e importanti scissioni.
In ogni caso, sia le aree di terreno psichico affettivo più o meno congelato, sia le parti sufficientemente scisse potranno divenire luoghi di osservazione all’interno di una relazione analitica dove l’analista, usando bussole emotive, si lascerà accompagnare all’interno dello straordinario mappamondo psichico, al fine di conoscere e rispettare primariamente i dolorosi congelamenti o le fratture strutturali.
Difese faticosamente create dalla psiche, fatiche affettive che parlano di angosce e aggressività che dovranno essere avvicinate con tempi ed intensità relazionali che la mente del paziente ci saprà indicare attraverso un’attenta ed emotiva osservazione da parte dell’analista: uno smistamento psichico, in qualche modo, speranzoso di sperimentare possibili e future integrazioni affettive volte ad un funzionamento psichico affettivo maggiormente sintonico.
Uno smistamento emotivo che potrà presentarsi anche attraverso innumerevoli sintomatologie che come tali andrebbero osservate non come bubboni scissi o poco integrati da estirpare con ogni mezzo e nel tempo più rapido, ma come porzioni di preziose comunicazioni psichiche affettive, frammenti di un Sé che è stato capace di catturare sofferenze relazionali rappresentandole attraverso l’aiuto del corpo/mente. Sintomatologie, quindi, come parti di un Sé azzoppato da esterni inciampi relazionali subiti, distorsioni di risacche costituite da rabbie, paure più o meno traumatiche rimaste incastrate e imbavagliate nella gola profonda della psiche, una preziosa reattività che ha saputo chiedere aiuto anche ad un corpo divenuto veicolo di tale emotività: un’affettività ferita che per non morire si è fatta sintomo nella speranza di una decodificazione relazionale capace di riconoscere la primaria sanità, forzatamente distorta.
I sintomi come parti proprie da riconoscere, rispettare, accogliere, osservare e significare nel tentativo di avviare un profondo dialogo emotivo con legami affettivi rimasti carenti, confusi e ambivalenti all’interno di relazioni primarie antiche: incoerenze affettive divenute scorie psichiche.
Ecco, dunque, l’importanza di uno sguardo analitico che non si ponga ad investigare esclusivamente gravità strutturali, ma sappia osservare le possibilità emotive di una mente sofferente, accogliendo sofferenza e disagio come importanti capacità psichiche comunicative e trasformative: la possibilità di tollerare una crisi, ricordava Winnicot, è una tra le fondamentale capacità della psiche.
I sintomi, quindi, come fonti di importanti comunicazioni affettive che, decodificate, sapranno indicare le sottostanti capacità strutturali e difensive al fine di ridisegnare le primarie coordinate affettive evolutive di quella struttura psichica.
Coordinate relazionali affettive di comunicazioni distorte che attraverso una loro significazione otterranno, finalmente, il diritto di appartenere a pieno titolo alla struttura psichica di base: unica possibilità psichica di far ri-vivere frammenti feriti di un Sé, destinati a ben peggiori scissioni.
Una rêverie analitica capace di accogliere eventuali terrori senza nome o inciampi minori, bussole analitiche affettive unite a fondamentali conoscenze teoriche che creeranno un connubio terapeutico capace di pensare che ogni possibile scongelamento di porzioni psichiche criptate risulterà lento e secondario rispetto al primario e indispensabile rispettoso riconoscimento della sofferenza.
Sperimentare emotivamente il proprio viaggio psichico dantesco significa aver emotivamente sperimentato quanto la possibile trasformazione di eventuali aspetti sintomatici affettivi, responsabili di sofferenza, sia secondaria rispetto alla primaria opportunità affettiva di essersi sentiti accolti e riconosciuti all’interno di quell’unica relazione analitica.
Uno spazio relazionale terapeutico all’interno del quale un ipotetico Virgilio sia stato capace di farsi prendere per mano addentrandosi insieme a noi all’interno della nostra selva oscura, un Virgilio primariamente interessato ad osservare i possibili movimenti di dipendenza o contro dipendenza scaturiti all’interno della relazione terapeutica, i soli capaci di delineare le profondità ferite.
È fondamentale conoscere i mappali delle foreste psichiche, ma lasciarsi accompagnare all’interno di esse può decretare la differenza tra conoscere e sentire, tra fare ed essere.
Ogni viaggio analitico è caratterizzato da rotte navigate all’interno di quell’unica relazione analitica che sa come creare burrascose tempeste emotive e forzati ormeggi in luoghi complicati, scomodi e sconosciuti; esperienze che, alle volte, sapranno come ri-direzionare la mente verso nuove possibilità di navigazione.
Ogni situazione traumatica porta con se tracce di quel la e allora, un tempo che è stato testimone della situazione traumatica, esperienze psichiche che diventeranno nuovi inquilini, più o meno scomodi, che chiederanno costantemente alla mente una possibile integrazione psichica.
Trauma o eventi traumatici reiterati non sono da me pensati come nomenclature cliniche, piuttosto come nomi e cognomi divenuti vittime di essi; strutture psichiche calate nel complicato compito di affiancamento costante tra una situazione pre-traumatica ed una situazione post-traumatica, una coazione a ripetere ipoteticamente funzionale ad un’elaborazione psichica diretta verso nuove possibilità di sentire.
La storia dei popoli è un crogiuolo infinito di eventi traumatici singoli o reiterati nel tempo, eventi non determinati dall’uomo che si affiancano ad eventi creati dall’uomo stesso; malattie, incidenti, catastrofi ambientali, ferite fisiche, psichiche e sessuali inflitte dall’uomo ai danni dei propri simili.
Movimenti emotivi diretti non solo verso una sopravvivenza affettiva, ma verso nuove modalità esistenziali caratterizzate dall’integrazione tra aree emotive pre-traumatiche conosciute ed aree emotive lentamente affiorate all’interno di un tempo post-traumatico.
Senza voler santificare alcun evento traumatico o sottoscrivere note di speranza nei confronti di accadimenti traumatici funzionali a scongelare frammenti creativi, vorrei sottolineare quanto il nostro straordinario mestiere sia, in qualche modo, sempre alle prese con gli abissi psichici e con i suoi straordinari movimenti, alle volte, imprevedibili; scrigni preziosi affettivi che, parafrasando Freud, mai daranno la possibilità di sentirsi totalmente padroni all’interno della propria casa psichica.
Ferite e sofferenze affettive traumatiche che potranno ri-disegnare nuovi tracciati emotivi e spinte affettive all’interno di uno psichismo piegato all’impotenza, uno scontro tra Titani onnipotenti ed impotenti che alle volte saprà creare alleanze nuove caratterizzate da quella luminosità affettiva primaria, rimasta oscurata.
Quando una condizione traumatica o reiterati eventi traumatici siano l’accadimento primario portato all’interno della relazione analitica mi sento di usare il semplice esempio del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, dove vuoto e pieno, rintracciabili all’interno delle comunicazioni terapeutiche, diventeranno fondamentali indicatori rispetto alle eventuali capacità psichiche strutturali.
Ho scelto di usare tale esempio non solo per osservare lo spazio vuoto/pieno contenuto dal bicchiere, quanto piuttosto il contenitore-bicchiere.
Il paziente quanto sarà in grado di sentire il proprio contenitore-bicchiere-psichico solido e capace di contenere eventuali vuoti e pieni?
Quanto la persona si potrà avvicinare al proprio vuoto o in altro modo chiamato, pieno confuso, senza che tale realtà diventi totalità psichica risultando faticoso riconoscere e usare possibilità reattive altre, se esistenti?
Quanto l’individuo saprà tollerare l’attesa di una trasformazione di parti piene-vuote che, avendo sperimentato una frattura emotiva, difficilmente potranno continuare a funzionare come se tali eventi non fossero accaduti?
Insomma un prima che incontrando un dopo traumatico segnerà coazioni quotidiane segnate da quel nuovo tatuaggio psichico non scelto, non desiderato, ma impresso per sempre: una continua elaborazione psichica impensabile senza la presenza di un contenitore psichico sufficientemente solido nel sentire e in grado di accogliere, delimitare, discriminare, contenere cambiamenti, separazioni, perdite.
Un camminare che diventa immobilità fisica, un guardare che diviene cecità, un abuso fisico che traccerà sul corpo e sulla mente impronte indelebili, reiterate e violente; mortificazioni e sottomissioni emotive che sapranno come trasformare un’esistenza umana in una presenza, alle volte, dis-umana.
Questi alcuni prima-dopo determinati da svariate situazioni traumatiche.
Un prima e un dopo allo specchio, un incontro obbligato tra due temporalità che sapranno come mettere in ginocchio la persona che subisce l’evento traumatico, un prima e un dopo che tracciano una linea che andrà a rappresentare uno spartiacque nella vita di coloro che, impotentemente, si ritroveranno ad abitarlo; una frattura emotiva dolorosa che potrà essere trasformata in nuova linea di partenza per nuove spinte vitali e creative.
Un traghettamento emotivo funzionale ad una sopravvivenza emotiva, un attraversamento la cui durata e modalità saranno strettamente legate alle potenzialità strutturali psichiche della persona, vittima del trauma.
Un’impotenza attuale che potrà richiamare primarie impotenze sperimentate senza consapevolezza alcuna, stati emotivi informi racchiusi all’interno del nostro psichismo, un dipendere emotivo iniziale confuso, informe e indecifrabile che verrà sollecitato da nuove trame di forzata dipendenza dalla situazione traumatica ben decifrabili e reali, responsabili di possibili vortici di empasse.
La situazione traumatica sarà legata ad aspetti che potremmo riassumere in una specie di elenco.
Come si è verificato l’evento o gli eventi traumatici, dove si sono verificati, quando si sono verificati, quale l’intensità e durata del loro presentarsi o reiterarsi, quale la natura dell’evento o degli eventi ripetuti, chi o cosa hanno determinato tale frattura o ripetute fratture?
Impronte emotive esterne che da quel preciso momento si confronteranno costantemente con impronte già preesistenti, un costante confronto tra chi si era, chi si sente di essere diventati e chi si diventerà, un percorso doloroso, ma obbligato se direzionato verso una possibile elaborazione emotiva di quel prima, quel durante e quel dopo trauma.
Possiamo pensarla come una strada sulla quale la situazione traumatica si è ferocemente immessa, usurpando e impossessandosi di un passato e di un presente sapendo creare o incentivare possibili pensieri ed emozioni caratterizzati da movimenti persecutori e depressivi che potranno colorare di inquietudine anche l’ipotetico futuro: spinte mortifere che, se usabili, potranno trasformarsi in spinte vitali all’interno di quel nuovo presente direzionato verso un nuovo futuro.
Un processo di scongelamento emotivo sollecitato dalla situazione traumatica, un processo di trasformazione emotiva che dovrà tollerare periodi più o meno lunghi di attese reali ed emotive, unite a innumerevoli e dolorose frustrazioni affettive.
Ogni situazione traumatica saprà come determinare sentimenti di ingiustizia emotiva tanto più faticosi da tollerare quanto maggiori saranno i preesistenti vissuti di tradimenti affettivi sperimentati nel corso di antiche età.
Sarà l’intensità di quell’essere stati emotivamente traditi nel diritto emotivo e vitale della propria antica dipendenza che indicherà affettivamente la possibilità di tollerare nuove traumatiche ingiustizie subite.
Avere la possibilità di sentire il dolore determinato dalla frattura traumatica significa essere in grado di affrontare la separazione emotiva tra quel prima e quel dopo evento traumatico riuscendo a soggiornare all’interno di quello spazio traumatico di separatezza, di perdita; un luogo dove il dolore saprà come scomodare sofferenze e fantasie di sofferenze antiche.
Sarà un processo emotivo che oscillerà all’interno di un continuo aggiustamento affettivo di parti di se scaraventate ora al prima del trauma, ora al trauma, ora al dopo trauma, una costante oscillazione dolorosa dove rabbie, impotenze, onnipotenze e paure si confronteranno nelle loro intensità e dove l’esperienza della perdita metterà a dura prova frammenti di quotidianità.
Un incontro-scontro di possibili sofferenze antiche e attuali, un luogo di perdita psichico all’interno del quale ombre e luminosità di un passato e di un presente cercheranno un continuo aggiustamento volto a creare un’attuale emotiva luminosità psichica separata e proiettata verso un futuro che, forse, potrà timidamente ricomparire.
È in questa nuova sofferenza che, alle volte, il privilegiato vertice analitico potrà assistere a movimenti psichici ambivalenti messi in atto dalla vittima del trauma; da una parte potremo sentirci costantemente trascinati verso il trauma subito e le forme di sofferenze sperimentate dal paziente, dall’altra sentirci sbalzati ad osservare probabili spinte vitali relazionali che il paziente timidamente e, alle volte, inconsapevolmente si ritrova a sperimentare e descrivere.
Una specie di spaccatura all’interno delle difese psichiche, due eserciti di difese l’uno di fronte all’altro, un esercito tendenzialmente immobile e fisso all’interno di quella difensiva coazione a ripetere traumatica, l’altro avviato e incuriosito dal delinearsi di nuove possibilità emotive di un sentire trasformativo e integrante preesistenti ombre in probabili parti di persona.
Quando la mente dell’essere umano subisce la perdita totale o quasi totale di quell’equilibrato controllo fondamentale e faticosamente conquistato per la propria esistenza, quando la totale impotenza psichica e fisica diventano reali realtà, quando nessuna strumentazione in dotazione può modificare un presente traumatico, ingiusto e abusante, allora può accadere che il solo strumento di sopravvivenza si possa dirigere verso la ricerca di nuove forme di esistenza all’interno di un completo o quasi ribaltamento del proprio sentire, che andrà ad affiancare un pensiero e una realtà arricchiti dal nuovo sentire.
Ci sono situazioni traumatiche dove il confronto con aspetti mortiferi è costante, situazioni traumatiche estreme come quelle rappresentate nello straordinario film di Roberto Benigni “La vita è bella”, dove al di là dell’eccesso cinematografico, vengono rappresentati l’estremo ed eccessivo ribaltamento della realtà in assoluta finzione, forse unica sopravvivenza psichica all’interno di una situazione inimmaginabile da tollerare.
Un capovolgimento più o meno consapevole che, in qualche modo, agisce verso l’illusoria possibilità di non soccombere di fronte a violenti abusi e angosce reiterati, una sorta di ricercata sopravvivenza psichica consequenziale alla consapevolezza di essere stati scelti come vittime da soldati tanto precisi quanto violenti.
Soldati esterni che sapranno come risvegliare possibili soldati interni capaci di trasformare per sempre l’esistenza di una persona deviando il corso della propria vita: malattie, catastrofi naturali, violente ingiustizie, incidenti invalidanti, relazioni primarie sufficientemente violente e abusanti saranno alcuni tra gli esperti soldati.
Alle volte dunque, la sopravvivenza psichica risulterà possibile in presenza di strumentazioni psichiche che, seppur drammaticamente abusate, potranno creare continui aggiustamenti tra realtà interna ed esterna usando veri e propri stravolgimenti, capovolgimenti tra il vero e il falso che si potranno ritrovare all’interno di costanti duelli dove, alle volte, l’affaticamento emotivo potrà risultare il solo ed unico salvagente funzionale a creare movimenti vitali nuovi.
Uno stravolgimento psichico che sarà tanto più consapevole e affrontabile quanto maggiori saranno le strumentazioni psichiche in possesso alla persona, come se si venisse a creare un luogo immaginario simile ai giochi inventati dai bambini, una zona franca affettiva funzionale a tollerare e affrontare la conflittualità di un quotidiano traumaticamente trasformato.