Pratica Psicoterapeutica

Il Mestiere dell'Analista
Rivista semestrale di clinica psicoanalitica e psicoterapia

NUMERO 8
1 - 2013 mese di Giugno
CLINICA
AMAE NELLA CLINICA
di Roberto Carnevali

Questo lavoro, in particolare nei riferimenti al narcisismo, ha dato luogo a una revisione critica da parte dell’autore, contenuta inPostilla a ‘Narcisismo sano?’ e ad ‘Amae nella clinica’”, Pratica Psicoterapeutica n. 11 - 2/2014, dove viene ripreso il caso di Bruna con un'estensione della chiave di lettura qui proposta. Col consenso della paziente è stato tolto il lucchetto allo scritto che segue per permettere a un pubblico più ampio di seguire il percorso.


Negli ultimi anni il concetto di Amae e i suoi risvolti applicativi in campo clinico sono stati al centro delle mie riflessioni, e posso affermare senza enfasi che il mio modo di lavorare è improntato a quest’idea, da cui si può sviluppare una prospettiva psicoanalitica relazionale e interpersonale incentrata sul “noi” e sulla condivisione intesi come fondamenti di un processo di consapevolezza di sé e delle proprie risorse.

Riprenderò altrove quest’idea sul piano della teoria della clinica. Qui voglio solo offrire un frammento di terapia analitica nel quale descrivo Amae “in azione”, come frutto di un lavoro di alcuni anni che riapre nella storia della paziente in questione un discorso apparentemente stagnante.

 

La paziente, che chiamerò Bruna, sta attraversando un momento particolarmente difficile della sua vita. Aveva concluso la terapia un po’ di anni fa, ma poi è tornata quando ha scoperto che il marito la tradiva. L’ha perdonato e ha cercato di riprovarci, malgrado lui avesse mantenuto un atteggiamento di negazione di alcune evidenze, con una modalità a volte anche molto arrogante che sconcertava, fino a scoprire definitivamente che la sua relazione con l’altra donna non si era mai interrotta e lasciarlo definitivamente, letteralmente “buttandolo” fuori casa (la casa è di proprietà di lei, ed è quella in cui già abitava prima del matrimonio, durato comunque più di dieci anni).

Da quel momento (sono passati due anni) Bruna è caduta in una depressione profonda, che non le impedisce di lavorare e di mantenere alcune aree affettive ricche e articolate (ha delle solide amicizie, ha recuperato il rapporto con sua madre, problematico per tutta la vita, accompagnandola fino alla morte, avvenuta qualche mese fa, in una situazione di armonia mai sperimentata in tutti gli anni passati) ma che le ha reso totalmente inconcepibile una progettualità rispetto a sé stessa come donna. Ha passato la cinquantina, e questa era la sua seconda esperienza matrimoniale, sulla quale aveva investito moltissimo per recuperare un’immagine di sé che si era totalmente deteriorata col fallimento del primo matrimonio.  È stato in occasione di tale evento che aveva chiesto di iniziare una terapia analitica, e uno dei fondamenti del senso di inadeguatezza che la accompagna da tutta la vita è sempre stato il fatto di non poter avere figli a causa della forma del suo utero. Col secondo marito ha provato per anni la fecondazione artificiale ma senza risultati, e il sopraggiungere della menopausa ha placato le sue velleità migliorando seppure di poco, il suo vissuto nei confronti di questo aspetto della sua vita. La sua “maternalità” è un elemento che ha chiaramente rivestito un ruolo di centralità nel corso della terapia, e in vario modo abbiamo affrontato le molte declinazioni di questa sua dimensione di vita. Negli ultimi tempi, come s’è detto, ha recuperato il rapporto con la madre seppellendo antichi rancori e sapendola circondare di affetto fino alla fine della sua vita, e da qualche anno si prende cura di una signora ultraottantenne accudendola con grande e sincero affetto. È poi capace, fatto questo veramente raro, di affiancarsi a coppie di amici senza interferire con la loro vita a due, sapendo instaurare anche con gli uomini della coppia rapporti di sincera amicizia che non innescano gelosie o rivalità con le mogli. E Bruna è una donna affascinante e di aspetto molto gradevole. Infine ha dei nipoti e figli delle coppie di amici per i quali sa essere una “zia” speciale, che non invade spazi altrui e al tempo stesso sa instaurare rapporti personalizzati con specificità riconosciute, in un caldo clima affettivo. Il solo spazio in cui Bruna è totalmente inefficace e compie azioni insensate improntate a compensazione, rivendicatività, richiesta di conferme, ripicche, ecc... è la sfera relativa al suo rapporto di coppia; quello con l’ormai ex marito dentro di lei non solo non è finito, ma impronta la maggior parte del suo tempo e dei suoi pensieri, con recriminazioni, dubbi e angosce. Tutte le situazioni affettivamente positive precedentemente descritte accadono quasi da sé, senza che Bruna faccia alcuno sforzo per risultare gradevole e adeguata al ruolo che riveste, e forse proprio per questo le cose filano lisce. Nel momento in cui invece cerca di ottenere qualcosa sul piano affettivo, elaborando una strategia, cade in situazioni di profonda frustrazione, perché ottiene solo delusioni. E questo massimamente accadeva nei rapporti col marito, che era di suo un donnaiolo arrogante (e più volte le ho offerto come interpretazione l’idea che l’avesse scelto proprio per questo) ma che non solo lei non ha fatto nulla per correggere, ma ha anzi rinforzato nel suo modo di essere mettendo in atto tattiche controproducenti, rispetto alle quali ogni tentativo di capirne il senso non faceva che perpetuarne l’attuazione.

 

Per anni Bruna è andata avanti così, sviluppando un senso del “noi” e una capacità di dare per la gioia di farlo in tutti i rapporti della vita quotidiana tranne che in quello che per lei era il più importante, quello col marito, dal quale si aspettava tutte le conferme che sfatassero il suo senso di inadeguatezza e dal quale al contrario non otteneva che frustrazioni, fino all’inevitabile epilogo della separazione. Dicendo che aveva scelto il marito proprio perché si capiva fin da subito che era un donnaiolo arrogante, intendo il fatto che per Bruna ci voleva un uomo che avesse in partenza delle caratteristiche opposte a quelle dell’uomo che in teoria lei avrebbe voluto; trasformando uno così in un marito fedele che stesse con lei tutta la vita avrebbe riportato una vittoria strepitosa, ribaltando i miti negativi su di sé, a partire dalla sterilità, mentre con un uomo che fin da subito l’avesse amata e non avesse cercato l’amore di altre donne non ci sarebbe stata soddisfazione!

 

Credo di aver contribuito non poco allo svilupparsi del suo senso del “noi” e della sua capacità di dare per la gioia di farlo, ed è proprio qui che apro il discorso su Amae. Sicuramente sua madre è stata tutt’altro che una mamma biofila, e la sua prevalente necrofilia si è espressa in una forma diversa dall’iperprotettività[1]; Bruna è stata una bambina che doveva arrangiarsi, crescere in fretta e guardarsi dagli uomini, visti tutti come potenziali sfruttatori, o come inetti appoggiati a donne forti che dovevano scrollarseli di dosso (questa è l’immagine del padre, morto quarantenne in un incidente con sospetto di suicidio, trasmessa a Bruna dalla madre). Nei primi tempi della sua lunga terapia, tutto il lavoro era teso ad elaborare la sua invidia distruttiva, che, nel tentativo di offrire un’immagine di sé sopra le righe rispetto a come in realtà si percepiva, raggiungeva immancabilmente l’effetto opposto, con un profondo senso di frustrazione che la rendeva ancor più tenace nel cercare nuove occasioni di rivalsa. In parallelo, però, si instaurava fra di noi un rapporto di reciproca fiducia che ci ha accompagnato in tutti questi anni. Sottolineo l’elemento della reciprocità perché ritengo che un fattore fondamentale di cambiamento sia stato proprio il reale senso di fiducia nelle sue risorse che ho sempre avuto, ritenendo che le sue strategie perdenti fossero insensate perché bastava che desse qualcosa di sé senza remore per avere un ritorno affettivo positivo, mentre dalle sue “furberie” accattivanti non poteva aspettarsi altro che frustrazioni. Non ho pensato alla sua situazione in termini di “autostima” o di “narcisismo sano” o “positivo”, ma al contrario ho cercato di aiutarla a vedere le situazioni nelle quali un suo dare senza aspettarsi nulla in cambio risultava efficace nel costruire relazioni vere dove non c’era alcun bisogno di simulare caratteristiche fasulle. Gli ultimi anni di sua madre hanno visto in lei un ribaltamento di prospettiva, e se all’inizio del suo decadimento aveva cominciato ad imperversare su di lei con l’atteggiamento della figlia preoccupata che le impedisce tutte le cose buone “per il suo bene”, l’ha poi invece accudita con amore vedendola spegnersi con un senso di gratitudine nei suoi confronti, per quegli ultimi momenti di vita vissuti pienamente e in armonia[2]. E in parallelo ha coltivato quei rapporti nei quali non aveva bisogno di simulare nulla perché fondati su una reale conoscenza e apprezzamento di qualità personali che non aveva bisogno di esibire o ingigantire perché erano lì, visibili a chi sapeva vederle.

Una volta accadde un episodio curioso: dopo qualche anno che a Natale mi regalava una bottiglia di whisky, si mise a raccontare in una seduta di come sua suocera le facesse sempre dei regali inadeguati, non cercando in alcun modo di capire che cosa potesse esserle gradito. Quando aggiunse che invece lei era particolarmente attenta a cercare di capire i gusti delle persone a cui faceva regali, riuscendo sempre a cogliere nel segno, non potei trattenermi dal dirle che per anni aveva regalato una bottiglia di whisky a un astemio quale io sono. La seduta finì con una risata, e da lì in poi Bruna mi fa sempre dei regali azzeccatissimi, avendo indovinato per esempio che adoro il marzapane, e portandomene sempre un vassoio quando va a trovare i parenti in Calabria.

 

L’episodio di cui voglio parlare è accaduto recentemente. Stavo arrivando in studio in automobile, e non riuscivo a trovare parcheggio, evento veramente raro perché nella mia zona ci sono gli spazi per residenti dove posso parcheggiare, ma che quella volta erano già tutti occupati. Chiamo allora sul telefonino la paziente che ha il primo appuntamento, ma mi confondo e, visto che fino a qualche settimana prima a quell’ora c’era Bruna, chiamo lei, che mi risponde dicendomi che per l’appunto da qualche settimana lei è all’ora successiva. Mi scuso e chiamo l’altra paziente, che mi aspetta dieci minuti, finché non trovo parcheggio. Penso di sfuggita che avrei potuto dire a Bruna di venire dieci minuti dopo, per permettere alla paziente prima di lei di fare intera la sua seduta, avendo poi io il tempo di recuperare anche con lei i minuti di ritardo, non essendoci altri pazienti dopo Bruna. Però non l’ho fatto.

Alla fine della seduta prima di Bruna mi attardo un po’ non sentendo suonare il citofono, e arrivo a recuperare interamente i minuti di ritardo. Nel frattempo capisco, e dico alla paziente che sta uscendo (collegando, con suo stupore, questa cosa a un evento relativo a lei nel rapporto con suo figlio e col suo ambiente di lavoro) che sono certo che la paziente dopo di lei, a cui per errore avevo telefonato e che dunque sapeva che ero in ritardo, è giù ad aspettare che lei esca, per lasciarle fare la sua seduta per intero, non essendo neanche certa di poter recuperare la sua parte di seduta persa.

Quando Bruna entra glielo dico (e lei con un risolino, ma ne ero certo, mi conferma che è andata proprio così), e da qui ripartiamo finalmente per un discorso progettuale su lei e la sua vita. Si tratta di introdurre la meravigliosa caratteristica che ha di intuire i bisogni degli altri e spontaneamente coadiuvare la loro soddisfazione, senza aspettarsi niente in cambio, nei suoi rapporti non solo con gli amici, i giovani e gli anziani, ma anche con l’uomo della sua vita, che sicuramente ci sarà da qualche parte se va a cercarlo con quest’animo. Vi assicuro che qualcosa sta succedendo. Bruna può partire da ciò che sa di avere dentro di sé, senza bisogno di sforzi, simulazioni o furberie, e senza la paura di un possibile “sfruttamento” da parte di qualcuno, visto che può dare senza pretendere nulla.

Ecco Amae in azione.



[1] Per i collegamenti del concetto di Amae con la mamma biofila o necrofila e del concetto di mamma necrofila con quella iperprotettiva v. Carnevali R., “Amae nel binomio necrofilia-biofilia. Un parallelismo tra il pensiero di Takeo Doi e quello di Erich Fromm”, in Pratica Psicoterapeutica n. 7 (2-2012)

[2] Sul tema della rinuncia alla vendetta come fattore trasformativo v. Carnevali R.,“Appendice III – La rinuncia alla vendetta e l’uscita dalla torre: una rilettura del mito di Edipo in chiave relazionale” in L’immaginario e il diavolo – Prospettiva relazionale e setting gruppale in psicoanalisi, FrancoAngeli, Milano, 2003, nuova edizione e-book: Arpanet 2012.


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