Ho aspettato che le vicende politiche giungessero a compimento (pur nella dimensione continuamente in divenire che ha caratterizzato questo momento della nostra repubblica, che rende comunque impropria l’attribuzione di “compimento” a qualunque passaggio avvenuto) per riscrivere questo lavoro, alla luce dei cambiamenti sopravvenuti dopo la prima stesura, che mi hanno portato a modificare in maniera sostanziale il mio punto di vista, anche rispetto alla metafora psicoanalitica proposta nel numero scorso e qui ripresa.
Per dovere di cronaca, e per porre una base di partenza al mio discorso, riporto per intero la prima stesura, proponendo poi le considerazioni che i fatti successivi hanno sollecitato dentro di me.
Ritengo doveroso, oltre che utile e stimolante, riprendere il discorso che ho proposto su questa rivista all’insediamento di Monti alla presidenza del consiglio dei ministri. Allora paragonavo l’Italia a una paziente sul lettino a cui l’analista-presidente proponeva un’analisi particolarmente faticosa e piena di aspetti dolorosi da sopportare, ma ritenevo che se la paziente fosse stata fiduciosa nelle capacità dell’analista e nelle proprie risorse e si fosse sobbarcata l’onere del dolore necessario alla trasformazione, si sarebbe realizzato, nei necessari tempi lunghi caratteristici dell’analisi, il progetto di rinascita del nostro paese. Non è andata così, e potrei liquidare il discorrso in poche righe dicendo che la paziente Italia non ha avuto pazienza, ha cercato una terapia breve che le desse risultati tangibili a breve termine, con un’immediata remissione di qualche sintomo vistoso e fastidioso e, trovando un terapeuta comportamentista e millantatore di nome Silvio e un cognitivista non particolarmente brillante di nome Pierluigi che comunque riteneva che l’analisi fosse andata troppo per le lunghe, si è confusa, e si è dispersa in tanti rivoli, compreso quello di una protesta assoluta che pensa bionianamente al cambiamento solo in termini catastrofici (il bioniano naturalmente si chiama Beppe).
C’è sicuramente qualcosa di vero in una lettura di questo genere, ma non basta, anzi, forse semplificando le cose in questo modo si arriva proprio alla confusione nella quale ci troviamo, in cui anche persone autorevoli fanno affermazioni che smentiscono il giorno dopo, alimentando una situazione di stallo che dà modo ai millantatori di ergersi a salvatori della patria (dopo aver provato tutte le terapie accreditate, molti vanno dal mago, dal guaritore o dall’esorcista, che si muovono in un terreno dove non c’è niente da dimostrare e si può affermare con sicurezza qualunque cosa).
Cercando di leggere nella complessità, voglio proporre allora qualche riflessione a partire dalla risposta che Monti ha dato sul Corriere della Sera a un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, che lo aveva criticato da ogni punto di vista rispetto alla sua “salita” in politica, descritta come un fallimento su tutta la linea, tranne che per il fatto di non essersi apertamente schierato contro gli elettori di destra, cosa che secondo l’editorialista ha portato a Monti qualche voto in più. Per il resto le azioni di Monti vengono giudicate inefficaci e controproducenti, e il risultato elettorale della lista Scelta Civica viene considerato un fiasco su tutta la linea.
La risposta di Monti è sconcertante, soprattutto se letta nella chiave che avevo proposto a suo tempo di un presidente del consiglio che come un terapeuta si prende cura di un’Italia malata chiedendole di accettare di soffrire in vista di un obiettivo a lungo termine di rinascita. Quando ha deciso di costituire la lista Scelta Civica, Monti ha detto di non essere "sceso" in politica, ma "salito", perché la politica è una cosa elevata, e durante la campagna elettorale ha detto che si sentiva uno statista e non un politico, perché, e qui ha citato Alcide De Gasperi, il politico pensa all'esito delle prossime elezioni, mentre lo statista pensa al futuro della nazione; dopo le elezioni si è messo a ragionare come uno che è "sceso" in politica per avere un po' di voti e non ammette di aver fallito l'obiettivo che si era prefisso; se aveva in mente il bene della nazione e riteneva di essere la persona giusta per salvarla non può essere abbastanza soddisfatto di come è andata; questo è ciò che mi ha sconcertato, la perdita di vista dell’obiettivo elevato che Monti aveva chiaramente dentro di sé, e che invece si è liquefatto entrando nel clima della politica con le sue logiche aberranti.
Quando si costituisce un’alleanza terapeutica è fondamentale che ci sia uno spazio di intesa che consenta il costituirsi di quel clima di fiducia di cui altrove ho diffusamente parlato. Il paziente che si trova in una condizione di sofferenza a causa dei movimenti trasformativi che avvengono nella sua analisi, può accettarli se confida nel fatto che questi momenti sono necessari e transitori per il raggiungimento di un obiettivo di conoscenza che, seppure in tempi lunghi, porterà a una condizione di maggior benessere. Sono ancora convinto che Monti sia salito in politica perché riteneva di essere colui che meglio di altri avrebbe potuto portare gli italiani al conseguimento di questo benessere, e non voleva lasciare la conduzione del percorso ad altri che magari avrebbero travisato i suoi intenti, o avrebbero ceduto alle lusinghe del populismo cercando facili scorciatoie. Gli ho dunque dato il mio voto, sperando che molti altri lo facessero, perché continuasse sul suo percorso.
Ma è andata male, e il percorso di Monti avrebbe dovuto finire lì. Non potendo tenere in mano le redini del cavallo, doveva scendere di sella e partecipare al prossimo governo (se mai ci sarà!) nella sua veste di senatore a vita, magari accettando una carica istituzionale se qualcuno gliela avesse proposta, ma desistendo dall’idea di condurre in prima persona l’Italia da qualche parte. Credo che l’intento di Galli Della Loggia col suo editoriale fosse sottolineare come Monti avesse gettato via l’occasione di rimanere in sella a condurre la nazione, leggendo i risultati della lista Scelta Civica in modo spietato, come era giusto che fosse, e Monti ha invece risposto difendendosi, cercando delle attenuanti, dicendo che in fondo la sua formazione aveva avuto poco tempo e che un 9-10% in quelle condizioni non era niente male.
Ho trovato molto più dignitosa e sensata la reazione di Renzi all’esito delle primarie. Non ho vinto e dunque ho perso; mi ritiro e torno a fare quello che facevo; se avete bisogno di me, ditemi in che termini, e se mi va bene ci sto, per un’altra avventura; quella è finita.
Tornando alla metafora terapeutica, credo che a ciascuno di noi sia capitato di avere l’impressione di capire aspetti fondamentali del mondo interno di un paziente, e di offrirgli riflessioni ritenute pertinenti e potenzialmente portatrici di chiarificazione, per arrivare a un certo punto ad accorgersi che il paziente, magari proprio perché troppo colpito dagli elementi di sé che è venuto a scoprire, chiede un aiuto farmacologico senza consultarci, o decide di non venire più e magari si rivolge a un terapeuta cognitivo-comportamentale che gli garantisce che in un anno avrà risolto i suoi problemi. Questo è quello che ha fatto l’Italia, dicendo all’analista Monti che il suo lettino era un letto di Procuste, e che non ce la si fa a soffrire così tanto. Vogliamo qualcosa che ci gratifichi fin da subito, e se c’è qualcuno che ci dice che ci restituisce subito l’IMU e che lo spread è un’invenzione che non vuol dire niente, gli crediamo.
Nel caso citato, in terapia, saremmo dei presuntuosi incapaci di valutare le nostre e le altrui risorse se ci incaponissimo a ritenere che solo noi possiamo “salvare” quel paziente, e che nelle mani di un cognitivista farà una brutta fine; e sarebbe una meschina consolazione dire a noi stessi che in fondo l’analisi era cominciata da poco e il paziente non aveva ancora potuto rendersi conto del valore delle nostre interpretazioni e farne tesoro come avremmo voluto che fosse, naturalmente “per il suo bene”. Abbiamo commesso un errore di valutazione, perdonabile ma non per questo insignificante, e far tesoro di quest’esperienza vorrebbe dire guardare al rapporto analitico (e alla politica) con umiltà e con la consapevolezza che “ci sono più cose fra cielo e terra di quante ne racconti la nostra filosofia”. O, citando, oltre a Shakespeare, Woody Allen col titolo di uno dei suoi film più belli, “Basta che funzioni!”, rendersi conto che ogni nostra teoria può essere smentita o confermata dai nostri interlocutori, e sono loro ad aver ragione, sempre e comunque, soprattutto se abbiamo la pretesa di prenderci cura di loro.
Concluderò con un aneddoto. Nino Manfredi, avvicinandosi alla fine della vita, ricordò in un’intervista la morte di un altro grandissimo artista a cui si collegava idealmente, Ettore Petrolini. Sapendo di essere vicino alla morte, a un amico che era venuto a trovarlo, Petrolini chiese cosa gli aveva detto il medico delle sue condizioni (allora i medici con i diretti interessati tendevano sempre a minimizzare e a dare qualche speranza); l’amico, sulla scia di quello che era l’atteggiamento corrente in quei casi, gli rispose che il medico diceva che le cose stavano procedendo bene; e allora Petrolini, grande comico e grande uomo fino all’ultimo, replicò: “Meno male. Almeno muoio guarito!”.
Riparto dall’aneddoto finale, che intendevo lasciare senza commenti perché parla da solo, e che ora mi sembra possa invece rappresentare uno spunto per rilanciare la riflessione. Il paziente Italia è veramente arrivato a una “guarigione” che ne ha decretato la morte. Tutto ciò che poteva avere a che fare con il nuovo (anche l’ottantenne Rodotà, che è un “giovane” e un innovatore nel pensiero) è stato sacrificato sull’altare della conservazione, e la soluzione del governo Letta, mantenendo la metafora psicoterapeutica, è paragonabile a una giustapposizione di psicoanalisi ed elettroshock, o a una terapia fondata su una lettura fenomenologica alla Minkowski o alla Binswanger filtrata dalle teorie fisiognomiche di Lombroso. E la parte di Monti è diventata improponibile, quasi macchiettistica, stravolgendo anche il pregresso, alla luce di un’ostinazione a volte ottusa che getta un’ombra di perplessità anche su quello che personalmente ho cercato fino all’ultimo di leggere come un passato glorioso, tramontato per l’incomprensione da parte di una maggioranza impaurita.
Ci sarebbe molto da dire su tutti gli attori e i registi coinvolti in quest’apoteosi dell’assurdo, che neanche Ionesco sarebbe riuscito ad immaginare con tanta creatività. Qui voglio però limitarmi a Monti e a ciò che ha rappresentato nel gioco delle parti.
Nel momento in cui il professore è stato chiamato al capezzale dell’Italia per salvarla, e ha prescritto una terapia dolorosa, dolendosi poi del fatto di non poterla mandare avanti per il tempo troppo breve di applicazione, penso apparisse chiaro anche a lui che una prosecuzione avrebbe avuto senso soltanto se lo fosse stata a tutti gli effetti, con Monti in una posizione di centralità come riferimento per tutti gli altri. Questo è in fondo ciò che ho detto nella prima versione di questo scritto, rammaricandomi per il fatto che avesse assunto una modalità consolatoria che faceva perdere di vista l’obiettivo di salvezza dell’Italia che Monti sembrava avere all’inizio e poi aver perso per strada, fuorviato dalle lusinghe della politica. Ma mai avrei immaginato che l’uomo che avevo definito “grande tessitore” paragonandolo a Cavour si comportasse come uno dei tanti politici di mezza tacca che si arrabattano in tutti i modi per ritagliarsi un posto al sole, a scapito del nuovo e a favore della più bieca restaurazione. Perfino Bersani ha cercato almeno formalmente di dichiarare una preferenza verso il Movimento 5 Stelle rispetto al PDL, muovendosi come un elefante passando dalla finta umiltà all’arroganza, ma comunque sforzandosi di ostentare una qualche ricerca di rinnovamento. Monti è stato invece dall’inizio alla fine il paladino della restaurazione, aderendo alle iniziative che proponevano il già noto e affossando sistematicamente tutte le possibilità di realizzare un’alleanza che chiudesse definitivamente le porte ai giochi della seconda repubblica, se non per tornare addirittura a quelli della prima, cosa che è puntualmente successa, anche grazie al professore, non avendo al giorno d’oggi personalità della statura di Moro o di Berlinguer a reggere la logica del compromesso in una connotazione almeno vagamente positiva attribuibile a questo termine. Ciò che voglio dire è che il celebre compromesso storico degli anni settanta portò una ventata di novità, che spaventò gli estremismi e produsse anche disastri come l’assassinio di Moro, ma che fu nel complesso una pietra miliare per un tentativo di rinnovamento della classe politica, aprendo a soluzioni per l’Italia che prima non erano neanche pensabili. L’inciucio (mi perdoni Napolitano che ha vietato l’uso di questo termine, ma anche per me, come per molti, è il più appropriato) di oggi è storico solo per l’affossamento che produce di tutto il tentativo di rinnovamento che l’Italia chiedeva rimanendo inascoltata, con un distacco dei vertici dalla base che non ha precedenti. Poteva avere un senso che Monti pensasse a un governo di larghe intese guidato da lui, che avrebbe potuto essere la prosecuzione di quello ora concluso, e, fiducioso nei propri mezzi e nelle idee contenute nella sua “Agenda”, poteva cercare alleanze anche dalla parte del PDL per poter proseguire nel suo cammino. Ma dopo che l’Agenda Monti è stata accantonata, e le sue pagine possono essere al massimo usate per comporre dei bussolotti da tirare con la cerbottana agli avversari politici, che senso ha aderire a questo pasticcio, avanzando anche delle proposte come la candidatura della Cancellieri proprio nell’unico momento in cui il PD aveva pensato, solo per un attimo e attraverso i più illuminati come Pippo Civati, di votare Rodotà o comunque di cercare strade alternative?
Concludo riprendendo la metafora terapeutica. Dopo aver tentato con un trattamento analitico abortito troppo presto per poter avere efficacia, l’analista Monti ha deciso comunque che la terapia dell’Italia dovesse essere “seria”, e non attingere a terapie alternative e fantasiose come quelle di un’orda di nuovi pseudo-terapeuti con tanti “Grilli” per la testa. E allora si è dato un gran daffare, alleandosi con fenomenologi e cognitivisti, psicofarmacologi e lombrosiani, perfino coi reatauratori dell’elettroshock; tutto per evitare che una frase, che era in auge proprio ai tempi del Compromesso Storico, potesse ritornare sulle labbra del popolo: “La fantasia al potere”. Per carità, meglio l’inciucioterapia, con terapeuti di varie correnti anche nettamente contrastanti che intervengono cercando un accordo impossibile, ciascuno cercando di convincere il paziente di essere migliore del proprio collega-rivale, in vista di una prossima “elezione” a unico terapeuta nella quale tornare a proporre, o meglio a imporre, la propria impostazione. Oltretutto, se c’è uno che da questo punto di vista non ha speranze è proprio Monti, e dunque non si capisce perché abbia favorito questa situazione nella quale risulta essere quello che conta di meno e la cui prospettiva terapeutica viene sistematicamente fagocitata da altre che hanno maggior consenso. Da un’analisi abortita a una terapia dis-integrata.